Pentimenti e dissociazioni nel Clan Ciarelli: dopo la notizia della presunta collaborazione con lo Stato da parte del numero 2 del Pantanaccio Ferdinando “Furt” Ciarelli, il figlio 25enne Roberto smentisce
Altro aspetto clamoroso nella vicenda del pentimento di due appartenenti del Clan di Pantanaccio. Domenica 20 giugno, Latina Oggi dà in anteprima la notizia che Ferdinando detto “Furt”, 58 anni, fratello Carmine e figlio del capostipite Antonio, e il genero Andrea Pradissitto, che ha sposato la figlia Valentina Ciarelli, hanno iniziato un percorso di collaborazione con lo Stato.
In questi casi, ci sono sei mesi di tempo per raccontare tutto a magistrati e investigatori i quali, a loro volta, riscontrano quanto detto e attestano la credibilità o meno del cosiddetto pentito. Una prassi ormai consolidata, a volte criticata (ad esempio negli Stati Uniti, non ci sono limiti temporali per un collaboratore di giustizia) ma che sicuramente, al di là di casi (la letteratura è vasta) in cui il pentimento si è rivelato falso o “ripensato”, ha portato molti frutti nella lotta alla mafia e al crimine sin dai tempi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
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È delicata la prima fase della collaborazione con lo Stato. Basti al recentissimo caso del boss di ‘ndrangheta Nicolino Grande Aracri, detto “Mano di gomma”, che, a inizio giugno, è entrato e uscito dal programma di protezione e collaborazione in un battito d’ali. Il tempo che la Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro ha capito che il boss dei “cutresi”, che sono riusciti a infestare anche l’Emilia Romagna, il Veneto, la Lombardia e il Piemonte, ha finto di collaborare per “screditare gli altri collaboratori” e avvelenare i processi in corso così che la Procura guidata da Nicola Gratteri lo ha bollato come “inattendibile”.
Tornando alle latitudini pontine, a sparigliare le carte sul pentimento del padre Ferdinando “Furt” Ciarelli, un capo nell’organigramma famigliare dei Ciarelli, condannato a oltre 18 anni nel processo Caronte, e a febbraio di nuovo indagato per l’omicidio con l’aggravante mafiosa di Massimiliano Moro (commesso nel 2010) in seno alla guerra criminale pontina, è il figlio Roberto Ciarelli.
Testa calda il 25enne che, a quanto riportava il quotidiano pontino, si era da subito dissociato dal presunto pentimento del padre e del cognato Pradissitto, non entrando nel programma di protezione come il resto della famiglia. Ma qualcosa non quadrava sin dall’inizio e ora, o meglio nella serata del 20 giugno (giorno in cui è stata pubblicata la notizia), Roberto Ciarelli ha scritto sulla sua pagina Facebook un messaggio inequivocabile.
“Mi chiamo Roberto Ciarelli figlio di Ferdinando Ciarelli. Scrivo questo post in anticipo alla smentita che uscirà sui giornali a breve in quanto quest’oggi i giornali hanno pubblicato articoli e foto infangando l’onore di mio padre che è attualmente detenuto presso la casa circondariale di Lecce e non ha intrapreso alcun percorso di collaboratore! Io come mio padre ci dissociamo da quanto riportato sui giornali!“.
Un messaggio in linea con la mentalità del clan rom, dove la collaborazione con lo Stato diventa “infamità”, “infangare l’onore”: una parola, “onore”, scippata dalle mafie al vocabolario italiano.
Ad ogni modo, a leggere il figlio, “Furt”, cognato di Armando “Lallà” Di Silvio”, e uomo di primo piano nella mattanza del 2010, non ha intrapreso alcuna collaborazione con lo Stato. Da ambienti investigativi vige il massimo riserbo, ma ciò che dice il figlio del 58enne di Pantanaccio è affine a uno dei commenti postati sotto l’articolo di Latina Tu, datato 20 giugno, che riprendeva la notizia. Sia la nipote che la sorella di “Furt”, al netto di insulti e improperi contro chi dava la notizia, non hanno detto una parola su Ferdinando. Anzi, la sorella ha augurato a chiunque pronunciasse il nome di “Furt” di mordersi la lingua.
Un altro paio di elementi, infine, vanno valutati. Roberto Ciarelli si dissocia e parla anche a nome del padre. Nessun “like” su Facebook da appartenenti alla sua famiglia a Latina, un po’ di soliti e abusati commenti sugli “uomini d’onore” da parte di amici e conoscenti e soprattuto, nelle parole del 25enne, nessuna menzione del cognato Pradissitto che tanto può rivelare sull’omicidio Moro, in quanto nelle ipotesi investigative è lui, insieme a Grenga, ad essere stato il gancio – avendo fatto parte, in passato, della batteria di Moro – per entrare nell’appartamento di Largo Cesti e freddare l’uomo che si era messo in testa di spezzare l’egemonia rom nella mala pontina.
E in quella frase “io e mio padre ci dissociamo” può esserci la spia di un ulteriore aspetto: forse a pentirsi è stato solo Pradissitto, da cui anche la nipote di “Furt”, nonché moglie di Grenga (sempre in commenti su Facebook), ha preso le distanze asserendo che la famiglia non lo ha mai conosciuto, anche perché è finito quasi subito in carcere per i fatti di “Caronte”.
Che ci sia in corso una spaccatura insanabile nel Clan di Pantanaccio, da sempre molto unito rispetto ai cugini amici/rivali dei Di Silvio? Anche questo può essere l’inizio della fine di una storia criminale che va soppressa fino in fondo.
C’è, infine, un’ultima ipotesi. Un tentativo disperato da parte di Roberto Ciarelli di mantenere l’onore della famiglia, dichiarando che il padre non si è pentito.