LA COSCA DI FORNITI SUL LUNGOMARE DI LATINA. IL RUOLO DI DE LUCA E I LEGAMI CON IL MARESCIALLO DI APRILIA

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Quarto Chiosco, sul lungomare Rio Martino a Latina
Quarto Chiosco, sul lungomare Rio Martino a Latina. Il luogo nel 2020 è stato oggetto di due roghi spenti prima che divampassero dai dipendenti

Mafia Aprilia, la struttura della gang di Patrizio Forniti. Tra gli uomini di riferimento, Luca De Luca, che sostiene di avere avuto rapporti con Danilo Abbruciati detto “Er Camaleonte”, storico esponente della Banda della Magliana ucciso, nel 1982, nel corso dell’attentato contro Roberto Rosone, vice presidente del Banco Ambrosiano

Di rapporti questo clan Forniti ce ne ha e anche piuttosto pesanti. A parte le relazioni di Sergio Gangemi, accusato di concorso esterno all’associazione mafiosa di Forniti, con il cassiere della Magliana, Enrico Nicoletti, emerge anche ciò che dice di sé Luca De Luca, l’uomo nato a Nepi nel 1957, calabrese di origine, vero luogotenente di Forniti, ma capace di avere il carisma del capo.

È De Luca che spiega in una intercettazione di essere stato in rapporti con Danilo Abbruciati, componente della fu Banda Magliana ucciso durante l’attentato al vice presidente del Banco Ambrosiano. Era un’Italia diversa, di oltre quaranta anni fa, ma De Luca lo spiega nel corso di una intercettazione, ricordando di aver conosciuto Abbruciati in carcere: “Fratello di sangue“.

D’altra parte i racconti che si fanno tra di loro fanno emergere la convinzione in loro stessi che ad Aprilia vige una pax sociale e mafiosa, rispetto alla Aprilia considerata negli ’70 e ’80 come una piccola Chicago quando il potere criminale era in mano ad Antonio Morra, Antonio Boscaratto e ai Montenero.

Successivamente, nella narrativa del clan, dagli anni ’90, la figura di Luca De Luca sarebbe riuscita a mettere ordine alla città tanto che, secondo Marco Antolini, altro componente del clan Forniti, “perfino gli ufficiali dei Carabinieri gliene rendevano merito, insistendo per essere ricevuti da De Luca al loro arrivo in città. De Luca – annota il Gip nell’ordinanza – veniva riverito come un Prefetto locale”. De Luca, d’altra parte, è rientrato anche nelle carte di una inchiesta a Latina quando DDA e Polizia di Stato volevano scoprire mandanti ed esecutori dell’omicidio di Ferdinando Di Silvio detto il Bello. Anche in quel caso De Luca fu interpellato perché svolse il ruolo del “prefetto locale”, per mettere pace tra le due fazioni che si sfidavano. L’inchiesta come noto è stata archiviata, ma la figura di De Luca è quella di un personaggio che spiega di avere anche attività nei supermercati in Sicilia e all’estero, oltreché a vendere carne al clan Polverino. Inoltre, da una conversazione captata dalla Direzione Investigativa Antimafia, coordinata dai pm Cascini e Spinelli, tra De Luca e Marco Antolini, emerge che gli investimenti del gruppo si estendono fino in Africa. Antolini e De Luca avrebbero, infatti, comprato terreni nel continente africano: “Sta attento ai cinesi – dice De Luca – hanno fatto autostrade, aeroporti, stanno a fa’ tutto loro Marco, sempre lì attaccati a Briatore, non è che so’ cojoni, però il problema è che loro so’ un po’ come noi quannosemo andati in America”.

Tuttavia, sulla pax sociale ad Aprilia, la narrazione appare per nulla veritiera se si pensa che la città del nord pontino è stata teatro di numerosi attentati dagli anni Novanta fino ai giorni nostri ai danni di esercizi commerciali, auto, cittadini ed esponenti politici tra cui – lo ricorda lo stesso Antolini, in una intercettazione, contraddicendosi – l’atto intimidatorio subito dall’allora assessore Antonio Chiusolo e suo cognato, il compianto attivista antimafia Fabrizio Marras. Era il 26 agosto 2013 e, secondo Antolini, fu Luca Palli a bruciare le auto di Chiusolo e Marras. Lo stesso Luca Palli che fu assassinato anni dopo per un regolamento di conti ad Aprilia e per il quale Forniti avrebbe voluto vendicarne la morte, essendo Palli un suo sodale/amico.

