I Comitati anti-Sep avevano ragione: il Ministero dello Sviluppo Economico ha concesso alla società di Via Marittima II della zona Mazzocchio (Pontinia), sequestrata dall’Antimafia di Roma, la bellezza di quasi due milioni di euro
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Il decreto è stato firmato dal Direttore del Mise (Sviluppo Economico) Laura Aria in piena emergenza Coronavirus, esattamente il 24 aprile 2020 dopo che la società Sep srl, ad oggi sotto amministrazione giudiziaria, aveva presentato domanda il 4 febbraio scorso per un finanziamento agevolato a tasso zero di 2 milioni di euro, successivamente (27 febbraio) ridimensionato dagli stessi richiedenti ad un importo di un milione e 750mila euro. Che per un impianto sequestrato non sono proprio pochi soldi.
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Il timore non peregrino dei Comitati, infatti, è che il nuovo finanziamento presupponga una spinta a un rinnovato desiderio del management di proseguire l’attività di compostaggio anche negli anni a seguire, nonostante sequestri e scandali, e sopratutto miasmi a non finire che per oltre tre lustri hanno ammorbato la vita dei cittadini di Pontinia, Sonnino, Priverno fino a Sabaudia.
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“Abbiamo inviato una Pec ai minstri per lo Sviluppo Economico, dell’Economia e della Salute – spiegavano i comitati il 19 maggio scorso – per chiedere l’immediata revoca del finanziamento. Non è possibile che si conceda, con soldi pubblici, a un’azienda come la Sep di ripartire. Il nostro non è un “no” per partito preso. Denunciamo innanzitutto la poca trasparenza di queste operazioni: nessuno ha comunicato a noi cittadini e, a quel che ci risulta, nemmeno alle istituzioni locali, i piani industriali futuri della Sep. Sindaci della zona e Provincia stanno da mesi effettuando incontri per addivenire a un’organizzazione del sistema locale dei rifiuti e questo stride con eventuali azioni di singoli privati. Cosa ancor più grave, l’attività degli anni scorsi che ha portato al sequestro della Sep, come confermato dalla magistratura, ha generato un forte inquinamento di numerosi terreni del comune di Pontinia. Su questi terreni è stato smaltito illegalmente del compost non maturo, ossia dei veri e propri rifiuti. Ad oggi non sappiamo in che modo sia stata compromessa la falda acquifera e non ci risulta che quei terreni siano stati bonificati. A queste condizioni riteniamo sia dannosa qualsiasi nuova attività nell’ambito del trattamento dei rifiuti”.
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E se l’obiettivo dei Comitati civici è quello di fermare una volta per tutte l’impianto di compostaggio – che prima dell’attuale amministrazione guidata dalla dott.ssa Carmen Silvestri, secondo Procura di Latina e DDA capitolina produceva compost non conforme – è sicuramente vero che hanno ragione da vendere e non possono essere bollati come allarmisti.
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Il finanziamento agevolato da un milione e 750mila euro (come detto, a tasso zero, e da restituire, secondo piano di ammortamento, in dieci rate semestrali al Mise fino al 2026), infatti, è concesso a fronte della realizzazione di un programma di sviluppo, avente una durata di 22 mesi che prevede l’esecuzione di attività relative alla realizzazione di investimenti produttivi. Insomma, l’intenzione del management è quella di andare avanti con l’impianto, tanto più che il reparto tecnico si è arricchito da qualche mese della presenza della nuova responsabile, la manager Stefania Brida che nel 2009 ricopriva il ruolo di responsabile degli stabilimenti di Colleferro ( controllati all’epoca, per lo più, da Lazio Ambiente Spa, che aveva come socio unico la Regione Lazio). Manager che, come hanno ricordato, nella giornata di ieri, i Comitati “venne arrestata nell’ambito di un’inchiesta che ha coinvolto più persone con le accuse di associazione per delinquere volta al traffico illecito dei rifiuti“.
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Una circostanza che ha fatto saltare sulla sedia i cittadini. L’inchiesta fu realizzata dalla Procura di Velletri e coinvolse più Regioni e più indagati per traffico illecito di rifiuti.
I carabinieri del Noe, in un’informativa del 31 agosto 2008, propedeutica all’inchiesta sunnominata, riportavano alcune telefonate tra l’ex assessore di Roma Capitale, Paola Muraro (all’epoca consulente di Ama, la municipalizzata dei rifiuti romani), e Stefania Brida, che rivestiva in quegli anni la mansione di tecnica degli inceneritori di Colleferro dove, secondo gli inquirenti, confluivano rifiuti speciali senza alcune peculiari autorizzazioni.
L’informativa redatta dal Noe, guidato dall’allora comandante Pietro Rajola Pescarini, come riportato in un articolo de IlFattoQuotidiano.it, cristallizzava almeno otto telefonate tra Muraro e Brida dalle quali, secondo gli investigatori, si evinceva “l’attività frenetica finalizzata al reperimento delle analisi per l’Ama”, necessarie per far smaltire il pattume. In una telefonata del 14 maggio 2008 “emerge la volontà da parte della Brida (Stefania, ingegnere, ndr) e della Muraro” di ricevere (la Brida) combustibile derivato dai rifiuti (Cdr) e di conferirlo (la Muraro per conto di Ama) “anche al costo di far fare una nota sostitutiva della certificazione di laboratorio”. Senza contare che, sempre secondo il Noe, la Brida suggeriva prudenza alla Muraro poiché sospettava di essere intercettata.
Quella vecchia inchiesta da parte dei carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Roma, coordinata dalla Procura della Repubblica di Velletri, al di là degli esiti che hanno visto tutti e 13 i coinvolti, compresa Brida, prescritti, è diventata per i Comitati l’ennesimo motivo di frustrazione e li ha messi ancor di più sul chi va là.
Il finanziamento a tasso zero per l’ex impianto della famiglia Ugolini è stato l’ultimo macigno che ha terremotato le certezze dei Comitati ripiombandoli in un passato che non hanno voglia di rivivere, quando in quelle zone (tra Pontinia, Priverno e Sonnino per lo più) aprire le finestre, sopratutto durante la canicola estiva, era un lusso che nessuno si poteva permettere.
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Tuttavia, quello che inizia a preoccupare, sopra ogni altra cosa, è che in queste settimane i 33 sindaci della provincia pontina stanno discutendo, o almeno dovrebbero farlo, su dove piazzare una discarica di servizio e due impianti compost che dovrebbero coprire il fabbisogno provinciale, così come da piano di Via Costa, e chiudere il ciclo dei rifiuti nel territorio pontino o nell’Ato in via di definizione. Il nodo è sulla discarica sicuramente, ma l’altra ombra è sull’impianto di compostaggio. Uno perché Cisterna ha già assunto il ruolo di salvatore della patria ospitando un impianto compost nella sua zona industriale. E l’altro impianto di compostaggio previsto dal Piano Provinciale dei rifiuti? Non sarà che, considerati i futuri investimenti produttivi della Sep garantiti dal prestito del Ministero, gli amministratori pontini o, più probabilmente la Regione Lazio che preme affinché vengano scelti i siti, non optino per qualcosa che già c’è e funziona (bene o male, a questo punto, è un particolare su cui molto probabilmente non perderanno il sonno). L’usato sicuro, d’altra parte, è un evergreen che non muore mai.