CORONAVIRUS. L’INQUINAMENTO HA FAVORITO IL COVID-19?

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Concentrazioni di diossido di nitrogeno nella Pianura Padana dal gennaio all'aprile del 2019

Il presente articolo non ha alcuna pretesa di esaustività scientifica. Tuttavia, questo scritto si pone lo scopo di aprire una discussione pubblica sulla qualità dell’aria (e dell’inquinamento in genere) e del suo impatto sulla salute degli esseri viventi del pianeta Terra, considerate alcune specularità tra i dati relativi all’inquinamento atmosferico e la genesi dei contagi da Coronavirus.

Sono molte le teorie complottiste che in questi giorni si susseguono per trovare spiegazioni dietrologiche alla genesi del Coronavirus e sulla sua diffusione partita in Cina, nel distretto di Wuhan, regione orientale della Repubblica Popolare.

L’area in cui si è verificata la prima ondata di contagi da COVID-19, complotti a parte, corrisponde in maniera sorprendentemente sovrapponibile a una delle zone che presentano tra i livelli più alti di inquinamento atmosferico a livello mondiale dove la qualità dell’aria è caratterizzata da valori scarsissimi di salubrità.

IL COVID-19 BATTE DOVE L’INQUINAMENTO DUOLE

Il giudizio delle comunità scientifiche sulle ripercussioni dell’inquinamento atmosferico in merito alla qualità dell’aria è unanime: elevati livelli di inquinanti volatili possono influire negativamente sulla funzione polmonare e causare insorgenza di asma e broncopneumopatie croniche ostruttive, oltre che ad aumentare il rischio di cancro al polmone. L’inquinamento atmosferico causa danni all’apparato respiratorio e accresce anche il rischio di eventi acuti cardiovascolari e lo sviluppo della malattia coronarica. A rischio sono tutti i residenti in aree che presentano intensi flussi di traffico veicolare, in particolare i bambini, i neonati e i nascituri nelle delicate fasi gestazionali. Specialmente, poi, quando l’inversione termica fa sì che l’aria diventi stagnante, cioè quando non piove più quando e quanto dovrebbe a causa dei cambiamenti climatici, questo aumenta in maniera iperbolica l’azione dannosa degli inquinanti presenti nell’aria.

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Quindi, dire che il Coronavirus attacca ancor più aggressivamente quando incontra apparati respiratori poco performanti non è da considerarsi un’ingenua inferenza, anzi. È evidente che una pessima qualità dell’aria spalanca le porte a maggiori tassi di riproduttività di quei virus, o patogeni in genere, che attaccano dove già l’inquinamento atmosferico contribuisce a creare delle falle: nel caso del SARS-CoV-19, apparato respiratorio e cardiocircolatorio.

Su Latina Tu, nei mesi passati, sono stati pubblicati diversi articoli inerenti alle conseguenze di una cattiva qualità dell’aria urbana, come ad esempio l’impatto degli inquinanti sui bambini e la responsabilità degli stessi finanche su una parte degli aborti spontanei.

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Trovare un link oggettivo tra il Coronavirus e l’inquinamento atmosferico rimane una prerogativa dei ricercatori scientifici, poiché la diffusione e i contagi da SARS-Cov-19 rispondono e dipendono sicuramente anche da altre dinamiche. Una tra le tante, è la mutazione del Coronavirus stesso il quale perfeziona la propria capacità di penetrazione dei sistemi immunitari: col passare del tempo pare che il virus divenga sempre meno letale in modo da non “uccidere” i corpi che lo ospitano e così da garantirsi una maggiore chance di sopravvivenza e possibilità di replicarsi.

ITALIA: IL CORONAVIRUS È PARTITO DALLA PIANURA PADANA

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Come si diceva poc’anzi, le dinamiche che si generano con l’inizio di ogni evento rispondono, in seguito, a una molteplicità di fattori e ciò non rende possibile una lettura semplificata dei fatti. Dopo i primi contagi, c’era da aspettarsi una diffusione su tutto il suolo nazionale, ma una cosa è certa: la Pianura Padana è tra le aree più inquinate d’Italia e d’Europa.

