“Se fumi in spiaggia ti fanno la multa, ma se fai compost in un controverso stabilimento ti aumentano le autorizzazioni“. Non è il comma 22 dei paradossi italiani, ma poco ci manca.
Nell’impianto trattati oltre 200mila tonnellate di rifiuti in questi anni, mentre i controlli avvertivano fin dal 2015 “c’è percolato ovunque”. Ma la Regione non ha praticamente fatto nulla
Purtroppo questi paradossi, oltre ad essere ormai dei luoghi comuni, in Italia sono spesso anche più che comprovati. Si veda ad esempio il caso della Sep di Pontinia, ancora tutto da chiarire (siamo in una fase di indagine) che, però, se quanto scritto dagli inquirenti negli atti si rivelasse tutto vero saremmo proprio nel pieno di un paradosso. Per comprenderlo basta andare un po’ indietro con il calendario.
È l’11 dicembre del 2015 e nell’impianto della Sep di Pontina è in corso una ispezione. Sarà solo la prima di una lunga serie di controlli ambientali portati avanti dal Nipaf di Latina e dagli uomini dell’Arpa Lazio. Tutte queste visite saranno poi catalogate nei verbali che compongono l’operazione “Smokin’ Fields”. “In tutta l’area di lavorazione – si legge negli atti – era rilevabile la presenza di percolato e non c’erano griglie o canalette preposte alla raccolta dello stesso”. Questa prima affermazione, già da sola, varrebbe come ottimo argomento per far chiudere un impianto industriale di qualsiasi tipo, tanto più che siamo al dicembre del 2015. Provate ad immaginare invece una piccola attività che non segue alla lettera tutte le prescrizioni ambientali previste che fine avrebbe fatto?
Ma torniamo al 2015. Viene riscontrato che “i sistemi di insufflazione dell’aria alle biocelle – si legge – sono inattivi ed alcuni pannelli risultano non correttamente funzionanti”; “il compost (che dovrebbe essere il prodotto finale della lavorazione n.d.r.) si presentava con evidenti elementi di fermentazione” e si potevano riscontrare fenomeni di “fumo, auto-combustione, percolato”. Uno scenario da girone dantesco che non cambia di molto un anno dopo, a seguito dei controlli successivi.
Ecco alcuni passaggi.
14 marzo 2016
“Non si riusciva a risalire alla tracciabilità del compost per assenza di identificazione dei singoli lotti (…) si trovavano cumuli indistintamente ammassati”; “Presenza di percolati in tutta l’area, segni di fermentazione (fumo e calore)”.
20 novembre 2017
“Presenza di soluzioni acquose maleodoranti in alcuni pozzetti (non coperti) di raccolta”; “Lacerazioni nella serranda di chiusure del portone di area raffinazione”; “presenza di soluzioni acquose torbide di dubbia origine che emanano odori molesti in corrispondenza dei pozzetti al di sotto degli scrubber”; “chiusura non a tenuta del pozzetto di raccolta del percolato”.
20 marzo 2018
“Non vengono garantiti i livelli di umidità ottimali per le diverse fasi di processo”.
7 giugno 2018
“Presente una fuoriuscita di percolato dalle tubazioni verso l’esterno del capannone”; “all’interno di alcuni pozzetti si riscontra la presenza di abbondante refluo melmoso”; “l’aia di maturazione appariva colma di materiale che ostruiva un’uscita di emergenza”; “l’area di prodotto finito appariva colmo di materiale”; “accumuli di percolato che fuoriusciva da alcune porte del capannone”.
Uno scenario degli orrori che si ripete per anni, con gli inquirenti sempre chiarissimi nel descrivere i fatti e l’Arpa Lazio che, in numerose occasioni, aveva segnalato delle irregolarità mastodontiche nella gestione dell’impianto. Eppure, qui si discute di un impianto che nel 2012 è stato autorizzato dalla Provincia di Latina, nel 2015 (con le indagini già in corso, tanto per dire che qualcosa di strano “nell’aria” si respirava da tempo) ha ottenuto l’Autorizzazione Integrale Ambientale (AIA) dalla Regione per il trattamento annuale di 49.500 tonnellate e addirittura, nel 2017, un aumento delle quantità giornaliere lavorabili di ben 250 tonnellate al giorno, restando nei limiti annuali del 2015.
