I BENI DEI MONTENERO RIMANGONO ALLO STATO: CONFISCA CONFERMATA IN CASSAZIONE

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Nino Montenero
Nino Montenero

Aprilia, confisca confermata dalla Cassazione per il noto pregiudicato Nino Montenero. I giudici della Suprema Corte hanno respinto il suo ricorso

Risale al dicembre 2020 la confisca nei confronti di Nino Montenero e dei suoi famigliari quando i poliziotti della Divisione Anticrimine della Questura di Latina e del Servizio Centrale Anticrimine di Roma avevano eseguito, in due distinte operazioni, i decreti nei confronti del medesimo Montenero e dell’imprenditore Antonino Piattella.

Nino Montenero, 66 anni, residente ad Aprilia, è ritenuto un soggetto costantemente coinvolto in attività criminose, a partire dal 1972, e in rapporti di frequentazione e correità con altri soggetti dediti al crimine.

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Le numerose indagini a suo carico hanno fatto rilevare la vicinanza di Montenero ad altri pericolosissimi pregiudicati operanti nel Basso Lazio e in Campania, tra cui esponenti di vertice dei clan camorristici Contini, Nuvoletta e Gionta, divenendo sin da giovanissimo punto di riferimento per la gestione della stragrande maggioranza dei traffici illeciti del territorio in materia di rapine e stupefacenti ed intessendo negli anni – motivava così la Polizia di Stato – rapporti con la mafia, la camorra e la criminalità organizzata albanese.

La villa confiscata ai Montenero nell’operazione di Polizia, già oggetto di sequestro nel marzo 2019

Montenero, infatti, ripetutamente denunciato e arrestato per rapine a mano armata commesse in concorso con altri criminali ai danni di banche e furgoni portavalori (si ricorda l’assalto ai danni della Cassa di Risparmio di Roma, in cui fu ucciso il metronotte Alberto Moriconi, a Lavinio, nel 1981); per spaccio e traffico di stupefacenti (si ricordano le operazioni JumboPittbullPiazze PuliteAiron e Las Mulas), nell’ambito delle quali Montenero è stato colpito da ordinanze di custodia cautelare, che hanno disvelato i suoi strettissimi rapporti criminali con i citati clan camorristici campani.

Il Tribunale di Latina Sezione Misure di Prevenzione condivise gli accertamenti della Divisione Polizia Anticrimine secondo i quali i beni oggetti della confisca sono stati acquisiti grazie alle disponibilità economiche derivanti dalle attività illecite poste in essere da Montenero fin dagli anni ’70, ritenendo che le indagini hanno fatto emergere un’evidente sproporzione tra il valore del patrimonio familiare ed i redditi dichiarati al fisco da Montenero e dai suoi familiari.

Nel decreto notificato all’intero nucleo familiare di Montenero, si fa, infatti, rilevare come minimi siano risultati i redditi dichiarati dallo stesso (poche migliaia di euro all’anno per Nino e per il figlio Dimitri; il figlio Bruno risulta non aver mai svolto attività lavorativa), così come quelli dei genitori di Montenero, i quali nel 1971 furono addirittura assegnatari di un alloggio popolare per le riconosciute condizioni di indigenza.

Il complesso immobiliare confiscato, per un valore approssimativo stimabile in circa 1 milione e centomila euro, intestati al proposto, alla moglie, alla madre, e ai fratelli, si concretizzava complessivamente nei seguenti beni e utilità: 2 immobili residenziali, una villa ed un appartamento, un locale commerciale, 2 terreni.

Contro quel provvedimento del dicembre 2020, Nino Montenero e la sua famiglia, tramite il legale di fiducia Annamaria Lovelli, hanno proposto i ricorsi in Cassazione che li ha dichiarati inammissibili, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di 3mila euro in favore della Cassa delle ammende.

Come ricorda la Cassazione nella sua sentenza, la Corte di appello di Roma ha confermato l’anteriore decisione del Tribunale di Latina il quale aveva accertato la pericolosità sociale di Nino Montenero nel periodo temporale compreso tra il 1974 e il 2016, cui risalivano le acquisizioni di terreni e fabbricati, al medesimo riconducibili in via diretta o indiretta, già posti sotto sequestro di prevenzione. In più i giudici avevano constatato la significativa sproporzione, pro-tempore, tra i redditi e le attività economiche del medesimo Montenero e del nucleo familiare, da un lato, e il valore dei cespiti immobiliari, dall’altro, di cui non era dimostrata la legittima provenienza.

Circa la sproporzione reddituale e patrimoniale, e la mancata dimostrazione di una lecita provvista – si legge nella sentenza di Cassazione – il decreto di confisca impugnato è saldamente ancorato agli esiti della perizia disposta nel primo grado di giudizio, che poggia su solide basi illustrative e argomentative.

Inoltre tutte le contestazioni del ricorso “debordano nel merito, o sono da riportare all’ambito della mera adeguatezza motivazionale, non sconfinante nell’assenza o apparenza della motivazione stessa“.

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