CLAN CIARELLI, FISSATO L’APPELLO PER IL PROCESSO “PUROSANGUE”

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Il profilo Facebook Purosangue Ciarelli con cui Carmine detto Prochettone avrebbe inviato messaggi intimidatori alle vittime di usura ed estorsione

Clan Ciarelli, si discuterà a novembre l’appello del processo “Purosangue” che ha messo alla sbarra per alcuni tra i membri più significati del sodalizio latinense di origine rom

È stata fissata per il 18 novembre l’udienza in cui si discuterà il secondo grado di giudizio alla Corte d’Appello di Roma per il processo derivante dall’indagine della DDA di Roma e della Squadra Mobile di Latina denominato “Purosangue”. La sentenza di primo grado è stata impugnata anche da alcuni avvocati del collegio difensivo. Intanto, il collegio del Tribunale capitolino ha concesso la misura più lieve (rispetto al carcere) degli obblighi di firma, con divieto di dimora a Latina, Matteo Ciaravino, difeso dall’avvocato Francesco Vasaturo.

A ottobre 2024, era durata quattro ore la camera di consiglio del I collegio del Tribunale di Latina composto dai giudici Gian Luca Soana, Francesca Coculo e Roberta Brenda. Alla fine i verdetti sugli imputati ridimensionarono le richieste di condanna da parte della Direzione Distrettuale Antimafia che contestava ai Ciarelli e sodali reati con l’aggravante del metodo mafioso. Il sodalizio più radicato e temuto in città per anni ottenne un risultato probabilmente insperato. Neanche nelle fasi di indagine, era stato contestato ai Ciarelli l’associazione mafiosa, bensì i reati con l’aggravante mafiosa.

La pena più considerevole è stata per Pasquale Ciarelli. Il figlio del boss Carmine Ciarelli ha rimediato una condanna a 11 anni di reclusione, ma il metodo mafioso è rimasto solo per uno dei capi di imputazione contestati. Matteo Ciaravino, invece, è stato condannato a 5 anni di reclusione, per lui ha retto l’aggravante di aver commesso il reato di cui è accusato con l’aggravante del 416 bis, in concorso al rampollo di casa Ciarelli, Roberto Ciarelli, già condannato in abbreviato e poi in Appello (pena ridotta). Condannato a 6 anni e 8 mesi, più 6mila euro di muta, anche il numero due del clan Ciarelli, Ferdinando “Furt” Ciarelli. Per tutti e tre i condannati era scattata anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

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Assolti Rosaria Di Silvio (moglie di “Furt” e sorella di Armando “Lallà” Di Silvio, condannato a oltre 24 anni per associazione mafiosa), Manuel Agresti e Antoniogiorgio Ciarelli che ha ottenuto la seconda assoluzione dopo il processo per l’omicidio di Massimiliano Moro. In entrambi i processi, Antoniogiorgio Ciarelli era difeso dall’avvocato Alessandro Farau. Non luogo a procedere per difetto di querela, invece, per il 26enne Ferdinando Ciarelli (per lui cade l’aggravante della detenzione dell’arma), assistito dall’avvocato Marco Nardecchia e per Ferdinando “Macù” Ciarelli, difeso dall’avvocato Italo Montini e dall’avvocato Vincenzo Buffardi, per il quale è maturata la prescrizione del reato imputatogli. La prescrizione era stata dichiarata a seguito dell’insussistenza dell’aggravante del metodo mafioso e della recidiva.

Il metodo mafioso ha retto per tutti e tre i condannati – Pasquale Ciarelli, Ferdinando “Furt” Ciarelli e Matteo Ciaravino -, ma per i primi due è caduto per la maggior parte dei capi di imputazione di cui dovevano rispondere.

Tra i reati più importanti, varie vicende di estorsione, violenza privata, danneggiamento, usura. Dieci in tutto gli episodi estorsivi raccolti dagli investigatori della Squadra Mobile di Latina e finiti nel processo. L’inchiesta era stata coordinata, come accennato, dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma.

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La requisitoria dei pubblici ministeri era stata divisa in due. Al pm Valentina Giammaria era toccato il lavoro più lungo, citando capo di imputazione per capo di imputazione, ripercorrendo così tutte le vicende criminali contestate agli imputati e menzionando, quindi, nel dettaglio le estorsioni a commercianti, locali della movida, avvocati e professionisti. Estorsioni che in alcune occasioni erano state compiute nel carcere di Latina, per anni controllato dai Ciarelli.

Al Pm Luigia Spinelli, invece, il compito di sintetizzare su chi erano stati i Carelli a Latina. Il magistrato, da anni sulle tracce dei clan rom di Latina, aveva ribadito che il senso di inchiesta era quello di dimostrare la caratura criminale dei Ciarelli che vige da decenni nel capoluogo pontino. Estorsioni che si erano protratte negli anni contro avvocati, professionisti, detenuti.

Una vicenda criminale, quella del clan di Pantanaccio, che si è inasprita con la cosiddetta guerra criminale del 2010, quando i membri della famiglia dimostrarono la loro potenza di fuoco, colpendo a morte (Massimiliano Moro su tutti) o intimidendo con il piombo coloro che avevano osato sfidare il loro potere e attentato alla vita di Carmine Ciarelli, sparandogli davanti al Bar Sicuranza nel quartiere roccaforte.

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L’indagine parte dai tre collaboratori di giustizia Renato Pugliese, Agostino Riccardo e Andrea Pradissitto. In particolare, Pradissitto, parente dei Ciarelli, avendo sposato la figlia del numero due del clan, Ferdinando Ciarelli detto Furt. Chi finiva nel mirino di un Ciarelli, finiva nel mirino di tutto il clan, senza contare che ci sono persone che hanno abbandonato le loro attività o addirittura si sono trasferiti altrove.

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