OMICIDIO MORO: CONTESTATO IL DELITTO DI MAFIA. ARRESTATI 4 DEL CLAN CIARELLI

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Questura di Latina

La Polizia di Latina ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. di Roma Francesco Patrone su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma nei confronti 4 soggetti, tutti indagati a vario titolo per la morte di Massimiliano Moro, omicidio commesso a Latina la sera del 25 Gennaio 2010 all’interno della propria abitazione, con una pistola calibro 9 x 19.

Sono 4 gli arresti eseguiti dalla Polizia: Andrea Pradissitto (31 anni), Simone Grenga (34 anni), Ferdinando Ciarelli detto Furt (57 anni) fratellO di Carmine Ciarelli detto Porchettone e il figlio di quest’ultimo Ferdinando Ciarelli (38 anni) detto Macù. Pradissitto e Grenga sono collegati alla Clan Ciarelli: il primo è compagno di Valentina Ciarelli, figlia di Ferdinando “Furt” Ciarelli e Rosaria Di Silvio, il secondo è compagno di Valentina Veronica Ciarelli, figlia di Luigi Ciarelli. Tutti e quattro i soggetti destinatari del provvedimento di custodia cautelare sono pregiudicati (Processo Caronte e altri reati) e sono già detenuti in carcere per condanne passate in giudicato.

Nel primo procedimento penale sul delitto Moro, aperto nel 2012, furono indagati “Furt”, Pradissitto, Grenga e un altro della famiglia: Antongiorgio Ciarelli. Il succitato fascicolo fu archiviato dal Gip del Tribunale di Latina nel 2015 per insufficienza di prove necessarie a sostenere l’accusa.

Successivamente, con le dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia, su richiesta della Procura di Latina sono state riaperte le indagini trasmesse per competenza alla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Roma in quanto sono state ritenute sussistere le aggravanti del metodo mafioso in riferimento all’omicidio (416bis).

Le indagini odierne, invece, – come spiega una nota della Questura di Latina – costituiscono l’epilogo di un mirato approfondimento investigativo che i poliziotti della Squadra Mobile di Latina, insieme al Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, sotto la direzione ed il coordinamento della Direzione distrettuale Antimafia di Roma, stanno conducendo nella provincia di Latina, anche rispetto alle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia.

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L’inchiesta si riconnette alle risultanze emerse nel corso delle indagini condotte all’epoca dai poliziotti, attraverso l’ausilio di intercettazioni e l’analisi di tabulati telefonici, informazioni arricchite dai nuovi riscontri emersi che permettono di ipotizzare come l’omicidio sia stato commesso con metodo mafioso e per finalità di agevolazione mafiosa.

Il grave delitto si inquadra nella faida scoppiata nel 2010 nella provincia di Latina, fra le famiglie Rom Ciarelli-Di Silvio, da un lato, e gruppi non Rom facenti capo a 2 soggetti (ndr: Massimiliano Moro e Mario Nardone), dall’altro, tra cui la vittima, volta ad ottenere il controllo delle attività criminali del territorio pontino.

Nell’ambito di tale faida, denominata cosiddetta Guerra Criminale Pontina, l’omicidio del Moro ha costituito il punto centrale di una serie di condotte criminali che, prima o dopo di esso, hanno determinato l’affermarsi sul territorio pontino di clan familiari caratterizzati dalla capacità di porre in atto un potere di intimidazione tipico delle organizzazioni mafiose.

In particolare, l’omicidio del Moro è stato deliberato dal sodalizio criminale facente capo alle famiglie Ciarelli e Di Silvio (di origini rom) come una delle risposte al tentato omicidio del proprio elemento apicale Carmine Ciarelli.

Proprio l’agguato subito da quest’ultimo, la mattina del 25 gennaio 2010, ha segnato l’avvio di un nuovo e più forte sodalizio fra le due famiglie, che determinava un’immediata e spietata risposta criminale, al fine di riaffermare il proprio potere a scapito di quelle forze contrarie che avevano deciso di minarlo con un atto così eclatante.

L’omicidio del Moro è solo uno dei più gravi tasselli della risposta del sodalizio Ciarelli-Di Silvio, comprendente anche l’altrettanto immediato omicidio di Fabio Buonamano ed il tentato omicidio di Fabrizio Marchetto, avvenuto circa un mese dopo, in data 6 marzo 2010, e formalmente diretto a vendicare la pregressa uccisione di Ferdinando Di Silvio, detto il “Bello”, nonché, da ultimo, il tentato omicidio di Gianfranco Fiori, avvenuto il 6 giugno 2010 perché ritenuto uno dei materiali esecutori dell’agguato nei confronti di Carmine Ciarelli.

Proprio il tentato omicidio di Ciarelli – continua la nota della Questura – segna il sorgere del sodalizio dell’associazione a delinquere Ciarelli-Di Silvio, come riconosciuto nella sentenza emessa nel processo cosiddetto Caronte, il cui programma non era solo quello di commettere delitti ma di riaffermare con violenza e minaccia il controllo del territorio a Latina, che è uno degli elementi cardine del potere delle consorterie di stampo mafioso.

Moro, peraltro, aveva chiaramente manifestato l’intenzione di ribaltare il potere delle famiglie rom, sostituendosi alle stesse, e pertanto considerato un vero e proprio nemico del sodalizio.

Infatti, nel corso di una riunione operativa con i propri sodali, aveva deciso di avviare un’azione di forza nei confronti dei Ciarelli, già nel 2007, e a seguito di uno schiaffo ricevuto dallo stesso Carmine Ciarelli nel corso di una lite per un debito non ancora pagato, prese la decisione di uccidere quest’ultimo e si suoi fratelli Ferdinando e Luigi.

L’attentato a Carmine Ciarelli, come detto, fallì ma le famiglie Rom Ciarelli e Di Silvio furono in grado di ricondurre presto l’agguato subito allo stesso Massimiliano Moro, il quale, secondo gli affiliati del clan rom, si era anche macchiato della colpa di essersi sfacciatamente recato all’ospedale dove Carmine Ciarelli era stato ricoverato dopo l’agguato, per ostentare falsamente la propria solidarietà ai familiari del ferito.

L’omicidio del moro, dunque, è stato commesso al fine di agevolare l’associazione di stampo mafioso Ciarelli-Di Silvio, costituendo il delitto una chiara azione ritorsiva nei confronti della persona che era ritenuta una dei responsabili dell’agguato subito da Carmine Ciarelli, allo scopo di affermare il proprio potere in odine ai traffici illeciti sul territorio di Latina rispetto ai gruppi criminali antagonisti, costituiti da soggetti non di etnia rom.

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