Gli uomini di Forniti e anche la moglie, ad ogni modo, non si tirano indietro dal risolvere eventuali contrasti con la camorra dei Polverino o con la ndrangheta di Gallace e Alvaro, organizzando summit mafiosi a cui vanno anche armati, nell’eventualità di scontri a fuoco. E non può passare inosservato che gli inquirenti sottolineano i rapporti con un ex Comandante della Stazione dei Carabinieri di Aprilia, Ciro Pellegrino, con il quale il clan Forniti avrebbe stretto patti per far sì che nella città del nord pontino non vi fossero contrasti col crimine.

Forniti, d’altra parte, era forte: relazioni con i broker del narcotraffico Gianluca Ciprian e Alessandro Radicioli (ucciso nel 2012 in seguito ad un agguato a Sezze Scalo in cui morì anche Tiziano Marchionne e rimase ferito lo stesso Ciprian), oltreché a fornire di droga anche i clan Travali e Di Silvio e avere rapporti con Luigi Ciarelli. “L’ho iniziati io al narcotraffico – dice intercettato mentre parla con il giovane Matteo Aitoro. Si preoccupa, Forniti, di quando sa che Ciprian, che è attualment detenuto per l’inchiesta Reset (associazione mafiosa col clan Travali), “l’hanno bevuto in Spagna”. Infatti, il pontino, nel gennaio 2020, fu arrestato insieme a tre albanese con un carico di cocaina da 440 chili.

Insomma, il clan copre tutto l’arco criminale della provincia nord e ha contiguità anche sul litorale sud pontino (Gallace e Madaffari) e tra Pomezia e Roma. Aprilia deve diventare “un Comune nel Comune”, un clan che mirava ad essere Antistato, a proteggere gli apriliani – cittadini, imprenditori e pubblici dipendenti – dalle pretese di pizzo da parte degli uomini di Francesco “Sandokan” Schiavone e che voleva impadronirsi delle istituzioni locale senza spargere sangue, piazzando rappresentati eletti in Comune, come è stato con Principi. “Ad Aprilia – dice Antoni in una conversazione con De Luca e tal De Simone, vicino al clan dei Casalesi – siamo in democrazia”.

Una convinzione/ambizione di Antolini che si esplicita anche in un dialogo con l’ex assessore Chiusolo: “Non ci siamo mai stati simpatici, però sei un apriliano e un problema di un apriliano è un problema degli apriliani“. La pax sociale a cui anela il clan che si autoproclama garante.

Un clan che, però, non accetta nessuno scavalcamento di campo e non teme di progettare l’uccisione di uno dei boss della locale di ‘ndrangheta tra Anzio e Nettuno, Giacomo Madaffari, arrestato nell’operazione Tritone e soprannominato “Mario Bros”.

È proprio Patrizio Forniti con la figlia Yesenia e il compagno di lei, Nabil Salami, a progettare un attentato alla vita di Madaffari, responsabile agli occhi del clan di essere stato aiutato da un personaggio, noto come Cavallo, vicino a Forniti: Salvatore Siani. Alla fine l’attentato salta per l’intermediazione di Salvatore Vetrano, persona citata nelle carte dell’indagine “Appia” e vicina al boss calabro Bruno Gallace.

Altra situazione di contrasto si creò per il quarto chiosco sul lungomare di Latina, il cui titolare era finito nelle grinfie del clan Travali. I rapporti tra Angelo Travali e Patrizio Forniti sono più che buoni, dal momento che il secondo fornisce di droga il primo il quale, fino al 2015, primeggiava col suo sodalizio su Latina. Solo che il clan Travali aveva messo gli occhi sull’attività che si trova sul lungomare. Il titolare, però, era protetto dal clan Forniti.

