SI SPACCIA PER PIROMALLI E TENTA L’ESTORSIONE: CONDANNATO D’ANGIÒ

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Estorsione a un imprenditore agricolo nella provincia di Ravenna: condannato il 50enne di Fondi Salvatore D’Angiò

Già noto alle cronache e recentemente condannato in primo grado (luglio 2020) a 4 anni di reclusione per un’estorsione nei confronti di un mediatore gravitante nel Mof di Fondi, il fondano Salvatore D’Angiò, nato a Formia, è stato condannato per le minacce rivolte al dirigente di un’azienda nel ramo dell’ortofrutticolo: la cooperativa Agrintesa di Faenza.

D’Angiò, come viene riportato negli atti d’indagine, chiamò il dirigente d’azienda intimandogli di lasciar perdere con una determinato azienda e presentandosi peraltro come legato alla famigerata cosca di ‘ndrangheta dei Piromalli (completamente estranei alla vicenda): “Io le dico che con loro non ci deve più lavorare in una settimana deve metterli fuori. Siamo calabresi, siamo una famiglia conosciuta, basta chiedere in giro per sapere chi siamo“.

I fatti sono accaduti a giugno del 2017 e nel processo dinanzi al Tribunale di Ravenna era contestato a D’Angiò, dal Pm della DDA di Bologna Roberto Ceroni, la tentata estorsione con metodo mafioso.

L’aggravante mafiosa, come aveva scritto nell’ordinanza il Gip Francesco Zavaglia, era stata posta dall’accusa perché, pur non c’entrando nulla i Piromalli, risultavano da parte di D’Angiò “comportamenti atti a esercitare una particolare soggezione propria delle organizzazioni mafiose“.

In tutto, D’Angiò, come documentato dalla Squadra Mobile di Ravenna, ha telefonato tre volte alla cooperativa faentina. Il 12 giugno 2017, il 50enne aveva chiamato per parlare col dirigente non presente in azienda. La telefonata era stata quindi ricevuta dalla segretaria a cui D’Angiò si era presentato come “Piromalli Roberto“, manifestando un interesse per un magazzino nel quale la coop Agrintesa aveva nella sua disponibilità celle frigorifere.

D’Angiò aveva poi richiamato il 28 giugno 2017, non trovando ancora il dirigente ma sostenendo a un altro interlocutore dell’azienda di chiamarsi stavolta “Charlie Piromalli“.

Sempre il 28 giugno, a distanza di poche ore, l’ultima chiamata finalmente andata a bersaglio. Al dirigente della coop, D’Angiò si era presentato come “Gianni Piromalli” dicendo di chiamare da Milano e citando il nome di una azienda lombarda. Il dirigente d’azienda aveva spiegato al sedicente Piromalli, in realtà D’Angiò, di non avere rapporti d’affari con l’azienda lombarda, ma solo un contratto d’affitto.

Abbiamo dei problemi grossi con questa azienda – aveva comunque detto Piromalli, in realtà D’Angiò – abbiamo perso una partita dal Sudamerica…ha capito? Vedrà la prossima settimana che succede, lo vedrà. lo vedrà. Lei deve capire cosa fare, gliel’ho detto cosa deve fare, la vita è bella da vivere, va vissuta, auguri a tutta la famiglia“. Per queste frasi, la DDA aveva formulato l’accusa rinforzandola con l’aggravante mafiosa. Il Tribunale di Ravenna, però, nel condannare Salvatore D’Angiò per tentata estorsione a un anno e quattro mesi, l’ha esclusa.

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