Delitto di Ferdinanto “Il Bello” Di Silvio, l’autobomba di Capo Portiere rimane un rebus. Il ricorso della DDA di Roma è stato rigettato dal Tribunale del Riesame che ha confermato la decisione del Gip: negati gli arresti di Carlo Maricca e Fabrizio Marchetto
Discusso il 23 febbraio scorso, adesso è ufficiale: il Riesame di Roma non ha accolto l’appello della Direzione Distrettuale Antimafia che aveva chiesto gli arresti dei due noti pregiudicati pontini Carlo Maricca e Fabrizio Marchetto, indagati insieme a Gianluca Giannangeli, Antonio Mazzucco detto Tulò e Marcello Caponi detto Michigan, per l’omicidio più efferato della storia del crimine pontino: quell’autobomba che il 9 luglio 2003 uccise il figlio di uno dei due capostipiti della famiglia Di Silvio. Arresti che erano stati respinti, per carenza indiziaria, dal Gip del Tribunale di Roma Andrea Fanelli.
Secondo la DDA, appariva “evidente come l’ideazione, preparazione e consumazione dell’omicidio di Ferdinando Il Bello mediante la realizzazione di un’autobomba (ndr: posta nelle stereo della Fiat Uno a Capo Portiere) costituisca espressione del chiaro intento del gruppo riconducibile a Carlo Maricca di affermarsi sul territorio come consorteria indiscussa, in grado di pianificare un delitto con modalità non comuni, accedendo a mezzi tecnici e conoscenze logistiche degne delle organizzazioni mafiose di tipo tradizionale”.
E sì perché, per la DDA, esiste un sodalizio costituito da Carlo Maricca e altri soggetti come Marchetto, ritenuto un suo affiliato, a tal punto che l’omicidio de Il Bello, secondo investigatori della Squadra Mobile di Latina e inquirenti dell’Antimafia capitolina, avrebbe avuto anche l’aggravante mafiosa proprio come di Massimiliano Moro che, sette anni dopo, nel 2010, fu freddato con due colpi di pistola, uno alla testa e l’altro al collo, mentre faceva un caffè nella sua abitazione. Ma mentre per quest’ultimo la DDA ha avuto il lasciapassare del Gip del Tribunale di Roma Francesco Patrone, per l’omicidio de Il Bello lo stesso ufficio Gip ha negato gli arresti il cui niet è ora confermato dal Riesame, presieduto dal giudice Maria Viscito, che non ha rinvenuto “dati obiettivi in grado di sostenerne la capacità indiziaria”.
Maricca e Marchetto erano stati già indagati, insieme a Giannangeli e Caponi, all’indomani dell’esplosione della Fiat Uno a Capo Portiere. Anni fa l’allora sostituto procuratore della Procura di Latina Raffaella Falcione, prima di archiviare tutto nel 2012, non utilizzò la parola “mafia” ma parlò in riferimento all’autobomba come di un episodio da “criminalità di spessore“.
Successivamente, con le nuove dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Renato Pugliese e Agostino Riccardo e importanti riscontri investigativi della Squadra Mobile, l’inchiesta per omicidio con l’aggravante mafiosa è stata riaperta nel 2018.
Al di là delle intercettazioni inserite nell’inchiesta (2010) che portò al Processo Caronte , quando i Di Silvio parlavano di Maricca come un altro della malavita non rom da colpire sostenendo che, però, all’epoca, sarebbe scappato in Romania per evitare conseguenze più gravi, le nuove indagini basate su diverse intercettazioni hanno fatto risaltare parole considerate rilevanti dagli organi investigativi: indagando su un una banda che sarebbe stata retta da Alessandro Zof e Valeriu Cornici (recentemente arrestati nell’Operazione Reset), è spuntato Carlo Maricca che, intercettato, si è lasciato andare “a rilevantissime esternazioni autoaccusatorie”.
