ABORTI SPONTANEI, QUANTO DIPENDONO DALL’INQUINAMENTO?

aborti spontanei
Foto di Jane Lund da Pixabay

Aver subito un aborto spontaneo o non riuscire ad avere un figlio, per una donna, per un uomo, per una coppia che cerca di avere un figlio è un’esperienza che inocula nella mente il fantasma della fallibilità del proprio corpo. C’è da dire che se la natura ha voluto così, bisogna prendersela poco con sé stessi perché questo è un meccanismo di difesa volto alla diffusione del solo patrimonio genetico integro. Quindi è un fenomeno naturale, dolorosissimo ma naturale.

Se, invece, si cominciasse ad affermare che queste fallibilità biologiche, tra infertilità maschile e aborti precoci, oltre a malformazioni congenite o particolari condizioni cliniche, possono dipendere anche dalla risposta della fisiologia corporea agli inquinanti ambientali. Se finalmente si considerasse anche questo aspetto nel complesso delle differenti cause degli aborti spontanei, insieme alla silenziosa autoflagellazione, probabilmente, monterebbe anche molta rabbia

Foto di John Hain da Pixabay

Le trenta-quarantenni di oggi, insieme alle donne anagraficamente più giovani, sono coloro su cui si conta per aumentare i tassi di riproduttività della società. Tuttavia, queste classi di età in particolare, purtroppo, sono chiamate a subire una nuova verità che si fa affacciando nel mondo scientifico: la maggiore esposizione all’aborto cosiddetto “spontaneo”

Quotidianamente ogni persona, che sia geneticamente uomo o donna, entra in contatto in svariati modi con un’infinità di sostanze tossiche attraverso il cibo, l’aria, l’acqua e i prodotti di uso quotidiano che, ad insaputa del consumatore, contengono minuscole cariche nocive per le quali, talvolta, non è stata ancora stabilita (o viene sottostimata) una quantità limite di assorbimento. C’è da evidenziare che queste infinitesimali quantità di sostanza tossiche si cumulano tra loro raggiungendo quantità notevoli per le quali, al momento, non esiste neanche una soglia di allarme.

COSA SI INTENDE PER ABORTO SPONTANEO

Per la legge italiana, si definisce aborto spontaneo l’interruzione della gravidanza entro il 180° giorno completo di amenorrea (equivalente a 25 settimane e 5 giorni). Accanto a questa definizione, l’OMS nel 2001 definisce aborto spontaneo il parto di un feto morto sotto le 22 settimane di età gestazionale o diagnosi di morte fetale prima delle 22 settimane senza tener conto dell’epoca di espulsione del feto e con peso neonatale minore di 500 grammi.

Recentemente, gli aborti spontanei precoci vengono sempre più spesso trattati in regime ambulatoriale, o comunque in assenza di ospedalizzazione, e questo comporta che molti casi sfuggano alle rilevazioni statistiche. Ma dal 1982 al 2004 si è registrato un aumento di aborti spontanei pari al 34%, tanto da considerare 130 casi di aborti spontaneo ogni 1000 nati vivi.

Numerosi studi sono stati condotti negli ultimi 20 anni per cercare di valutare i fattori di rischio dell’abortività spontanea, ma si sono verificate delle limitazioni nelle rilevazioni statistiche e ciò rende difficile l’osservazione complessiva di questo evento. Oltre all’abortività spontanea riconosciuta esiste, infatti, una quota di perdite fetali che passa inosservata perché si risolve addirittura prima della data di inizio del ciclo mestruale successivo (aborto preclinico) o apportando solo una sua lieve posticipazione, che viene spesso ed erroneamente diagnosticata come una presunta irregolarità mestruale. Quantificare tali perdite è estremamente difficile a causa delle difficoltà di diagnosi di una gravidanza in stadi così precoci ma pare che la percentuale dei tentativi di concepimento (e non di gravidanze) andati a buon fine si aggiri intorno al 50%

CLASSI DI ETÀ A RISCHIO ABORTO SPONTANEO

Dati Istat del 21 febbraio 2019 dicono che in provincia di Latina si sono verificati 659 casi di aborti spontanei certificati da un ente ospedaliero, il 9,7% dei 6.766 casi nell’intera regione Lazio. Le classi di età in cui si verificano le percentuali più alte di livelli di abortività sono quella che va dai 30 ai 34 anni (il 26.1% con 172 casi) e quella dai 35 ai 39 (con il 29.29% per 193 casi).

Perciò, l’età avanzata della donna risulta essere un fattore a cui si associa un rischio di abortività più elevato: le donne in Italia, come in molti altri paesi industrializzati, decidono di affrontare la gravidanza sempre più tardi, tanto che l’età media al parto è aumentata di oltre quattro anni tra il 1982, quando era di 27,6 anni, e il 2016 (32,0 anni). Questo slittamento ha conseguenze inevitabili anche sugli altri esiti riproduttivi, tra cui, appunto, il rischio di aborto spontaneo.

