PUROSANGUE, CLAN CIARELLI: ACCUSE RIDIMENSIONATE, SOLO 3 LE CONDANNE

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Il profilo Facebook Purosangue Ciarelli con cui Carmine detto Prochettone avrebbe inviato messaggi intimidatori alle vittime di usura ed estorsione

Clan Ciarelli, si è concluso il processo per alcuni tra i membri più significati del sodalizio latinense di origine rom

È durata quattro ore la camera di consiglio del I collegio del Tribunale di Latina composto dai giudici Gian Luca Soana, Francesca Coculo e Roberta Brenda. Alla fine i verdetti sugli imputati ridimensionano evidentemente le richieste di condanna da parte della Direzione Distrettuale Antimafia che contestava ai Ciarelli e sodali reati con l’aggravante del metodo mafioso. Il sodalizio più radicato e temuto in città per anni ottiene un risultato insperato, con due paradossi evidenti.

In primis: mai, neanche nelle fasi di indagine, è stato contestato ai Ciarelli l’associazione mafiosa, bensì i reati con l’aggravante mafiosa. Alla fine – come secondo paradosso – Armando Di Silvio detto “Lallà”, boss di Campo Boario, secondo le sentenze dei Tribunali, al momento è l’unico capo mafioso della città di Latina. Unico capo mafioso che, però, rimase sostanzialmente fuori dalla guerra criminale del 2010 in cui furono coinvolti sia i Ciarelli che l’altro ramo dei Di Silvio, ossia il clan retto da Giuseppe “Romolo” Di Silvio che, in Appello, si è visto dimezzare le pene. Guerra criminale che conta due omicidi e diversi ferimenti.

La pena più considerevole è per Pasquale Ciarelli. Il figlio del boss Carmine Ciarelli ha rimediato una condanna a 11 anni di reclusione, ma il metodo mafioso rimane solo per uno dei capi di imputazione contestati. Matteo Ciaravino è stato condannato a 5 anni di reclusione, per lui rimane l’aggravante di aver commesso il reato di cui è accusato con l’aggravante del 416 bis, in concorso al rampollo di casa Ciarelli, Roberto Ciarelli, già condannato in abbreviato e poi in Appello (pena ridotta). Condannato a 6 anni e 8 mesi, più 6mila euro di muta, anche il numero due del clan Ciarelli, Ferdinando “Furt” Ciarelli (per suo genero, Andrea Pradissitto, divenuto collaboratore di giustizia, in realtà sarebbe lui il vero capo del sodalizio). Per tutti e tre i condannati scatta anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

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Assolti Rosaria Di Silvio (moglie di “Furt” e sorella di Armando “Lallà” Di Silvio, condannato a oltre 24 anni per associazione mafiosa), Manuel Agresti e Antoniogiorgio Ciarelli che ottiene la seconda assoluzione dopo il processo per l’omicidio di Massimiliano Moro. In entrambi i processi, Antoniogiorgio Ciarelli era difeso dall’avvocato Alessandro Farau. Non luogo a procedere per difetto di querela, invece, per il 26enne Ferdinando Ciarelli (per lui cade l’aggravante della detenzione dell’arma), assistito dall’avvocato Marco Nardecchia e per Ferdinando “Macù” Ciarelli, difeso dagli avvocati Italo Montini e Vincenzo Buffardi, per il quale matura la prescrizione del reato imputatogli. La prescrizione è stata dichiarata a seguito dell’insussistenza dell’aggravante del metodo mafioso e della recidiva.

Coloro che sono stati assolti, al netto di altri motivi per cui si trovano in carcere, tornano in libertà. Il metodo mafioso regge per tutti e tre i condannati – Pasquale Ciarelli, Ferdinando “Furt” Ciarelli e Matteo Ciaravino -, ma per i primi due cade per la maggior parte dei capi di imputazione di cui dovevano rispondere.

A maggio 2025, sarà giudicato Carmine Ciarelli, la cui posizione è stata stralciata nella scorsa udienza del 27 settembre per legittimo impedimento. “Porchettone” (questo è il suo soprannome), difeso dall’avvocato Carradori, è ricoverato nell’ospedale di Cassino ed è impossibilitato, al momento, a seguire l’udienza del suo processo.

