BOLDRINI DIFFAMATA: “AZZERARONO LA DIGNITÀ PERSONALE”

Laura Boldrini
Laura Boldrini

Frasi e vignette offensive contro Laura Boldrini: concluso il processo in Appello per diffamazione a carico di quattro imputati

Tre imputati la scampano perché l’ex Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini (legislatura (2013-2018) non è stata precisa nella sua querela per diffamazione, indicando genericamente frasi offensive nei suoi confronti. Improperi, anche di carattere sessista, che furono individuati dalla Polizia Postale di Latina, il che non è sufficiente secondo i giudici della Corte d’Appello di Roma i quali, chiamati a valutare il ricorso contro la condanna in primo grado dei tre imputati, hanno stabilito il non doversi procedere per difetto di querela.

Ad ogni modo, l’ex terza carica dello Stato, nella sua querela, aveva indicato perfettamente la vignetta sessista a suo carico, ragion per cui l’uomo che l’aveva postata sui social, condannato in primo grado, non può salvarsi con il difetto di denuncia non circoscritta, ma se le cava comunque con l’intervenuta prescrizione. I giudici dell’Appello hanno però tenuto in essere le statuizioni civili, ecco perché l’uomo dovrà risarcire Boldrini così come stabilito, in primo grado, dal Tribunale di Latina.

Ora, sono state pubblicate le motivazioni della Corte d’Appello che lo scorso maggio si è pronunciata sui ricorsi presentati dagli avvocati Stefano Perotti, Valerio Righi, Daniele Giordano, Moreno Gullì e Giovanni Codastefano.

Secondo quanto scritti dai giudici di secondo grado, “il Tribunale riteneva provata la penale responsabilità di quattro imputati in merito al reato di diffamazione aggravata avendo pubblicato commenti dal tenore certamente lesivo della dignità personale e istituzionale della persona offesa senza che potesse ravvisarsi a fronte del linguaggio utilizzato alcuna discriminante”.

Le frasi riportate oltrepassano il confine del legittimo esercizio del diritto di critica per trasmodare in una gratuita ed illecita lesione della reputazione e dignità non solo istituzionale ma anche personale della querelante“. Querelante, ossia la ex Presidente della Camera Laura Boldrini, “nei cui confronti avevano espresso il loro disprezzo con il ricorso a parole e immagini inutilmente umilianti, aggressive e idonee a ledere la reputazione del soggetto passivo, assumendo tratti intimidatorio calunniatori e di azzeramento della dignità personale, risolvendosi in un gratuito attacco al patrimonio morale della persona offesa”.

Il caso delle diffamazioni/offese contro Boldrini erano arrivate a un punto quando, a febbraio 2024, il giudice monocratico del Tribunale di Latina, Simona Sergio, aveva condannato quattro degli imputati nel processo per diffamazione aggravata nei suoi confronti.

L’allora terza carica dello Stato diede mandato ai suoi avvocati di andare avanti nel procedimento a carico delle persone che l’avevano insultata sui social, tanto che l’esponente politica si era costituita come parte civile nel processo, assistita dall’avvocato Flick. L’indagine era stata portata avanti dalla Polizia Postale, coordinata dal sostituto procuratore di Latina, Giuseppe Miliano, che aveva contestato la diffamazione a un corpo politico dello Stato.

In primo grado, il Pubblico Ministero, al termine della sue breve requisitoria, aveva proposto per gli allora sette imputati la pena pecuniaria di 900 euro, a dispetto del collegio difensivo, composto dagli avvocati Perotti, Vitelli, Codastefano, Faticoni, Righi, Gullì e Giordano, che avevano chiesto l’assoluzione.

Al termine della camera di consiglio, il giudice Sergio aveva condannato per diffamazione quattro degli imputati alla multa di 600 euro, con pena sospesa e non menzione. Disposto dal giudice anche un risarcimento di 10mila euro complessivi per tutti e quattro i condannati. Assolti, invece, tre degli imputati per non aver commesso il fatto, tra cui Alessandro GambadoroMassimo Scialanga e Donatella Vichi. La posizione di due degli originari imputati era stata stralciata.

Ad indagare sul caso, la Polizia Postale poiché fu proprio sul web, in particolare su alcuni social, che Laura Boldrini fu offesa con improperi gravemente offensive, compreso il fotomontaggio di un bambino che urinava, in abiti fascisti, sulla sua immagine. E poi frasi sui social che si riferivano all’intitolazione del Parco a Falcone e Borsellino di Latina, tra cui questa: “‘Sti bastardi l’hanno pulita solo perché viene una zo…..a non se so preoccupati de pulilla per facce gioca’ i nostri figli“.

Nell’udienza del febbraio 2023, era stato ascoltato anche il testimone Damiano Coletta, ex sindaco di Latina, ed eccellente poiché presente con Boldrini quel 19 luglio 2017 quando i cosiddetti Giardinetti di Latina furono intitolati alla memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e andò in scena l’antipasto di ciò che poi si verificò sui social.

La polemica, come noto, nacque perché i cosiddetti Giardinetti sarebbero stati intitolati alla memoria di Arnaldo Mussolini, fratello del Duce. In realtà, quell’intitolazione, come aveva ribadito in Tribunale Coletta, non era più in essere sin dal dopoguerra. L’ex sindaco pontino aveva spiegato che i “giardinetti” (così come tutti i latinensi hanno da sempre chiamato il parco) erano denominati in atti come “parco comunale”. Coletta e la sua Giunta decisero di intitolarli, così come è tuttora, alla memora dei due magistrati antimafia. Ad ogni modo, Coletta aveva ricordato che all’epoca “fu alimentato un clima di odio, divisione politica e strumentalizzazione“.

Tuttavia, Coletta aveva rammentato che si trattava di una cerimonia istituzionale: oltreché a lui e Boldrini, infatti, erano presenti l’allora Presidente della Provincia Eleonora Della Penna, il Prefetto di Latina e il presidente della commissione antimafia del comune di Milano. “C’era solo uno sparito gruppo di contestatori, circoscritto dagli agenti di Polizia, che al mio intervento e a quello della Boldrini prese a insultarci e fischiarci. Contestazioni che furono sopravanzate dagli applausi della gente”, spiegò l’ex primo cittadino.

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