CLAN E POLITICA: SLITTA SENTENZA SU CETRONE E I DI SILVIO. DIFESA DI LALLÀ: “RICCARDO? UN GRAN PAGLIACCIO”

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Gina Cetrone
Gina Cetrone

Processo Scheggia: attesa per oggi, è slittata al prossimo mese la sentenza per l’ex consigliera regionale del centrodestra Gina Cetrone e il clan Di Silvio

Si sono svolte le arringhe del collegio difensivo: l’avvocato Domenico Oropallo per l’ex marito della consigliera regionale del Pdl, Umberto Pagliaroli, e l’avvocato Oreste Palmieri per gli altri due imputati, Armando detto “Lallà” e Gianluca Di Silvio. Non ha potuto, invece, svolgersi l’arringa difensiva per l’imputata principale, Gina Cetrone, a causa di una indisponibilità motivata dell’avvocato difensore, Lorenzo Magnarelli, il quale, non potendo partecipare per legittimo impedimento, ha presentato istanza di rinvio per discutere la posizione della sua assistita.

La difesa di Cetrone parlerà quindi alla prossima e ultima udienza fissata per il 4 novembre. In quella data è prevista anche la sentenza.

Oggi, 25 ottobre, entrambi gli avvocati, Oropallo e Palmieri, hanno chiesto l’assoluzione per i loro clienti. Arringhe che hanno puntato a smontare la credibilità del collaboratore di giustizia, Agostino Riccardo. L’avvocato Palmieri ha esordito spiegando di non aver capito le accuse mosse a carico di Armando Di Silvio, ritenuto dagli inquirenti concorrente morale dei reati. Come noto, agli imputati, a vario titolo, nel procedimento, vengono contestati i reati di estorsione, atti di illecita concorrenza, violenza privata, più gli illeciti connessi alle elezioni amministrative di Terracina 2016. Processato a parte, essendo correo, Agostino Riccardo, il collaboratore di giustizia le cui dichiarazioni hanno avuto un peso rilevante nelle disposizioni accusatorie degli inquirenti.

Secondo l’avvocato Palmieri, peraltro, non vi è imputazione specifica per la campagna elettorale riguardante le Comunali di Terracina 2016, bensì viene avanzata l’ipotesi di violenza privata. La difesa ha puntato sul fatto che l’estorsione di cui si sarebbero macchiati gli imputati è lo stesso reato ipotizzato per Agostino Riccardo, imputato a sua volta per il procedimento connesso. Tuttavia, per il legale, non ci sono riscontri alle dichiarazioni dell’ex affiliato ai clan rom e la stessa aggravante mafiosa travalica la circostanza per cui Armando Di Silvio non ha ancora subito una sentenza irrevocabile che includa l’associazione mafiosa (condannato in primo grado al 416 bis nel processo “Alba Pontina”, il suo ricorso pende in Corte d’Appello).

L’imprenditore di Pescara, che si presume estorto, non è stato obbligato a pagare ma compie di sua sponte il bonifico da 15 mila euro per Cetrone, così come di sua volontà paga Riccardo e i Di Silvio che lo avevano accompagnato in Abbruzzo, così da onorare il suo debito alla impresa di Cetrone e Pagliaroli che gli aveva fornito il materiale (vetro).

Parlare di “zingari di Latina”, così come ha fatto Gianluca D’Amico – terracinese che alle elezioni comunali del 2016 sosteneva come sindaco il padre Gianni D’Amico e che, secondo la DDA, dovette soccombere, in merito all’attacchinaggio dei manifesti elettorali, alla concorrenza illecita e violenta di Riccardo e del clan Di Silvio – è termine generico, per di più confonde tra un clan e un’etnia.

Come si evince dal processo madre “Alba Pontina”, secondo l’avvocato Palmieri, Agostino Riccardo recuperava le cosiddette storie di imprenditori e semplici cittadini in difficoltà con i pagamenti verso terzi, per poi procedere a estorcere spendendo il nome dei Di Silvio. È lui a parlare in prima persona, a sfruttare il nome del clan di Campo Boario, senza contare che l’attacchinaggio di manifesti elettorali non è reato e che è lo stesso imprenditore di Pesca a dare i soldi ad Agostino Riccardo, verso il quale, persino nell’incontro avuto con lui, Cetrone, Pagliaroli, Gianluca e Samuele Di Silvio, a Capocroce, presso la casa della mamma dell’ex consigliera regionale del Pdl, avrebbe sviluppato una certa familiarità.

Ma la difesa si fa ancora più esplicita quando nell’arringa ha voluto seppellire la credibilità del “pentito” il quale, secondo l’avvocato Palmieri, deve avere dei problemi: “Per me – ha detto il legale in aula – come chiunque collabora, Riccardo ha qualcosa che non va. Sono stato educato sin da bambino a non fare la spia“.

Sarebbe stato, inoltre, lo stesso D’Amico a proporre l’accordo a Riccardo, ma solo perché costretto da quest’ultimo e non dalla forza intimidatoria dei cosiddetti “zingari di Latina”. E sempre Agostino Riccardo – ha sostenuto l’avvocato Palmieri – è un personaggio miserevole, che in passato ha compiuto un’estorsione a una prostituta e per questo non è stato difeso dall’avvocato stesso.