ABORTI SPONTANEI E L’INQUINAMENTO

Al momento, dunque, risulta difficile quantificare l’esatto numero di aborti spontanei a causa della natura eterogenea del fenomeno (anomalie genetiche o cromosomiche, aborti dovuti allo sviluppo fetale o a problemi anatomici dell’utero e della placenta, ecc…).  Inoltre, le forti interazioni tra i potenziali fattori di rischio e le difficoltà nel misurare alcune di essi rendono gli studi epidemiologici non sempre facili da condurre o da valutare. Però una cosa, ora, è certa: l’inquinamento colpisce già in fase embrionale perché questo è stato evidenziato da numerosi studi scientifici riconosciuti.

ACQUA E ABORTI SPONTANEI

Di seguito verrà riportato un solo esempio, ma di portata eclatante, di contaminazione delle acque seguita da constatazioni scientifiche del danno di questa sostanza inquinante in particolare sul sistema riproduttivo femminile.

Succede in Veneto, dove i PFAS, acidi perfluoroacrilici, sono le sostanze chimiche utilizzate per anni dall’industria Miteni che ha avvelenato il sangue di 350.000 cittadini. Arpav, scienziati e Asl hanno confermato che i PFAS vengono assimilati nel sangue attraverso l’acqua, sia del rubinetto sia dei cibi, e che sono altamente tossici. Il gruppo del professor Carlo Foresta dell’Università di Padova, ha scoperto il meccanismo attraverso il quale l’organismo scambia i PFAS per ormoni. Il gruppo di ricerca dell’Università di Padova propone alla comunità scientifica una nuova evidenza: le patologie riproduttive femminili (ad esempio alterazioni del ciclo mestruale, endometriosi e aborti, nati pre-termine e sottopeso) possono essere correlate all’azione dei Pfas sulla funzione ormonale del progesterone, ormone femminile che regola la funzione dell’utero.

ABORTO SPONTANEO E QUALITÀ DELL’ARIA

L’aria circonda tutto e tutti, e in essa finiscono numerosissime sostanze che vengono veicolate in ogni dove.

Credits: pinkitalia.it

Tracce di sostanze tossiche sono state rinvenute nell’analisi di una placenta nel contesto di uno studio condotto dai ricercatori della University of Utah pubblicato sulla rivista medico-scientifica Fertility and Sterility. Secondo gli studiosi statunitensi, gli agenti inquinanti possono danneggiare il nascituro già dal periodo della gestazione e tra i possibili rischi sono stati citati anche parti prematuri, scarso peso alla nascita e aborti spontanei. Appunto.

Secondo gli esperti, pare che alte concentrazioni di NO2 (biossido di azoto) possano incrementare il rischio di interruzioni involontarie di gravidanza del 16%, percentuale simile agli aborti provocati dal fumare tabacco nei primi tre mesi di gravidanza. In media i valori di NO2 registrati nella placenta sono stati di 34 microgrammi per metro cubo, con punte di 145. Secondo i ricercatori basterebbero 20 microgrammi/metro cubo per incrementare il rischio di interruzione spontanea di gravidanza, nonostante il limite di legge sia quantificato per 200 microgrammi per metro cubo giornalieri che non devono raggiungere i 18 superamenti annuali. Altri studi hanno confermato che l’inquinamento atmosferico è associato a tassi di fertilità ridotti e aumento del rischio di aborto spontaneo. Uno studio mongolo ha rilevato una relazione dose-dipendente tra i livelli medi mensili di SO2, NO2, CO, PM10 e PM2,5 durante la gravidanza e il rischio di aborti spontanei.

Qualche anno fa, l’Arpa Marche ha pubblicato uno studio secondo il quale “i risultati dell’analisi multivariata mostrano un’associazione statisticamente significativa con la classe di età 35-49 anni, la cittadinanza, i precedenti aborti e l’esposizione al particolato sottile”. “In particolare un’esposizione a PM2,5 compresa tra 10 e 14 µg/m3 incrementa il rischio di aborto spontaneo del 9% mentre un’esposizione a PM2,5 superiore a 14 lo incrementa del 13%; valutando l’incremento unitario del PM2,5 si evidenzia un trend positivo del rischio di aborto con un valore p di 0,0332. I risultati sono stati confermati anche senza considerare il fattore di correzione dell’indice di deprivazione socio-economica”. 

misurazioni qualità dell'aria del 6 dicembre 2019 a latina
Misurazioni della qualità dell’aria del 6 dicembre 2019 a Latina da parte dell’Arpa Lazio. Dove in tabella è riportato il simbolo “-” (trattino) l’analizzatore non è installato nella centralina, quindi non è da considerarsi un’assenza dell’inquinante ma l’assenza di rilevazione dello stesso

