PUROSANGUE: CHIESTI OLTRE 76 ANNI PER IL CLAN CIARELLI, MA CARMINE VERRÀ GIUDICATO A PARTE. PRESCRITTO “MACÙ”

Al centro Carmine Ciarelli
Al centro Carmine Ciarelli (foto da profilo Facebook di qualche anno fa). Alla sua destra Ferdinando Ciarelli detto Macù e alla sua sinistra l'altro figlio Pasquale Ciarelli

Clan Ciarelli, chieste le condanne per gli imputati considerati tra i maggiori esponenti del sodalizio di origine rom

Si è conclusa dopo quasi cinque ore la requisitoria dei pubblici ministeri Luigia Spinelli e Valentina Giammaria nel processo derivante dall’operazione “Purosangue” che pone a giudizio i maggiori esponenti del clan latinense dei Ciarelli. Ai membri del sodalizio di origine rom sono contestati per la prima volta reati con l’aggravante del metodo mafioso.

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Il prossimo 7 ottobre sarà il I collegio del Tribunale di Latina composto dai giudici Soana, Coculo e Brenda a emettere la sentenza. Il processo vede alla sbarra i capi, tranne Luigi Ciarelli (il numero tre del sodalizio, giudicato nell’altro processo antimafia sui clan rom denominato “Reset”), di quello che tutti a Latina conoscono come il clan Ciarelli, la famiglia che aveva eletto la propria base nel quartiere Pantanaccio, alla periferia di Latina. Sul banco degli imputati, ci sono personaggi di rilevante caratura criminale come Carmine Ciarelli detto “Porchettone” e suo fratello Ferdinando Ciarelli detto “Furt”. Tra i reati più importanti, varie vicende di estorsione, violenza privata, danneggiamento, usura. Dieci in tutto gli episodi estorsivi raccolti dagli investigatori della Squadra Mobile di Latina e finiti nel processo. L’inchiesta è stata coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma.

A inizio giornata c’è stato il primo intoppo in quanto il Tribunale è stato costretto a stralciare la posizione del boss Carmine Ciarelli, che verrà giudicato separatamente. Porchettone è ricoverato all’ospedale di Cassino in detenzione domiciliare e, solo oggi, ha chiesto il legittimo impedimento, tramite il suo avvocato Carradori. Una richiesta piuttosto insolita, visto che per tutta la durata del processo, Carmine Ciarelli ha rinunciato volontariamente di prendere prenderne parte, pur essendo imputato. Il capo famiglia peraltro è intenzionato a fare spontanee dichiarazioni prima di essere giudicato.

La requisitoria dei pubblici ministeri è stata divisa in due. Al pm Giammaria è toccato il lavoro più lungo, citando capo di imputazione per capo di imputazione, ripercorrendo così tutte le vicende criminali contestate agli imputati e menzionando, quindi, nel dettaglio le estorsioni a commercianti, locali della movida, avvocati e professionisti. Estorsioni che in alcune occasioni sono stati compiute nel carcere di Latina, per anni controllato dai Ciarelli.

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Al Pm Spinelli, invece, il compito di sintetizzare su chi sono stati i Carelli a Latina. Il magistrato, da anni sulle tracce dei clan rom di Latina, ha ribadito che il senso di inchiesta è quello di dimostrare la caratura criminale dei Ciarelli che vige da decenni nel capoluogo pontino. Estorsioni che si sono protratte negli anni contro avvocati, professionisti, detenuti.

Una vicenda criminale, quella del clan di Pantanaccio, che si inasprita con la cosiddetta guerra criminale del 2010, quando i membri della famiglia dimostrarono la loro potenza di fuoco, colpendo a morte (Massimiliano Moro su tutti) o intimidendo con il piombo coloro che avevano osato sfidare il loro potere e attentato alla vita di Carmine Ciarelli, sparandogli davanti al Bar Sicuranza nel quartiere roccaforte.

L’indagine, ha ribadito il pm Spinelli, parte dai tre collaboratori di giustizia Renato Pugliese, Agostino Riccardo e Andrea Pradissitto che, per la DDA, sono attendibili. In particolare, Pradissitto, parente dei Ciarelli, avendo sposato la figlia del numero due del clan, Ferdinando Ciarelli detto Furt. Chi finiva nel mirino di un Ciarelli, finiva nel mirino di tutto il clan, senza contare che ci sono persone che hanno abbandonato le loro attività o addirittura si sono trasferiti altrove.

Minacce che, come ha confermato questa indagine, provenivano anche dalla messaggistica on line, a significare che i Ciarelli non avevano paura di niente.

Alla fine è il pubblico ministero Giammaria a chiedere in aula le condanne: 12 anni e 8 mesi per Alessandro Agresti; 10 anni e 2 mesi per Matteo Ciaravino; 10 anni e 6 mesi per il 26enne Ferdinando Ciarelli; 10 anni per Ferdinando Di Silvio detto Furt; 9 anni e 4 mesi per la moglie di quest’ultimo, Rosaria Di Silvio; 13 anni e 8 mesi per Pasquale Ciarelli; 10 anni per Antoniogiorgio Ciarelli.

Il pm ha chiesto l’assoluzione per intervenuta prescrizione nei confronti di Ferdinando Di Silvio detto Macù, difeso dall’avvocato Italo Montini, poiché, nel corso dell’istruttoria, è caduta a suo carico l’aggravante mafiosa in merito all’estorsione contestata.

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Finita la requisitoria, sono iniziate le arringhe difensive di un collegio composto dagli avvocati Montini, Farau, Vasaturo, Palmiero, Carradori, Melegari, Forte, Nardecchia, Coronella e Vittori. Come detto, il prossimo 7 ottobre ci sarà la sentenza finale.

Lo scorso 21 giugno, invece, la Corte d’Appello di Roma ha in parte confermato le condanne di primo grado per coloro i quali avevano optato per il rito abbreviato. Ridotta la condanna per Roberto Ciarelli, il giovane rampollo, figlio di Ferdinando “Furt” Ciarelli, che ha guadagnato anche alcune assoluzioni, tra cui una estorsione commessa ai danni di un titolare di un locale in zona pub.

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