FAIDA TRA FAMIGLIE A CISTERNA: CONDANNA DEFINITIVA

Faida tra famiglie a Cisterna di Latina: condannati dal Tribunale di Latina con i famigliari, la Cassazione respinge il suo ricorso

A novembre 2021, il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Latina, Mario La Rosa, aveva condannato Carlo, Alessandro e Sara Avagliano, accusati di aver compiuto una vera e propria spedizione punitiva contro una famiglia con cui, da tempo, andavano avanti litigi, sgarbi e violenze.

Il 31enne Carlo Avagliano era stato condannato a 2 anni e 4 mesi, mentre i fratelli Alessandro (25 anni) e Sara (23 anni) rispettivamente a 5 anni e 1 anno e 4 mesi.

Secondo quanto ricostruito dal sostituto procuratore Claudio De Lazzaro, che aveva chiesto la pena di 7 anni per Alessandro Avagliano e di 4 anni per i fratelli, e dal Commissariato di Polizia di Cisterna, già dal 2019 furono diversi gli episodi di violenza, minacce, danneggiamenti e risse tra i due gruppi rivali, culminati nel mese di luglio 2020 nella spedizione punitiva in cui comparve anche una pistola successivamente rinvenuta dai poliziotti a seguito di una perquisizione.

Per due dei componenti della famiglia rivale (il padre di 54 anni e il figlio di 27 anni) – denunciati in stato di libertà – il Questore di Latina ha emesso anche tre misure di prevenzione, un Avviso Orale e due Daspo Willy che avevano vietato loro la frequentazione di locali pubblici.

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Con la sentenza impugnata da uno de tre fratelli, Alessandro Avagliano, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della pronuncia emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Latina, ha assolto il 24enne dal reato di porto illegale di arma da guerra, confermando nel resto, previa rideterminazione della pena.

La Cassazione, nel respingere il ricorso del 25enne Avagliano, ricorda che, in merito alla asserita inefficacia intimidatoria della frase “pezzo di merda, infami bastardi”, pronunciata dall’imputato, il ricorrente replica semplicemente le proprie perplessità, senza misurarsi con il concreto contenuto del provvedimento impugnato.

La Corte capitolina ha infatti adeguatamente chiarito che “nei profili di gravame si è omesso di considerare che l’imputato, nel mentre proferiva la suddetta frase, era armato di un bastone di ferro, che brandiva minacciosamente, di modo che la valutazione complessiva della condotta deve tenere conto dell’intero contesto (non soltanto verbale), concludendo correttamente per il carattere senza dubbio intimidatorio dell’azione complessivamente intesa (p. 12). Ogni diversa lettura della vicenda, a partire dalla interazione con le persone offese, involge con ogni evidenza questioni di merito impossibili nel giudizio di legittimità, a fronte di un percorso argomentativo adeguato e privo di vizi logico-giuridici”.

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