Dieci giorni fa, si era conclusa dopo quasi cinque ore la requisitoria dei pubblici ministeri Luigia Spinelli e Valentina Giammaria. Il Tribunale di Latina era chiamato a giudicare i capi del sodalizio, tranne Luigi Ciarelli (il numero tre del sodalizio, giudicato nell’altro processo antimafia sui clan rom denominato “Reset”), di quello che tutti a Latina conoscono come il clan Ciarelli, la famiglia che aveva eletto la propria base nel quartiere Pantanaccio, alla periferia di Latina. Sul banco degli imputati, ci sono personaggi di rilevante caratura criminale come Carmine Ciarelli detto “Porchettone” e suo fratello Ferdinando Ciarelli detto “Furt”. Tra i reati più importanti, varie vicende di estorsione, violenza privata, danneggiamento, usura. Dieci in tutto gli episodi estorsivi raccolti dagli investigatori della Squadra Mobile di Latina e finiti nel processo. L’inchiesta è stata coordinata, come accennato, dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma.

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La requisitoria dei pubblici ministeri è stata divisa in due. Al pm Giammaria è toccato il lavoro più lungo, citando capo di imputazione per capo di imputazione, ripercorrendo così tutte le vicende criminali contestate agli imputati e menzionando, quindi, nel dettaglio le estorsioni a commercianti, locali della movida, avvocati e professionisti. Estorsioni che in alcune occasioni sono stati compiute nel carcere di Latina, per anni controllato dai Ciarelli.

Al Pm Spinelli, invece, il compito di sintetizzare su chi sono stati i Carelli a Latina. Il magistrato, da anni sulle tracce dei clan rom di Latina, ha ribadito che il senso di inchiesta è quello di dimostrare la caratura criminale dei Ciarelli che vige da decenni nel capoluogo pontino. Estorsioni che si sono protratte negli anni contro avvocati, professionisti, detenuti.

Una vicenda criminale, quella del clan di Pantanaccio, che si è inasprita con la cosiddetta guerra criminale del 2010, quando i membri della famiglia dimostrarono la loro potenza di fuoco, colpendo a morte (Massimiliano Moro su tutti) o intimidendo con il piombo coloro che avevano osato sfidare il loro potere e attentato alla vita di Carmine Ciarelli, sparandogli davanti al Bar Sicuranza nel quartiere roccaforte.

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L’indagine, ha ribadito il pm Spinelli, parte dai tre collaboratori di giustizia Renato Pugliese, Agostino Riccardo e Andrea Pradissitto che, per la DDA, sono attendibili. In particolare, Pradissitto, parente dei Ciarelli, avendo sposato la figlia del numero due del clan, Ferdinando Ciarelli detto Furt. Chi finiva nel mirino di un Ciarelli, finiva nel mirino di tutto il clan, senza contare che ci sono persone che hanno abbandonato le loro attività o addirittura si sono trasferiti altrove.

Minacce che, come ha confermato questa indagine, provenivano anche dalla messaggistica on line, a significare che i Ciarelli non avevano paura di niente.

Alla fine il pubblico ministero Giammaria aveva chiesto condanne ben più alte di quello che, oggi, è stato l’esito: 12 anni e 8 mesi per Manuel Agresti*; 10 anni e 2 mesi per Matteo Ciaravino; 10 anni e 6 mesi per il 26enne Ferdinando Ciarelli; 10 anni per Ferdinando Ciarelli detto Furt; 9 anni e 4 mesi per la moglie di quest’ultimo, Rosaria Di Silvio; 13 anni e 8 mesi per Pasquale Ciarelli; 10 anni per Antoniogiorgio Ciarelli.

Il pm aveva chiesto l’assoluzione per intervenuta prescrizione nei confronti di Ferdinando Ciarelli detto Macù, poiché, nel corso dell’istruttoria, è caduta a suo carico l’aggravante mafiosa in merito all’estorsione contestata.

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Finita la requisitoria, erano iniziate le arringhe difensive di un collegio composto dagli avvocati Montini, Farau, Vasaturo, Palmiero, Melegari, Forte, Nardecchia, Coronella e Vittori. Arringhe difensive che si sono concluse oggi con la sentenza finale.

Lo scorso 21 giugno, invece, la Corte d’Appello di Roma ha in parte confermato le condanne di primo grado per coloro i quali avevano optato per il rito abbreviato. Ridotta, come detto, la condanna per Roberto Ciarelli, figlio di Ferdinando “Furt” Ciarelli, che ha guadagnato anche alcune assoluzioni, tra cui una estorsione commessa ai danni di un titolare di un locale in zona pub.

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