Uno degli esponenti del clan Travali, Alessandro Zof, si era presentato con il fratello presso il chiosco del protetto di Forniti. Dopo aver ordinato un bicchiere di sambuca, Zof lo aveva buttato a terra e aveva detto al titolare che avrebbe dovuto apparecchiare la tavola perché nel locale sarebbero andati in dieci persone per mangiare gratis. Come noto, gli Zof da sempre si sono considerati i padroni del litorale latinense, avendo avuto per anni la concessione del primo chiosco, il cosiddetto “Topo Beach”.

Dopo l’avvertimento, il titolare del quarto chiosco, impaurito, si reca da uno dei membri del sodalizio di Forniti, Marco Antolini, e chiede protezione rispetto alle minacce di Zof, personaggio poi arrestato nell’operazione Reset: a lui così come a Travali viene contestata l’associazione mafiosa. Invece, per quell’ambasciata violenta, la DDA ha chiesto per Zof e il fratello il rinvio a giudizio: contestato il reato di minacce aggravate dal metodo mafioso.

L’organizzazione di Forniti rassicura il titolare del locale, il quale deve riferire a Zof che “si sono mosse delle persone di Aprilia che il chiosco il primo glielo mandano a Ponza“. Alla fine, a portare il messaggio a Zof, è il pregiudicato Roberto Iosca, indicato da De Luca e Luigi Morra (il numero tre del clan, uno degli amici della “Primula”, il locale adibito a base operativa) i quali avrebbero voluto sparare contro il predetto Zof. Alla fine, la storia si concluse con una mediazione, sebbene lo stesso Alessandro Zof fosse stato denunciato dal padre del titolare che, a differenza del figlio, aveva scelto di rivolgersi alla autorità competenti.

Prima, però, che tutto fosse calmierato, lo stesso Luigi Morra propone al clan di prendersi il primo chiosco come per dare una prova di quanto fossero forti, per vedere “tutti questi topi da dove escono”. E ancora: “Questi sono dieci, noi siamo cento”.

Eppure, il clan non si fermava solo ai rapporti di strada. Secondo la DDA, Mario Antolini e la moglie di Forniti, la “mammasantissima” Maria Montenero, intrattenevano rapporti con l’ex comandante della Stazione dei Carabinieri di Aprilia, Ciro Pellegrino. Il maresciallo si dimostra solidale con Patrizio Forniti, appena arrestato per l’estorsione mafiosa con Gangemi, spiegando che tra il nucleo investigativo dei Carabinieri e la Questura: “sono dieci anni che ce l’hanno sempre in bocca”. Come se Forniti fosse un perseguitato.

Rapporti che tra Pellegrino e la famiglia Forniti/Montenero erano forti e pregressi, tanto che il militare in congedo si era interessato delle condizioni carcerarie di Patrizio Forniti, chiamando la moglie del boss con l’appellativo di “ragazzotta”.

“Era a tutti chiaro – scrive il Gip nell’ordinanza – che obiettivo comune — dei ladri e delle guardie che avrebbero dovuto combatterli — era mantenere inalterato lo status quo, senza commettere soverchi o gravi delitti in città, affinché la cosca potesse continuare a fare i propri affari senza che le guardie si mettessero in mezzo.

La confidenza dimostrata dalle precedenti conversazioni dimostra il particolare legame sussistente fra alti esponenti dell’organizzazione e l’importante rappresentante dell’Arma dei Carabinieri sul territorio, legame che ha certamente contribuito al consolidamento del clan apriliano nel corso del tempo.

Risulta evidente che l’amicizia fra gli uomini al vertice del sodalizio e un alto rappresentante delle istituzioni sul territorio è volta a ottenere, attraverso l’operato non solo delle forze di polizia ma soprattutto dell’organizzazione criminale, il mantenimento dell’ordine sul territorio: la pax sul territorio appare, da un lato, strumentale al tranquillo svolgimento degli affari illeciti da parte dell’organizzazione criminosa e, dall’ altro, a garantire al comandante dei Carabinieri la permanenza al proprio posto. Un interessante spaccato della subordinazione degli interessi pubblici agli interessi della cosca è fornito dalla vicenda relativa all’appalto dei lavori relativi alla costruzione del nuovo palazzetto dello sport di Aprilia”.

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