ALBA PONTINA, LA CONFERMA: “LE SOFFIATE DAL CENTRALINO DELLA GUARDIA DI FINANZA DI LATINA”

Palazzo M a Latina, sede del Comando Provinciale della Guardia di Finanza
Palazzo M a Latina, sede del Comando Provinciale della Guardia di Finanza

Alba Pontina: nella nuova udienza che si è celebrata oggi nella Corte d’Assise del Tribunale di Latina, a parlare l’ex capo della Squadra Mobile Antonio Galante. A sorpresa, durante l’udienza odierna, il legale di Armando “Lallà” Di Silvio, Oreste Palmieri, ha abbandonato l’Aula, rinunciando al suo mandato, in polemica con i pm Spinelli e De Lazzaro contestando il loro modo di gestire i testimoni dell’accusa e gli interrogatori. Prossima udienza: il 15 luglio

Antonio Galante era arrivato a Latina a novembre del 2015 per ricoprire l’incarico del vice questore aggiunto Tommaso Niglio che assumeva l’incarico di dirigente della Squadra Mobile di Salerno (ora è a Trento).
Un periodo molto particolare per la lotta alla mala organizzata di Latina: da un mese erano scattati gli arresti per CostantinoCha Cha” Di Silvio, i fratelli Travali e il loro gruppo. Un’indagine, quella di Don’t touch, che vide coinvolti anche l’allora deputato e Presidente del Latina Calcio Pasquale Maietta (la sua posizione fu archiviata, solo un antipasto di quello che le indagini della Procura gli avrebbero riservato in seguito) e un pezzo da novanta del crimine pontino come Gianluca Tuma, il quale alla fine se la cavò con un’intestazione fittizia di beni e, al contempo, una confisca del suo patrimonio grazie alla Divisione Anticrimine della Polizia di Latina.

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Tempi lontani: basti pensare che quando furono arrestati i dontaccisti, vi fu una grande manifestazione sotto la Questura che incoronò l’allora Questore Giuseppe De Matteis, non senza qualche strumentalizzazione politica dei nuovi gruppi civici emergenti.

Galante, che da poco è stato promosso come Primo Dirigente della Polizia di Stato, rimase un po’ di più di un anno e mezzo a Latina, fino al maggio 2017, proprio in tempo per comprendere che a Latina c’era una piazza di spaccio ramificata e militarizzata come quella messa in piedi dal ramo dei Di Silvio capeggiato da Armando detto Lallà, ma sopratutto per avere la conferma che quello fosse un clan inserito in una storia di più clan che andava avanti da decenni.
Ecco perché, oggi, in Aula, nel rispondere alle domande del pm Claudio De Lazzaro, e poi al contro-esame dell’avvocato di Lallà, Oreste Palmieri, Galante, prima di parlare delle estorsioni (accennate quelle a un avvocato e un commercialista), della droga spacciata e delle elezioni amministrative per Gina Cetrone nel 2016, ci ha tenuto a contestualizzare, scavare nella memoria, citare i legami famigliari sinti e gli episodi più rilevanti del suo soggiorno latinense come la rivalità tra i Ciarelli e i Di Silvio. Non a caso ha menzionato l’episodio in cui le donne dei due clan, più qualche uomo e qualche bastonata, si fronteggiarono tra via Andromeda e via Muzio Scevola a causa dell’affronto di un Ciarelli che aveva preso casa nel “regno” dei Di Silvio: Campo Boario.

E poi ancora una lunga carrellata di nomi, sempre gli stessi, ma utilissimi nel comprendere che un poliziotto esperto come Galante abbia dovuto sviscerare la ferocia dei clan sinti di Latina, così incistati nella città da esigere uno studio accurato di vicende anche risalenti a parecchi anni prima.

Per tali ragioni, Galante ha citato a più riprese il Processo Caronte, derivante dalla guerra criminale originata dagli spari al boss Carmine “Porchettone” Ciarelli, gli agguati ad Alessandro Zof e Fabrizio Marchetto, il pentimento poi ritrattato di Roberto Toselli (tentò il suicidio in carcere pur di non testimoniare, a maggio 2016, nell’ambito del processo Don’t touch) che servì agli agenti della Squadra Mobile per squarciare un velo sui clan Travali e Di Silvio.

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Eppure, il punto più rilevante, almeno a parere dello scrivente, è la ricostruzione dell’estorsione madre di Alba Pontina, quella all’ex direttore sportivo del Latina Calcio a 5 del patron Gianluca La Starza, Davide Malfetta, già ampiamente descritta (vedi link sotto).

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Un fatto criminoso che, oltre a dare l’impulso al pentimento di Renato Pugliese (già confidente di polizia dal 2014), e a seguire quello di Agostino Riccardo, determinò la vicenda più oscura dell’indagine: le famigerate telefonate dal centralino del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Latina con le quali Antonio Fusco, detto Zi’ Marcello, tentava di depistare le indagini della Squadra Mobile pronta ad arrestare Pugliese, Riccardo, Pupetto e Samuele Di Silvio i quali, da tempo, taglieggiavano con richieste estorsive Malfetta, all’epoca gestore di un ristorante a Sermoneta Scalo.

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Una chiamata dall’Argentina (così la soprannominavano, in gergo, i Di Silvio e i loro sodali, la Gdf), quella di Zi’ Marcello, che apre uno squarcio e suggerisce l’interrogativo più inquietante: cosa ci faceva uno come Antonio Fusco, un personaggio noto a tutta la mala pontina, dentro un ufficio del Comando Provinciale della Gdf di Latina?
Galante ha dichiarato che non riuscirono a risalire da quale ufficio chiamasse ma che fosse dal centralino delle Fiamme Gialle lo ha confermato, dopo di lui, anche uno dei poliziotti più valorosi dell’intera inchiesta Alba Pontina, Mirko Snidaro, ascoltato nel pomeriggio in un’aula ormai quasi deserta eccetto gli avvocati di parte, i magistrati e le donne della famiglia Di Silvio.

A capire di più sul mistero Fusco, si spera possa fare luce il probabile processo a carico di Zi’ Marcello dopo che, ad aprile scorso, la Procura e la DDA di Roma gli hanno recapito l’avviso di garanzia per favoreggiamento: dovrà spiegare come abbia saputo dell’indagine a carico dei Di Silvio nel 2016 (estorsione Malfetta) e le sue soffiate: è auspicabile, quantomeno, che si comprenda cosa diavolo ci facesse al Comando Provinciale della Guardia di Finanza uno come lui.

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