CHIOSCHI MAFIOSI SUL LUNGOMARE DI LATINA: AVVISI DI GARANZIA PER GLI ZOF

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Alessandro Zof

Primo chiosco sul lungomare di Latina, la Direzione Distrettuale Antimafia chiude le indagini su Zof e gli altri

Sono in tutto dodici gli avvisi di conclusione indagine per il procedimento penale che lo scorso 30 gennaio si è concretizzato in otto misure cautelari nei confronti di altrettante persone per i reati di turbata libertà degli incanti ed estorsione aggravati dal metodo mafioso, diversi episodi di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, nonché per trasferimento fraudolento di valori.

Al centro dell’indagine portata a termine dalla Squadra Mobile di Latina, diretta dal vice questore Mattia Falso, il primo chiosco sul lungomare di Latina, lato Rio Martino, denominato ex Topo Beach; indagando gli investigatori hanno fatto emergere anche alcuni episodi di spaccio ed estorsione slegati dagli interessi della famiglia Zof sul litorale del capoluogo.

Ora, i sostituti procuratori della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, Luigia Spinelli e Francesco Gualtieri, hanno concluso le indagini a carico di Maurizio Zof e dei figli Alessandro e Fabio, oltreché nei confronti di Corrado Giuliani, Franco Di Stefano, Giovanni Ciaravino, Pasquale Scalise e altri. Ad essere raggiunti dall’avviso di garanzia anche gli unici a finire in carcere lo scorso 30 gennaio: il 31enne Ahmed Jegurim e il 30enne Christian Ziroli che, però, non hanno nulla a che vedere con le trame che si sono svolte dietro l’assegnazione del primo chiosco sul lungomare di Latina: vale a dire il noto “Topo Beach” che, nel 2016, con l’avvento dell’amministrazione Coletta, fu rimesso a gara, dopo decenni. Per i due trentenni accuse di spaccio ed estorsione nell’ambito del mercato della droga.

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Ai tre Zof sono contestati reati aggravati dal metodo mafioso, in ragione del legame che soprattutto Alessandro Zof, secondo la DDA, ha con il clan Travali/Di Silvio, per cui, peraltro, è a processo con l’accusa di associazione mafiosa derivante dall’operazione “Reset”.

Maurizio Zof

A Maurizio Zof, conosciuto come “Topo Bestia”, gestore storico di quello che fu il primo chiosco “Topo Beach”, è contestata la turbativa d’asta mafiosa sia per le minacce nei confronti di chi si era aggiudicato la gara per la prima volta nel 2016 e che vi rinunciò, sia nei confronti degli aggiudicatari provvisori che nel 2020 vinsero la selezione pubblica denominata “Latinadamare”. Ai tre aggiudicatari provvisori (poi rinuncianti), Maurizio e Alessandro Zof, secondo gli investigatori, fecero pervenire tramite terze persone messaggi di minacce: in sostanza, se avessero gestito il chiosco, avrebbero corso seri rischi, ritorsioni e anche incendi dolosi. Alla fine fu più di una società a sfilarsi dalla gestione del primo chiosco, poi definitivamente assegnato alla Seaside Music Young Impresa Sociale srl, non senza qualche timore esplicitato dalla madre dei titolari della società, intercettata al telefono dagli investigatori: “Perché lo sai che c’hanno paura Vale’, c’hanno paura che ‘sto chiosco lo sa no, tutte le intimidazioni che ha fatto dice magari ci dà fuoco, capito?”.

La prepotenza di Maurizio Zof, invece, si espliciterebbe anche in altri contesti come quando minaccia l’amministratore di condominio per 200 euro, in ragione di lavori peraltro non eseguiti da lui ma da un giardiniere. Per questo episodio, deve rispondere di estorsione con metodo mafioso, così come per aver minacciato un carrozziere in merito a lavori su un’autovettura.

Ad Alessandro Zof e al fratello Fabio è contestata la tentata estorsione con metodo mafioso, poiché, secondo gli investigatori, si recarono al quarto chiosco gestito da un privato e dopo aver chiesto a un dipendente, con fare minaccioso, informazioni sul titolare del chiosco stesso, buttarono sdegnosamente per terra un bicchiere di amaro contenuto in un bicchiere di plastica, minacciando ritorsioni.

Destinatario di minacce anche il secondo chiosco, gestito dall’ex assessore provinciale in quota UDC, Giuseppe Pastore. Alessandro e Fabio Zof andarono nel settembre 2018 presso il chiosco “APPEAL” e spiegarono a un dipendente di dover portare a Pastore un messaggio eloquente. “Riferisci al tuo capo – disse Alessandro Zof – che sono uscito dal carcere e non può più fare come cazzo gli pare…qua comandiamo noi“.

Sempre ad Alessandro Zof e al cognato Corrado Giuliani, entrambi alla sbarra nel processo Reset e considerati affiliati al clan Travali, sono contestati intimidazioni e un’estorsione di stampo mafioso per aver chiesto, nel 2019, con metodi spicci, soldi a un consumatore indietro con i pagamenti della droga.

Accusati di estorsione (senza metodo mafioso), inoltre, Franco Di Stefano, della nota famiglia di origine siciliana legata al clan di Giuseppe “Romolo” Di Silvio (anche se per lui è arrivata un’assoluzione in Appello nel processo Scarface) e di spaccio Giovanni Ciaravino, condannato in secondo grado nell’ambito del processo Reset.

Infine, concluse le indagine anche per trasferimento fraudolento di valori a carico di Pasquale Scalise, Fabio Zof e altri indagati.

Sono tredici, in tutto, le persone offese, tra cui gli imprenditori minacciati per la gara balneare sul primo chiosco. Gli indagati, ora, avranno venti giorni di tempo per presentare, tramite i rispettivi legali, memorie o chiedere di essere interrogati riguardo ai fatti emersi.

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