Gianmarco Pozzi, campione romano di kickboxing, fu trovato senza vita in un’intercapedine fra due edifici a Ponza il 9 agosto scorso
La Procura di Cassino, con il pm Beatrice Siravo, ha aperto un’indagine per omicidio dopo che le cause della morte del giovane, in un primo momento, furono ascritte a una caduta accidentale dal terreno frastagliato a un buco di quasi tre metri. La famiglia Pozzi è convinta che Gimmy, come era soprannominato, è stato ucciso.
“Mio fratello era uno sportivo, ma all’occorrenza sapeva anche affrontare tre-quattro persone a mani nudi – dichiara Martina Pozzi, la sorella di Gianmarco, al Corriere della Sera – Non penso che sarebbe scappato in quel modo, in boxer e a piedi nudi sulle rocce, se non si fosse sentito in pericolo. Ha una profonda ferita alla testa, ma nell’intercapedine dove è stato trovato non ci sono tracce di sangue: secondo noi è stato inseguito, aggredito, trascinato sui rovi e gettato lì sotto“.
Sono passati quattro mesi dalla morte del giovane sportivo che lavorava come addetto alla sicurezza nei locali della movida dell’isola lunata. La famiglia, assistita dall’avvocato Fabrizio Gallo, cerca la verità.
Gianmarco fu trovato la mattina del 9 agosto scorso nelle campagne di Santa Maria a Ponza. Il giovane era sull’isola perché lavorava al Frontone e al Blue Moon, due storici locali di Ponza. Aveva preso in affitto, insieme ad altri ragazzi, un appartamento ubicato in Via Staglio.
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Il medico legale incaricato dalla Procura di Cassino aveva effettuato, all’epoca del ritrovamento del corpo, un’ispezione cadaverica del 28enne. Un’ispezione che rimane l’unica possibile dal momento che la famiglia, il 14 agosto scorso, ha optato per la cremazione.
Ma Martina Pozzi continua a non credere alla versione della caduta: “Siamo certi che mio fratello non sia caduto lì da solo. Ci sono tante cose da chiarire, a cominciare dalla telefonata fatta da una donna del posto alle 10.30 per chiedere l’intervento dell’ambulanza, ma il medico e due infermieri ci hanno riferito che al loro arrivo il corpo era già scuro, tanto che hanno pensato che si trattasse di uno straniero, segno che Gimmy era morto da qualche ora“.
“Tante persone, come gli operatori del 118, non sono state sentite – prosegue Martina – abbiamo l’impressione che sull’isola ci sia paura di parlare di questa storia, come anche che i tre coinquilini di Gimmy sappiano più di qualcosa su come è morto mio fratello. Con uno ha anche litigato quella mattina perché in casa non c’era l’acqua per la doccia“.
La sorella di Gimmy parla dei colleghi del fratello, visti all’alba del 9 in una pizzeria dopo il turno di lavoro. Dopo la cena Gimmy è sparito.
“Lui ha fornito quattro versioni su cosa sia accaduto dopo – incalza Martina Pozzi riferendosi a uno dei colleghi, che risulta essere stato anche un amico che Gimmy frequentava quando si trovavano a Roma nella vita di tutti i giorni – compresa quella che mio fratello era sotto effetto di droga e aveva le allucinazioni, e che era scappato dalla finestra di casa: non è vero“.
Ora, la sorella, con l’avvocato Gallo, chiede l’acquisizione dei contatti della cella telefonica di Santa Maria al quale era forse agganciato lo smartphone di Gimmy: “Insieme – ha detto il legale al Corsera – con un intervento del Ris nell’appartamento di via Staglio con il luminol, visto che la casa è stata ritrovata completamente pulita poche ore dopo la morte del ragazzo, alla ricerca di eventuali macchie di sangue. Vogliamo poi sapere che fine abbiano fatto i suoi indumenti e gli effetti personali, portafoglio compreso“.
Secondo l’avvocato, Gimmy Pozzi “aveva profonde ferite sulle piante dei piedi, come se davvero fosse fuggito scalzo su sassi e rovi, e anche sulla schiena, al punto da pensare che a un certo punto sia stato trascinato a terra“. Ecco perché “chiediamo che siano sentiti di nuovo tutti i testimoni, ma anche chi – e non sono pochi – non è stato interrogato fino a oggi. I suoi colleghi, i coinquilini (almeno tre, uno dei quali andava a dormire in quella casa solo il sabato e la domenica), il datore di lavoro: non è possibile che a distanza di quasi quattro mesi non ci sia un quadro chiaro di quello che è successo“.