Dati dell’Agenzia Ambientale Europea (EEA – European Environment Agency) pubblicati nel 2019 ma relativi al 2016 parlano di un’Italia maglia nera per le morti premature attribuite all’esposizione di PM 2.5, NO2 e O3: cumulativamente i decessi ammontano a 76.200 casi individuando il maggiore responsabile nel particolato ultrafine, le famose PM2.5, che hanno causato 58.600 morti.

Le PM10, al momento le particelle di particolato che vengono più spesso monitorate, possono essere inalate e penetrare nel tratto superiore dell’apparato respiratorio, dal naso alla laringe. Le PM2.5 – il vero killer -, una volta respirate, possono spingersi fino a raggiungere i bronchi: le polveri ultrafini, infatti, pare che potrebbero addirittura essere in grado di arrivare fino agli alveoli e ancora più in profondità nell’organismo entrando nel circolo sanguigno e, infine, nelle cellule.

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Consulta i dati sulla qualità dell’aria in tempo reale su questo link: https://waqi.info/it/

Gli alveoli costituiscono lo stesso bersaglio della polmonite causata dal ceppo più aggressivo del SARS-CoV-19 (a sua volta facente parte del più generico ceppo dei Coronavirus che comprende anche SARS e MERS). Ad oggi, in Italia sono stati isolati ben tre ceppi di Coronavirus di cui uno solo pare che sia foriero di diagnosi molto serie e dei casi mortali di COVID-19 (CO-rona VI-rus D-isease e anno d’identificazione, 2019).

In aggiunta, si sospetta che la polmonite dovuta al Cornonavirus 2 (questa è in realtà la corretta dicitura) rilevata in questa stagione invernale nel nord Italia sia in circolazione già da dicembre-gennaio. Al Fattoquotidiano.it, Attilio Galmozzi, assessore comunale all’Istruzione e al Lavoro e medico presso l’ospedale di Crema, nell’epicentro della zona rossa dov’è partito il contagio nostrano del Coronavirus, dice: “Quest’anno c’è stato un picco di polmoniti nei giovani, a gennaio ho visto un giovane trasportatore di una società che gestisce il trasporto pubblico con una polmonite bilaterale, ovvio che col senno di poi penso che potesse essere Coronavirus. Chissà quanti ne abbiamo mandati a casa con una pacca sulla spalla dicendo: hai un’influenza mettiti a letto, bevi e riposati“.

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Contagi da Coronavirus in tempo reale: consulta i dati su questo link

Un’epidemia senz’altro imprevedibile e per questo difficile da gestire, ma, molto probabilmente, la concomitanza tra la virulenza dell’infezione e fattori eterogenei e casuali che l’hanno favorita hanno creato le condizioni ideali per una tempesta contagiosa perfetta la quale al momento può essere combattuta solamente con comportamenti responsabili da parte di tutta la popolazione.

CAMBIAMENTO CLIMATICO, SMOG E SALUTE

Una delle conseguenze osservabili del cambiamento climatico è senz’altro l’assenza delle precipitazioni, e proprio la diminuzione delle piogge nel nord Italia (come, purtroppo, in tutto lo Stivale) è considerata una possibile conseguenza del riscaldamento globale in atto cagionato in parte dallo stesso smog prodotto nella Pianura Padana.

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La causa andrebbe ricercata nel pulviscolo atmosferico che svolge un ruolo fondamentale nella formazione delle nuvole. Insomma, l’inquinamento può determinare dove e quanto pioverà: è la conclusione di uno studio condotto dal gruppo di ricerca guidato da Claudia Pasquero, professore associato di oceanografia e fisica dell’atmosfera presso l’Università di Milano-Bicocca“, così scrive Repubblica.it in un articolo del settembre scorso.

I ricercatori che pubblicano le proprie ricerche su The Lancet, eminente rivista scientifica inglese, nel rapporto “The Lancet Countdown on health and climate change” del 2019 scrivono: “I cambiamenti climatici influiscono sulla distribuzione e sul rischio di molte malattie infettive“. Lo studio fornisce un’analisi aggiornata dell’ambiente che risulta sempre più idoneo alla trasmissione di alcune malattie infettive: nella ricerca sono stati esplorati gli aumenti nella diffusione di malaria e vibrioni di pari passo con le alterazioni climatiche dovute al riscaldamento globale incentivato dall’inquinamento atmosferico causato dalle attività antropiche.