La visita di Flaminia Tosini, massimo dirigente area rifiuti del Lazio
Nel febbraio di quest’anno Flaminia Tosini, massima dirigente dell’area rifiuti della Regione Lazio, nominata in piena “èra Zingaretti”, è stata nell’impianto personalmente – con tanto di picchetto di protesta di alcuni cittadini e attivisti di Pontinia, Sabaudia, Priverno, Terracina all’esterno che la attendeva – e ne è uscita apparentemente serena e sorridente (vedi foto) senza che dalla Regione arrivasse un concreto richiamo o quantomeno un atto per la migliore comprensione degli eventi. Senza che la Regione, come ente preposto all’ordine e al controllo del ciclo dei rifiuti, abbia emesso comunicazioni particolarmente “contundenti” nel merito.
Il mancato intervento degli organi di controllo
Questo in un Paese dove se si gestisce un autolavaggio, e non si hanno tutti gli scarichi a norma, si può incorrere nella chiusura immediata a seguito di una sola visita ispettiva. E invece la Sep di Pontina avrebbe ricevuto in ingresso (stando alle carte degli inquirenti che però si basano sulle bolle di carico della stessa azienda) non meno di 219mila tonnellate di rifiuti. Negli atti c’è scritto nero su bianco un dato che sarebbe stato sufficiente leggerlo per decretare, forse, una più attenta riflessione in merito alle procedure che si seguivano in questo impianto. Si legge infatti che “la perdita di processo (quella parte che dovrebbe evaporare durante la lavorazione n.d.R.), pari appena al 33% è ben lontana dal 50% previsto dall’autorizzazione e quindi il rifiuto tratteneva maggiore umidità”. Inoltre, gli inquirenti fanno notare come “cosa ancor più grave è il fatto che la produzione di compost si attesti al 25% circa quando invece le autorizzazioni prevedevano un 35%”. Fatte queste proporzioni, si capisce che circa “il 40% del materiale era in uscita”, quindi destinato o alle discariche o comunque allo stoccaggio. Insomma, se le cose stanno come descritte dai consulenti della Procura, la Sep barando agli esami aveva comunque risultati da studente somaro, eppure veniva promossa puntualmente agli esami autorizzativi.
Il paese dei paradossi, se il sacchetto è del colore sbagliato ti fanno la multa, ma se il tuo impianto è una specie di inferno dei rifiuti non ti succede nulla per anni
Così siamo al paradosso della mela: perché se ad Aprilia qualcuno conferisce i rifiuti con un sacco nero anziché blu oppure a Latina porta l’umido fuori dagli orari stabiliti o ancora, in un’altra città, si sbaglia contenitore, scattano multe salate, foto rilevamenti ed a volte anche la pubblica gogna con tanto di dicitura da “zozzone”. Se hai invece un impianto che secondo i comitati di varie città puzzava a chilometri di distanza, venendo descritto come una specie di ufficio sinistri dei rifiuti di fantozziana memoria durante i regolari controlli, questo continua comunque ad operare e a fare affari, addirittura espandendo i propri piani industriali e ricevendo autorizzazioni maggiorate.
Lazio, terra di opportunità e di anarchia
Così accade nel Lazio, terra di opportunità, dove nessuno ha mai la colpa di nulla e sembra regnare una sorta di anarchia indolente negli enti, e dove tutto pare comunque andare per il meglio e perfino le puzze vengono turlupinate come un fatto da destinare alle allucinazioni collettive. Solo quando si alzano gli elicotteri di polizia e carabinieri in volo, allora tutto diventa più chiaro. E la pazzia collettiva scompare, e tutti ma proprio tutti i politici e gli enti dicono di aver agito per tempo, aver denunciato, aver speso la faccia.
Nel paese dei paradossi anche questo miracolo è compiuto e a mettere ordine nei processi che normalmente dovrebbero essere diretti da organi di controllo pagati profumatamente, deve intervenire sempre la forza pubblica che fa le indagini. A meno che, ovviamente, tu non sia un piccolo commerciante, un cittadino che voglia solo buttare la spazzatura o un fumatore che, sbagliando, getti una sigaretta in spiaggia. Lì, giustamente, la legge è inflessibile, non ammette ignoranza e non fa sconti a nessuno. Tuttavia se tutto si ferma al tartassamento del cittadino, a fronte di una terra dei fuochi tra Pontinia, Priverno, Aprilia, Sabaudia ecc., allora anche le sanzioni minime e giuste diventano un fatto ridicolo.