Riccardo, insomma, avrebbe capacità da mitomane: esemplificativo l’episodio di Armando Cusani accompagnato dai Di Silvio e Riccardo a La Fiora (Terracina) durante la campagna elettorale di Terracina 2016 e venuto all’appuntamento con i due malviventi alla guida di un fiorino presso un benzinaio tra Terracina e Sperlonga. Una circostanza che non è stata verificata dal momento che il Tribunale aveva respinto la sua testimonianza nel corso di questo processo. “Per noi – ha detto l’avvocato Palmieri – Riccardo è un grande pagliaccio, farneticante, a Latina lo conosciamo tutti…Ai Di Silvio questi processi hanno tolto la dignità e anche un figlio, ossia Samuele Di Silvio (nda: coimputato nel processo Scheggia ma deceduto nel carcere di Agrigento per cui è stata aperta un’inchiesta contro ignoti). E non ho visto nessuna pietas neanche in questa aula”.

Dunque, l’accordo sui manifesti elettorale non fu imposto ma fu chiesto da D’Amico: non c’è violenza privata, secondo la difesa. E il contributo del concorrente morale, Armando Di Silvio, non ha ragione di esistere, anche perché il capo famiglia rom non viene mai nominato dalle parti offese. Non sussiste neanche l’elemento psicologico né da parte di Cetrone né da parte, eventualmente, di Lallà per ottenere un ingiusto profitto, tanto è che l’imprenditore risulta ancora debitore. A margine dell’arringa dell’avvocato Palmieri, il Tribunale ha chiesto di disporre nuovamente la verbalizzazione del controesame di Agostino Riccardo, datato 21 settembre 2021, poiché ci sono frasi non leggibili.

La difesa di Pagliaroli, rappresentata dall’avvocato Oropallo, ha puntato anch’essa a smontare le accuse e soprattutto la credibilità di Agostino Riccardo, evidentemente considerato il perno di questo processo. Ci sono tutti gli elementi per trasformare il procedimento in una vicenda mediatica, ha detto il legale di Pagliaroli: ci sono i pentiti di mafia, l’imprenditore con una speciale visibilità politica. Tutti elementi che hanno agevolato l’attenzione dell’informazione locale e non solo.

Critiche anche al Pm Corrado Fasanelli che ha parlato di accordo para-associativo ed è ricorso al sarcasmo: “Mi sarei aspettato più distacco”, ha detto l’avvocato Oropallo. E, inoltre, i rapporti tra Cetrone e Riccardo hanno prodotto una truffa nelle elezioni del 2013 (l’avvocato si riferisce al dirottamento di voti destinati in un primo momento alla medesima Cetrone e che poi sarebbero pervenuti dalla curva del Latina Calcio a Nicola Calandrini, attuale senatore di Fratelli d0Italia), il recupero crediti di una parziale quota rispetto al debito dell’imprenditore di Pescara e l’appoggio in una campagna elettorale che non ha portato a niente. “Un po’ di pregiudizio c’è“, ha detto l’avvocato. Inoltre, i collaboratori sono un po’ smargiassi e da terze o quarte fila della malavita pontina hanno fatto il salto di qualità con la collaborazione con lo Stato. Riccardo in particolare ha avuto comportamenti maramaldeggianti, dichiarazioni funamboliche. “Sono triste a vedere Riccardo che depone col berretto rovesciato come fosse in un rave“.

Per quando riguarda l’estorsione all’imprenditore di Pescara, per il legale mancherebbe l’interesse di Cetrone che aveva comunque delle garanzie sul credito. “Il quadro che emerge è goffo“.

Nella scorsa udienza aveva già completato la sua arringa l’avvocato Luca Giudetti che aveva chiesto anche lui, per il suo assistito, Armando Di Silvio, l’assoluzione poiché, secondo il legale, non era a conoscenza di ciò che faceva Agostino Riccardo e perché neanche la vittima di estorsione aveva percezione della mafiosità del clan rom.

Lo scorso 18 ottobre, invece, al termine della requisitoria, il Pm Luigia Spinelli, che ha firmato l’inchiesta denominata Scheggia, insieme al collega della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, Corrado Fasanelli, e alla Squadra Mobile di Latina, aveva chiesto le condanne per tutti gli imputati: Gina Cetrone, l’ex marito Umberto Pagliaroli, il capo famiglia del clan Di Silvio, Armando detto “Lallà”, e il figlio di quest’ultimo, Gianluca Di Silvio.

Per Cetrone e Pagliaroli chiesti 7 anni e 6 mesi di reclusione ciascuno, più 7mila euro di multa; per i due Di Silvio, 13 anni di reclusione oltreché a una multa da 15mila euro. Parte civile nel processo l’Associazione Antonino Caponnetto, la cui posizione è già stata esplicitata dall’avvocato Manasseri al termine della requisitoria dei Pm Spinelli e Fasanelli.

Un processo complesso e che ha visto darsi battaglia accusa e difesa sin dall’inizio. Uno dei momenti clou, oltreché alla testimonianza dell’imprenditore estorto che dichiarò di aver pagato per paura dei Di Silvio, era stato a settembre scorso il confronto in aula tra Gina Cetrone e il collaboratore di giustizia Agostino Riccardo (in realtà video collegato dal carcere), le cui dichiarazioni, insieme a quelle dell’altro collaboratore di giustizia, Renato Pugliese, hanno costituito sia in fase d’indagine che nel corso del dibattimento il perno delle accuse all’ex consigliera regionale. Un vis a vis che è stato una vera e propria prima volta nella storia giudiziaria della città di Latina.

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