DESIRÉE MARIOTTINI. AL PROCESSO HA PARLATO IL PADRE: “HO SAPUTO UNO SQUALLIDO RETROSCENA”

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Desirèe
Desirée

Nell’aula bunker di Rebibbia, al processo per la morte di Desirée, ha parlato il padre dell’adolescente, Gianluca Zuncheddu, tra il dolore e una rivelazione

Ho cercato di salvarla ma non ho potuto fare niente“, ha dichiarato davanti al giudice il 36enne di Cisterna. L’uomo aveva un divieto di avvicinamento nei confronti dell’ex compagna e madre della 16enne che non portava il suo cognome non avendola riconosciuta alla nascita. Eppure, ha ribadito più volte Zuncheddu, ha cercato sempre di starle vicino come quando – sostiene – ha litigato con alcuni spacciatori di Cisterna a cui aveva intimato di non vendere più la droga alla giovane figlia. Un mondo che, con tutta probabilità, Zuncheddu ha conosciuto bene essendo stato coinvolto in un’inchiesta per spaccio di stupefacenti.

Ieri, Zuncheddu, che apprese la notizia della morte della figlia quando era agli arresti domiciliari, è stato ascoltato dopo vari testimoni, tra i quali i medici legali che hanno effettuato l’autopsia, assicurando che avrebbe salvato la figlia “se solo avesse potuto intervenire“. Ne dà un esempio concreto quando ricorda di averla riportata a casa, su richiesta di aiuto della madre ed ex moglie Barbara Mariottini, pur avendo ancora il divieto di avvicinamento.

Poi, una rivelazione, dopo aver versato lacrime e commozione per tutta la sua testimonianza in Aula. “Sono stato a San Lorenzo e ho saputo lo squallido retroscena sulla morte di mia figlia“. Secondo la sua ricostruzione, Desirée sarebbe stata venduta agli spacciatori, che poi l’avrebbero drogata, stuprata e uccisa, da una delle ragazze che bazzicavano Via de Lucani, l’indirizzo del tugurio di San Lorenzo dove la giovane è morta.

Intanto, proprio ieri, ad Alinno “Cisco” Chima, uno dei quattro imputati, la Corte di Cassazione ha confermato le motivazioni convalidando la custodia cautelare in carcere poiché c’è “assenza di qualunque integrazione dell’indagato sul piano socio-economico in particolare per quanto concerne la disponibilità di lecite fonti di guadagno“, oltreché, hanno scritto gli ermellini, “la spiccata capacità a delinquere tratta dalla diuturna attività di spaccio e dalla estrema gravità del fatto (ndr: riferendosi al pericolo di fuga dell’imputato)”.

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