A nostro parere l’adesione alla Lega da parte di persone che si richiamano ai valori della Destra rappresenta una grande contraddizione e probabilmente è figlia soltanto dell’opportunismo che caratterizza gli italiani (non tutti), sempre pronti a salire sul carro del vincitore (oggi tutti i sondaggi danno stabilmente la Lega come primo partito italiano).
LA GRANDE CONTRADDIZIONE
La contraddizione è evidente.
La Lega, pur avendo tolto dal proprio nome la parola nord, rimane comunque un partito che prevede un modello di Stato che nulla ha a che vedere con la storia, la cultura, le radici e i valori della Destra italiana.
Secondo il Lega-pensiero le competenze statali dovrebbero essere molto limitate e gran parte di esse dovrebbe essere trasferite a favore degli enti regionali.
È il caso di ricordare che il Movimento Sociale Italiano (fondato nel 1946 e da cui poi è nata Alleanza Nazionale) fece una intensa e importante battaglia parlamentare contro l’Istituzione delle Regioni, argomentando che le stesse avrebbero potuto minare l’unità nazionale e sarebbero state, come in realtà purtroppo è avvenuto, una fonte di spesa pubblica incontrollata.
Vi è anche da sottolineare che tutti gli autori di riferimento della Destra italiana hanno sempre indicato come un valore importante quello della centralità dello Stato.
La stessa cosa risalta chiaramente se si vanno a rileggere gli interventi parlamentari, gli articoli e le interviste degli esponenti politici più rappresentativi della Destra italiana, primo fra tutti Giorgio Almirante.
Non si tratta di questioni minori o residue, ma di una posta in gioco molto alta, che riguarda ad esempio materie come l’energia, l’ambiente, le infrastrutture, la cultura e, addirittura, i programmi di insegnamento nelle scuole.
Come può un politico che continua a richiamarsi ai valori della Destra condividere tutto ciò?
Probabilmente una risposta c’è ed è anche molto semplice.
L’OPPORTUNISMO
Occorre a questo punto fare una distinzione, che può apparire sottile ma è sostanziale, nell’ambito dei cosiddetti ex AN.
Ci sono quelli che erano iscritti al partito o semplicemente votavano Alleanza Nazionale e un bel giorno del febbraio 2008 (incontro di Fini con Berlusconi nella sua villa di Arcore per la nascita del PdL) si sono trovati, senza averlo voluto, privati del loro partito e sono quindi diventati, per forza maggiore, degli ex.
Ci sono poi gli altri, quelli che, sempre pronti a salire sul carro del vincitore (Fini all’epoca era il leader indiscusso e indiscutibile), hanno invece condiviso la scelta.
È da sottolineare, al di là delle proprie convinzioni politiche, che il modo in cui si sciolse Alleanza Nazionale (un partito presente su tutto il territorio italiano e con un consenso elettorale su base nazionale giunto anche al 15%) fu al tempo stesso paradossale e surreale.
Il leader nazionale Gianfranco Fini si recò un pomeriggio ad Arcore da Berlusconi e da solo decise di accettare la proposta di confluire nel PdL cancellando Alleanza Nazionale.
Effettivamente, da un punto di vista commerciale l’offerta era allettante: Berlusconi garantiva una bella quota del 30% agli ex AN e lui si sarebbe accollato nel suo 70% tutti gli altri ammenicoli del centro-destra (tipo Rotondi ad esempio).
Tutti i vari capi e capetti di AN non si posero il problema che lo scioglimento di un partito importante che rappresentava la Destra italiana non poteva essere sancito da un incontro a due a casa di Berlusconi, ma avrebbe necessitato di passaggi politici importanti all’interno del partito.
Pensarono con miopia soltanto alle loro poltrone che (nell’immediato) continuavano ad essere ben salde (abbiamo visto poi come è andata a finire).
L’opportunismo di allora si ripete oggi.
Sono passati dalla “rivoluzione liberale” di Berlusconi alla “autonomia differenziata” di Salvini.
Ci sembra di vederli questi ex AN neoleghisti nel corso di qualche riunione provinciale o comunale che discutono con l’immagine di Alberto da Giussano che li sovrasta (non ci pare che il capo militare della Lega Lombarda del XII secolo sia mai stato un punto di riferimento per la Destra italiana). Chissà poi se avranno le stesse linee di veduta del consigliere comunale eletto nel PD e ora anche lui salviniano Massimiliano Carnevale.
Viene in mente una frase di Pirandello: “Nella mia vita ho incontrato molte maschere ma pochi volti”.
Ecco questi ex AN neoleghisti non hanno volti, sono solo maschere che camminano portandosi appresso un culo al quale trovare una poltrona.
LA DESTRA MADE IN LATINA NEL 2019
In realtà a livello di partiti la Destra a Latina non c’è più.
Come abbiamo evidenziato nell’articolo “Fratoni d’Italia made in Latina”, il partito di Giorgia Meloni, dopo lo sconcertante ed inquietante innamoramento nei confronti di Pasquale Maietta, è ora una sorta di sezione di Forza Italia guidata da Calandrini e Tiero, che se ne sono andati dal partito di Berlusconi soltanto perché Fazzone ha puntato su altri invece che su di loro e hanno quindi cercato lidi più accoglienti e profittevoli.
Gli ex AN, o meglio gli ex-finiani ed ex-berlusconiani che ora in realtà sono soltanto degli ex e basta, stanno cercando di sopravvivere confluendo nel partito di Salvini, che dalle nostre parti assomiglia sempre più a un comitato politico di opportunisti.
Non solo, la Lega si caratterizza anche per alcune inquietanti opacità che abbiamo evidenziato negli articoli pubblicati da Latina Tu: “Lega made in Latina”e Bastarda Pontina parte III.
Questi ultimi sono aspetti che a dire il vero riguardano la Lega in tutti i territori che vanno dal Lazio in giù. Come documentato dal programma Report nella trasmissione del 10 dicembre 2018, la Lega nel centro-sud sta diventando una sorta di centro per la raccolta e il riciclo dei peggiori vecchi politici.