Lo studio Moniter (MONitoraggio degli InceneriTori dell’Emilia Romagna) condotto dalla regione Emilia Romagna ha indagato lo stato di salute nella popolazione residente entro 4 km dagli inceneritori di rifiuti della regione, evidenziando un incremento degli aborti spontanei del 29% nelle donne più esposte, percentuale che diventa del 44 % in quelle alla prima gravidanza. Lo studio emiliano-romagnolo utilizza come indicatore il PM10 anche se proprio da questo studio emerge che l’87 % del particolato emesso è PM2,5 particella assai più pericolosa a causa delle infinitesimali dimensioni in grado di penetrare nelle membrane cellulari.

CIBO INQUINATO E ABORTI SPONTANEI

Alle donne incinte si suggerisce anche di mangiare frutta e verdura, ben lavata, sbucciata e ben cotta evitare il contatto con eventuali di patogeni che potrebbero nuocere al feto. Ma se questi alimenti provengono da coltivazioni in cui si utilizzano a piene mani pesticidi chimici, nessuno ha niente da replicare? Anche in provinciadi Latina c’è stato chi utilizzava pesticidi ormai banditi in spregio alle leggi vigenti, ma per anni tutti hanno mangiato inconsapevoli quei prodotti della terra.

Uno studio pubblicato ricercatori di Harvard sulla rivista JAMA Internal Medicine, ha dimostrato che le donne che hanno ingerito almeno 2-3 porzioni di frutta e verdura ricchi di antiparassitari hanno una probabilità di rimanere incinte inferiore del 18%, e del 26% di incorrere in un aborto spontaneo. Il campione utilizzato per lo studio è molto contenuto (325 donne tra i 18 e i 45 anni), ma i trend, sicuramente suscettibili di aggiustamenti anche importanti, sono chiari.

Dalla Terra dei Fuochi in Campania, il dottor Nunzio Pacilio, dirigente medico di Ostetricia e ginecologia dice in una video intervista che “Nelle nostre zone aumentano gli aborti spontanei: ne sto registrando uno ogni sette gravidanze”. Pacilio ammette non consigliare più alle donne gravide un’alimentazione a base di verdure e latticini locali perché teme la contaminazione dei prodotti agricoli e caseari. 

Questo non vuol dire che frutta e verdura facciano male sempre, anzi. È dimostrato infatti che consumare prodotti senza residui di sostanze chimiche aumenta la probabilità di gravidanza e di nascita del bambino. Una scelta ragionevole, a seguito di questi risultati, è piuttosto ovvia: mangiare biologico, o comunque acquistare frutta e verdura tracciata e trattata il meno possibile.

AMARE CONCLUSIONI

Quindi, da oggi in poi, se si accetta la regola del paradosso, nessuno potrà biasimare una donna incinta che irresponsabilmente fuma in gravidanza se quella stessa persona col dito alzato utilizza la propria vettura quando potrebbe sostituirla con le proprie gambe o con la bicicletta, oppure se la persona sul pulpito in procinto di giudicare tollera in religioso silenzio che le amministrazioni comunali non lavorino alacremente per offrire un servizio di trasporto pubblico locale sempre più capillare. Nessuno potrà stigmatizzare una donna incinta che beve un bicchiere di vino se non si pretende che vengano bonificati tutti quei siti conosciuti in cui sono state abbancate o sversate tonnellate e tonnellate di rifiuti tossici, chimici e nocivi, o nei pressi di una discarica o di un futuro inceneritore spacciato come l’unica soluzione ad un intoccabile ciclo dei rifiuti. Vicino a questi terreni scomodi, c’è da tenere a mente, vengono coltivate le verdure o allevati gli animali che, trasformati, diventano prelibate pietanze, che siano esse locali, nazionali ed internazionali (almeno con i prodotti a kmzero è possibile informarsi con più facilità). Nessun politico o politica potrà strumentalizzare l’incentivo alla procreazione se prima non avrà affrontato e si sarà battuto su casi specifici di inquinamento, perché è così che una società evoluta dovrebbe essere governata.

Pian piano, sembra che si stia diventando come quelle semente oggetto di ibridazioni da parte di alcune multinazionali che, a crescere, crescono: vengono su certe belle piante, anche resistenti ai pesticidi (prodotti, poi, dalle stesse holding), figurarsi! Belle e rigogliose ma castrate, impossibilitate ad autogenerarsi come natura voleva. Proprio come gli uomini e le donne, costretti (se si vuole un figlio proprio a tutti i costi) a dover chiedere aiuto alla esosa scienza per avere quella speranza in più di diventare procreatori, che comunque sono stati derubati della propria e preziosa autonomia riproduttiva.

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