Operazione “I Pubblicani” a Latina: diventa definitiva la condanna per estorsione aggravata in capo al pluri-pregiudicato pontino Alessandro Artusa
Diventa definitiva la condanna a 6 anni di reclusione nei confronti del pluri-pregiudicato Alessandro Artusa, accusato di avere costretto il co-imputato Gianluca Pezzano (operazione “I Pubblicani), “con violenza e minacce, dopo averlo prelevato in auto e portato in un luogo isolato, a promettere di consegnare un chilo di sostanza di hashish a settimana quale saldo del pregresso debito maturato, per un importo complessivo di 9.000 euro, in relazione ad una precedente fornitura di sostanza stupefacente“.
Il 61enne di Latina, originario di Messina, Alessandro Artusa, pluri-pregiudicato, in carcere da novembre scorso nell’ambito della maxi operazione “Risiko”, doveva rispondere nell’ambito del processo “I Pubblicani” di estorsione, lesioni aggravate dall’aver agito in più persone e detenzione di un coltello. Nell’indagine “Risiko”, Artusa viene inquadrato come il factotum su Latina del boss latitante di Fondi, Massimiliano Del Vecchio. In abbreviato, Artusa rischia una condanna a 20 anni di carcere.
La Corte di Cassazione, invece, per l’estorsione aggravata contro Pezzano, ha reso definitiva la condanna a 6 anni di reclusione derivante da due gradi di giudizio: il Tribunale di Latina e la Corte d’Appello di Roma. Respinto il ricorso presentato dall’avvocato difensore.
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È a luglio 2024 che il processo di Artusa si era concluso in primo grado davanti al III collegio del Tribunale composto dalla terna di giudici La Rosa-Sergio-Romano. Al termine di una camera di consiglio durata circa tre quarti d’ora, il Tribunale di Latina aveva condannato Artusa alla pena di 6 anni di reclusione e 500 euro di multa. Concesse le attenuanti generiche, Artusa aveva rimediato anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e la sospensione del cosiddetto pre-sofferto (Artusa, ai domiciliari, stava scontando la sua pena) nei successivi 90 giorni, al termine dei quali sarebbe stata pubblicata la sentenza.

Artusa, difeso dall’avvocato Maurizio Fote, era stato anche assolto per il reato di lesioni, dal momento che la vittima, nonché co-imputato, Gianluca Pezzano, non aveva presentato querela. Assoluzione anche per aver portato fuori di casa un coltello e una pistola. La condanna, quindi, era stata conseguenza del reato di estorsione aggravata commessa in concorso con i pluri-pregiudicati Roberto Ciarelli (anche lui rischia una condanna a 20 anni di carcere nel processo in abbreviato derivante dall’inchiesta fondano-latinense “Risiko) e Giuseppino Pes, entrambi già condannati in due gradi giudizio per gli stessi fatti.
Una pena minore rispetto a quanto richiesto dal pubblico ministero Martina Taglione che, al termine della sua requisitoria, aveva chiesto una pena complessiva di 11 anni di reclusione più 8mila euro di multa. Secondo l’accusa, Artusa fu complice della spedizione punitiva contro il calabrese Pezzano, che viveva al Circeo, il quale fu vittima di un brutale pestaggio perché non pagava la droga a Roberto Ciarelli e Giuseppino Pes.
Per il pm Taglione era Artusa a riconoscere Pezzano e a dire a Pes di averlo individuato, tanto da assicurargli la possibilità di aggredirlo insieme a Roberto Ciarelli. È vero che Artusa interveniva per fermare il pestaggio, ma lo avrebbe fatto solo per convenienza, in quanto se la vittima fosse morta, lui sarebbe stato forse incriminato. Lo stesso Artusa, secondo il sostituto procuratore, sarebbe stato cosciente del debito di droga di Pezzano con Pes.
L’avvocato Forte, invece, nella sua arringa, aveva reiterato la richiesta di inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali che avevano praticamente ritratto un presa diretta il pestaggio di Pezzano. Il difensore aveva chiesto l’assoluzione per il reato più grave o quantomeno la derubricazione dello stesso a tentata estorsione. Al contrario, sull’inutilizzabilità delle intercettazioni, il pm Taglione aveva ribattuto che facevano parte di un procedimento della DDA, all’epoca della discussione non ancora in discovery e oggi, invece, come noto, incluse nella maxi indagine “Risiko”.
A giugno 2024, nell’ultima udienza di dibattimento del processo, era stato interrogato, proprio il 42enne di Siderno (Reggio Calabria), Gianluca Pezzano, come persona offesa. Pezzano è stato un personaggio chiave dell’intero processo derivante dall’operazione della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma e dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di Latina denominata “I Pubblicani”.
Gli altri imputati del processo avevano scelto di essere giudicati col rito abbreviato e sono stati condannati anche in Appello. Artusa, destinatario di un provvedimento di sorveglianza speciale, invece, era l’unico ad aver scelto il rito ordinario e, nel corso del suo processo, esaminato dal sostituto procuratore Martina Taglione e dall’avvocato difensore, aveva praticamente spiegato di sentirsi un perseguitato e di non aver mai né picchiato né minacciato Gianluca Pezzano.
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Artusa, infatti, è stato giudicato in ragione delle violenze che ha messo in atto, in concorso, contro Gianluca Pezzano. Nel quadro investigativo e processuale, Pezzano aveva sì ceduto droga (è stato condannato a 4 anni e 6 mesi), ma risultava anche vittima di pestaggio e violenza a causa di debiti per la sostanza stupefacente. Una doppia punizione in due distinte occasioni: l’una che è compiuta dal trio Giuseppino Pes, Roberto Ciarelli e Alessandro Artusa, l’altra da Amine Harrada, l’uomo di origine marocchina condannato per essere stato l’esecutore della violenza ai danni del medesimo Pezzano.
In merito al pestaggio di Pezzano, sia Pes che Ciarelli sono stati condannati anche in Appello: la loro pena complessiva (non solo per l’episodio di Pezzano) è stata rispettivamente di 7 anni e 4 mesi e 6 anni e 4 mesi.
Peraltro, Artusa e Pes sono personaggi molto noti nel crimine pontino, essendo già stati condannati a 26 anni di carcere, insieme ad Antonello Tozzi, per l’omicidio del beneventano Francesco Saccone freddato nel 1998 in Piazza Moro a Latina. Artusa ha scontato 22 anni di reclusione per quei fatti.
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Tornando al processo, è stato lo stesso Pezzano a confermare quanto detto da Artusa a inizio maggio. Secondo il testimone, lui non conosceva Artusa al momento del pestaggio. È solo salito nella sua Bmw Station Wagon (intercettata ambientalmente con una cimice dai Carabinieri) dove, all’interno, c’erano Roberto Ciarelli e Giuseppino Pes, più naturalmente Artusa che guidava e che si diresse verso il terreno a Campo Boario, la cui proprietà è riferibile a Candido Santucci, altro personaggio noto alle cronache giudiziarie pontine.
Dopo i 22 anni di carcere scontati e, appena uscito dalle patrie galere, una condanna a 5 anni di reclusione per detenzione di chili di droga insieme ad altri coimputati pendente in Appello (una sorta di antipasto dell’indagine Risiko), Artusa ha rimediato un’altra condanna a 6 anni di reclusione che diventa definitiva con la Cassazione.
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