Da sempre collocato vicino al gruppo Gangemi-Forniti, nell’inchiesta antimafia apriliana c’è l’arresto del latinense Antonio Fusco detto Zi’ Marcello
È l’unico personaggio ad essere stato assolto dall’accusa di favoreggiamento al clan Di Silvio (quello capeggiato dal boss Armando Di Silvio detto “Lallà”) nell’imponente processo scaturito dall’indagine di DDA capitolina e Squadra Mobile di Latina denominata “Alba Pontina”. Si tratta di Antonio Fusco, 61 anni, latinense, conosciuto da tutti come “Zì Marcello”.
Imprenditore, con affari anche in Africa, tanti soldi, da tempo attenzionato da forze dell’ordine e dalla magistratura, Antonio Fusco non ha sul groppone nessuna condanna. Fusco era accusato di favoreggiamento in merito alla cosiddetta estorsione madre, lo snodo principale dell’attività investigativa di Squadra Mobile di Latina e DDA di Roma che diede il via all’inchiesta “Alba Pontina”.
Nel 2021, Fusco fu rinviato a giudizio su richiesta dei sostituti della Procura/DDA di Roma Barbara Zuin e Luigia Spinelli. Zi’ Marcello, a luglio 2021, fu condannato per favoreggiamento col rito abbreviato a un anno e quattro mesi. La richiesta della Procura era di due mesi in in più: un anno e sei mesi. Una pena, quella comminatagli dal Giudice per l’udienza preliminare, che non prevedeva la sospensione condizionale della pena in ragione dei rapporti con personaggi criminali, su tutti Sergio Gangemi, legato alle cosche reggine della ‘ndrangheta di Serie A in Calabria.
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Fusco è uno dei personaggi più misteriosi apparsi nell’inchiesta Alba Pontina da cui è scaturito l’omonimo processo per associazione mafiosa al Clan Di Silvio e dal quale sono discesi altri procedimenti penali nonché indagini come, ad esempio, il processo all’ex consigliera regionale Gina Cetrone o l’imponente indagine, ora processo, denominata “Dirty Glass”.
Zi’ Marcello, nel corso del processo di primo grado “Alba Pontina”, è stato anche audito presso la Corte d’Assise del Tribunale di Latina, chiamato a riferire dell’estorsione ai danni dell’ex ristoratore di Sermoneta (ex dipendente del Latina Calcio di Pasquale Maietta) da cui conseguirono gli arresti di Renato Pugliese, Agostino Riccardo, Ferdinando “Pupetto” Di Silvio e il fratello Samuele (entrambi, quest’ultimi, figli del boss di Campo Boario Armando detto “Lallà”).
Da quell’estorsione, in seguito agli arresti, venne la scelta di collaborare con lo Stato da parte, prima (dicembre 2016), del figlio Costantino “Cha Cha” Di Silvio, Renato Pugliese, in seconda battuta, a luglio 2018, di Agostino Riccardo.
Il 61enne, come detto, era accusato di favoreggiamento al Clan Di Silvio poiché proprio nell’occasione dell’estorsione al ristoratore fu interpellato da quest’ultimo, tramite – secondo quanto raccontato da lui stesso in un’udienza del processo Alba Pontina – Massimo Severoni, altro personaggio ancora di più misterioso sospettato di essere un appartenente ai servizi segreti o comunque in rapporti con alcune forze dello Stato “infedeli”. Severoni, ex presidente del Microcredito Italiano Spa, condannato dalla Corte dei Conti del Lazio a restituire la cifra di quasi 500mila euro alla Regione Lazio, si scoprirà poi essere coinvolto, insieme ad altri imputati tra cui anche un imprenditrice di Cisterna, in un processo che contesta peculato e riciclaggio. E con pied-à-terre a Dubai.
Tornando all’estorsione, Fusco si prodigò per il ristoratore tentando di mediare con i Di Silvio, ma soprattutto, secondo l’accusa, di evitare che questi fossero arrestati dalla Squadra Mobile di Latina “soffiando” la circostanza che gli agenti di Polizia erano pronti ad arrestare Riccardo, Pugliese e i due figli di Lallà. Peraltro, secondo un commissario della Squadra Mobile di Latina, ascoltato durante il dibattimento in Corte d’Assise per Alba Pontina, Fusco non sarebbe nuovo alle “soffiate” finalizzate a inquinare indagini e azioni di polizia: l’uomo, infatti, avrebbe avvertito anni addietro (dopo il 2005 quando era tornato dal Venezuela) Massimiliano Moro, il boss ucciso dal Clan Ciarelli, di un suo arresto.
Uno degli elementi più inquietanti della vicenda che lo ha coinvolto è che Zi’ Marcello avrebbe avvertito Agostino Riccardo dell’imminente arresto telefonando a un cellulare intestato a Gianluca Di Silvio detto “Bruno” (altro figlio di Lallà, già condannato in due gradi di giudizio come i fratelli per reati con l’aggravante mafiosa nel processo romano di Alba Pontina), chiamando dalla cosiddetta “Argentina”. Un nome che non direbbe niente se non fosse che, nel loro gergo, avrebbe rimandato al centralino ubicato presso il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Latina. Una circostanza smentita da Fusco nel corso della conferenza stampa che ha voluto concedere a febbraio scorso quando era così sicuro di sé avendo guadagnato un’assoluzione in Appello, difeso dagli avvocato Luca Giudetti e Stefano Iucci.
Non poteva immaginare, forse, che da anni la DDA, la Dia e i Carabinieri di Aprilia avrebbero proceduto cinque mesi più tardi al nuovo arresto nell’ambito della maxi inchiesta che ha travolto la città di Aprilia, portando all’arresto del sindaco Lanfranco Principi, poi dimesso.
Sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, il 61enne pontino è accusato di usura aggravata dal metodo mafioso in concorso con due pezzi da novanta del clan Forniti di Aprilia: Luca De Luca e Marco Antolini. Il capo d’imputazione è chiaro: i tre avrebbero prestato soldi a strozzo a un commerciante di autoveicoli di Aprilia: 180mila euro. Dopodiché avrebbero preteso somme variabili tra i 13mila e i 15mila euro mensili a titolo di interesse usurario.
Un’accusa minore rispetto a tutto il quadro da brividi che emerge dall’inchiesta apriliana, ma esemplificativa della capacità di un personaggio di sapersi muovere tra diversi mondi: dai criminali di strada, ai personaggi legati ai servizi, fino alle cravatte di un elegante studio legale. Senza soluzione di continuità, Zi’ Marcello è sempre sfuggito a ogni condanna. Ce la farà anche questa volta?