Un'immagine diffusa dalla Nasa che mostra la diminuzione dell'inquinamento atmosferico a seguito dell'epidemia di Coronavirus, circostanza che ha bloccato tutte le attività antropiche che causano smog
Un’immagine diffusa dalla Nasa che mostra la diminuzione dell’inquinamento atmosferico a seguito dell’epidemia di Coronavirus, circostanza che ha bloccato tutte le attività antropiche che causano smog

PM2.5: IL PARTICOLATO MENO MONITORATO

Per tutta l’adolescenza e oltre, l’inquinamento atmosferico – principalmente causato dai combustibili fossili e esacerbato dai cambiamenti climatici – danneggia il cuore, i polmoni e ogni altro organo vitale. Questi effetti si accumulano nel tempo e fino all’età adulta, con decessi globali attribuibili al particolato fine ambientale (PM2.5) si attesta a 2.9 milioni nel 2016 mentre i decessi totali riferibili all’inquinamento atmosferico globale hanno raggiunto i 7 milioni“, parole scritte nel “The Lancet Countdown“, tramite cui si è indagato sullo stato di salute dei nuovi nati e come questo non debba essere definito esclusivamente dal clima che cambia per mano dell’uomo.

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Almeno in provincia di Latina, e nelle stazioni di tutto il Lazio, il monitoraggio delle PM2.5 risulta carente rispetto alle PM10, comunque inquinanti ma tutto sommato meno nocive. Da rilevare anche l’assenza di strumenti di monitoraggio all’interno delle centraline di controllo della qualità dell’aria gestite da ARPA Lazio rispetto ad alcune delle altre sostanze volatili prodotte dallo smog urbano.

Misurazioni della qualità dell’aria del 6 dicembre 2019 a Latina. Dove in tabella c’è uno spazio vuoto l’analizzatore non è installato nella centralina. Quindi non è assenza di sostanza inquinante ma assenza di rilevazione

Nella Regione Lazio, su un totale di 53 centraline di monitoraggio dell’inquinamento atmosferico, solo 24 sono dotate dell’analizzatore del particolato ultrafine costituito dalle PM2.5; per il rilevamento del benzene sono attivi solo 9 analizzatori, per l’O3 (ozono) e per il monossido di carbonio (CO) di attivi ne risultano 12.

INQUINAMENTO E SALUTE: UN NUOVO APPROCCIO

Vista la complessità dei fattori e delle relazioni che governano gli equilibri ambientali, sanitari ed economici globali, appare irrimandabile una riflessione basata su un nuovo paradigma: è evidente che sia indispensabile un approccio più olistico nel senso meno strumentale e più epistemologico del termine: “Olismo: teoria biologica generale derivata dal vitalismo, proposta negli anni ’20 in contrapposizione al meccanicismo, secondo la quale le manifestazioni vitali degli organismi devono essere interpretate sulla base delle interrelazioni e delle interdipendenze funzionali tra le parti che compongono l’individuo, il quale nel suo complesso presenta caratteristiche proprie, non riconducibili alla somma delle sue parti“, così definiscono l’olismo i linguisti della Treccani.

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È compito di chi attualmente popola questo pianeta spezzare il circolo vizioso per cui l’inquinamento influisce sul clima e questo, a sua volta, sulla salute in tutte le sue sfaccettature (aumento della morbilità, mortalità cagionata dagli eccessi di calore, pessima qualità dell’aria). Riporre le proprie speranze di sopravvivenza esclusivamente nei rimedi scientifici è altrettanto utopistico quanto pensare di obbligare chiunque a decrescere felicemente. Massicce sterilizzazioni chimiche, campagne antibiotiche o vaccinali a tappeto sono, senza dubbio, pratiche utili in situazioni emergenziali e di contenimento quando un patogeno prende il sopravvento in maniera esponenziale, ma rimangono espedienti non sostenibili dal punto di vista ambientale, sanitario e delle risorse stesse.

In conclusione, stante il prezioso aiuto del mondo scientifico nelle circostanze impreviste come questa epidemia di Coronavirus, non rimane che mirare di pari passo alla tutela degli equilibri naturali proprio perché il migliore alleato dell’umanità rimane e sempre rimarrà la Natura.

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