HOTEL GROTTA DI TIBERIO: “UNA SITUAZIONE COMPLESSIVA DI ABUSI EDILIZI”

Hotel Grotta di Tiberio: il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso della Chinappi, l’hotel, un tempo anche di Cusani, va abbattuto

Ora non è solo il Tar a dichiarare abusivo il complesso alberghiero Grotta di Tibero, da anni intricata questione politica, giudiziaria e amministrativa. C’è anche Palazzo Spada che, il 28 novembre scorso (sebbene la sentenza sia stata deposita ieri, 5 febbraio) respingendo il ricorso della Chinappi Aldo Erasmo & C s.a.s., proprietaria dell’Hotel Grotta di Tiberio, assistita dagli avvocati Alfredo Zaza D’Aulisio e Alfonso Celotto, lo ha dichiarato infondato.

Il ricorso era stato presentato per l’annullamento della sentenza del Tar dello scorso aprile 2023 che aveva giudicato l’hotel un complesso abusivo. La proprietà vedeva come parti contrapposte il Comune di Sperlonga, assistito dall’avvocato Salvatore Canciello, e soprattutto contro i privati confinanti Carmine Tursi e Anna Miele, difesi dall’avvocato Francesco Di Ciollo, da anni avversari e denuncianti le irregolarità dell’hotel.

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La vicende dei duplici ricorsi a Tar e Consiglio di Stato nasce nel maggio 2022, quando il Comune di Sperlonga aveva ordinato la demolizione dell’hotel del suocero del Sindaco di Sperlonga, Armando Cusani. Il complesso è appartenuto per un periodo di tempo anche all’attuale primo cittadino, che è stato anche processato, ottenendo una prescrizione, per il reato di lottizzazione abusiva contestata a lui e al suocero. La commissione istruttoria, nominata il 30 marzo 2022 dal Comune di Sperlonga, per via di una determina del Responsabile dell’Ufficio Urbanistica e Demanio del Comune di Sperlonga, l’ingegner Pietro D’Orazio, aveva avuto il compito di valutare i due permessi a costruire, di cui il secondo in variante, risalenti al 2004 e al 2005, e la concessione edilizia del 1992. Successivamente, a maggio 2022, il Comune aveva notificato un provvedimento (recante la data del 9 maggio) che annulla concessione edilizia e i due permessi a costruire, fissando in 90 giorni di tempo la demolizione dell’intero corpo fabbrica dell’albergo.

Il Consiglio di Stato, ribadendo quando disposto dal Tar, è stato chiaro: complesso abusivo. Prima di arrivare alla sentenza, il collegio dei giudici presieduto da Carlo Saltelli ha ripercorso l’annosa vicenda dell’hotel che inizia addirittura nel 1985 per proseguire tra denunce pubbliche e private, oltreché a ricorsi di natura amministrativa, senza contare le inchieste penali.

“Come condivisibilmente rilevato dal TAR, dalle sentenze penali intervenute nella vicenda de quo – si legge nella sentenza del Consiglio di Stato – è emersa una situazione complessiva di abusi edilizi“. Né la concessione edilizia del 1992 “ha mai avuto effetto per la mancata esecuzione della condizione, cui era subordinata, relativa alla demolizione della parte del complesso immobiliare adibita a discoteca“.

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E già “nelle domande di condono presentate nel 1986 – motiva il Consiglio di Stato – non erano stati correttamente dichiarati tutti i vincoli ricadenti sull’area”. Tra ciò di non (mai) dichiarato nella domanda di condono presentata al Comune anni or sono non c’era quello imposto sulle aree site nella fascia di rispetto stradale che “ha valenza di inedificabilità assoluta“. C’era “il divieto assoluto di costruire“, sintetizzano i giudici, tanto che “la mancata indicazione e valutazione dei vincoli ha comportato l’illegittimità della concessione rilasciata nel 1992 per la presenza di vincoli di inedificabilità”.

Su questo aspetto, i giudici sono ancora più chiari in quanto “l’illegittimità sotto i vari profili indicati della concessione del 1992 e l’abusività dell’opera dovuta alla mancata demolizione della discoteca nonché la stessa apposizione della medesima condizione al permesso di costruire n. 83/2004 hanno determinato l’illegittimità anche di tale permesso di costruire e della sua variante”.

Abusi peraltro ce ne sono stati anche nella realizzazione della piscina di 76 metri quadrati poiché “integrava una nuova costruzione non consentita in zona agricola”.

Anni di abusivismo praticamente per un’attività che ha prosperato senza che, a leggere le sentenze, avesse dovuto mai nascere.

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