“Quando se parla de me – diceva Maricca a un interlocoture – ma io c’ho una storia veramente de crimini veri…mo non c’entravo…c’entravo…non c’entravo…ma era una criminalità quella vera…erano crimini fatti in una certa maniera…mai scoperti, mai risolti, omicidi, colpi grossi delle…un gruppo di persone pronte a sparare veramente…Non è mai uscito un pentito, mai chiacchiere, mai un infame in mezzo a noi”.
Non solo Maricca, però. “Doveva morire anche Carlo Maricca per quello che aveva fatto in precedenza…quando ha saputo che c’era questa guerra in atto lui, a quanto mi ha detto Armando Di Silvio, è scappato in Romania per tempo…è uno scaltro, è un viscido” – ha sostenuto Pugliese nel corso di un’udienza di Alba Pontina, riferendosi al 2010 quando era in corso la guerra criminale, aggiungendo che l’avrebbe voluto morto per “una truffa che facemmo al fratello di Giacomo Paniccia che stava con lui”.
La storia dell’uccisione de Il Bello è molto controversa: meno di un mese prima che Ferdinando Di Silvio esplose con tutta l’auto, Luca Troiani, suo cognato, il 21 giugno 2003, aveva subito una ritorsione. Otto anni di reclusione fu la condanna che il collegio dei giudici del Tribunale di Latina emisero a carico di Fabrizio Marchetto, l’uomo che sparò tre colpi di pistola contro l’allora 32enne Troiani gambizzandolo. 18 giorni dopo, deflagrò l’auto e si portò via Il Bello che all’epoca, uscito dal carcere per altri reati, lavorava come parcheggiatore al Lido di Latina inserito nella cooperativa sociale “Il Gabbiano”.
Secondo la Dda, Troiani sarebbe stato ferito dopo aver frenato con l’auto di fronte a Marchetto facendogli temere un’aggressione. In seguito, a Troiani fu anche sottratta una pistola finita nelle mani del Marchetto. Insomma, non scorreva buon sangue tra i due tanto da arrivare alla gambizzazione.
Dopo l’agguato, “Il Bello” avrebbe cercato di vendicarsi, presentandosi da Maricca, a cui Marchetto era legato, e chiedendogli sia di consegnargli l’uomo che aveva sparato al cognato che un risarcimento di 300 milioni di lire. Successivamente, un altro episodio choc: Patatone, il figlio de Il Bello, avrebbe incontrato il figlio di Maricca in discoteca per poi picchiarlo
Ecco che, allora, Carlo Maricca sarebbe andato a casa de Il Bello per chiarire e lì avrebbe risposto a una provocazione di Di Silvio: “Poi fa na battuta, noi semo tanti, Ferdinà non fa ste battute. Noi semo cinque, famo la guerra per tutto il mondo”. Il Bello, alla fine, morì veramente e prima di spirare avrebbe rivelato a un Carabiniere gli autori del suo omicidio: Maricca e Marchetto, per l’appunto.
Secondo gli inquirenti, i Di Silvio avrebbero, poi, cercato di inquinare le prove, “per realizzare un personale piano di vendetta” ai danni di Maricca e dei suoi uomini. In prima fila, il fratello de Il Bello: Giuseppe “Romolo” Di Silvio (ora in carcere per l’omicidio Buonamano nell’ambito della guerra criminale pontina del 2010). Inoltre, nelle fasi successive alla tragedia dinamitarda, Troiani e il fratello chiesero protezione a un pregiudicato di Aprilia, all’epoca con un peso criminale negli ambienti: si trattava di Luca De Luca, intercettato dai Troiani tramite Gualtiero Sandri.
Marchetto, sette anni dopo, nel 2010, durante la cosiddetta guerra criminale fu vittima di un agguato per mano dei Ciarelli/Di Silvio. Un episodio che però non ha mai trovato definitivo chiarimento.
Gli stessi chiarimenti per il delitto de Il Bello che ora, alla luce del ricorso respinto dal Riesame, appaiono lontani.