Confisca del patrimonio di Gianluca Tuma: la Cassazione rigetta il ricorso proposto e conferma confisca e sequestro
A settembre 2021, i giudici di Cassazione avevano deciso che avrebbe dovuto essere di nuovo la Corte d’Appello di Roma a valutare la misura di sequestro e sorveglianza speciale nei confronti di Tuma, così come richiesto dalla Divisione Anticrimine della Questura di Latina secondo il codice Antimafia. Una richiesta che fu accolta, per la prima volta, nel 2017, dal Tribunale di Latina.
I ricorsi in Cassazione erano stati presentati da Gianluca Tuma e da coloro che sono ritenuti da investigatori e inquirenti i prestanome dello stesso: la moglie, la madre, il fratello Gino Grenga e Gianpiero Di Pofi.
Coinvolto nel processo Don’t Touch dal quale ha rimediato una condanna definitiva a 3 anni e 2 mesi per intestazione fittizia di beni, Tuma è tuttora sotto processo per il secondo filone del medesimo giudicato le minacce rivolte al giornalista de Il Messaggero Vittorio Buongiorno. E per il pontino 53enne i guai non sono finiti perché è in corso anche il processo derivante dall’operazione della Squadra Mobile di Latina e denominato “Ottobre Rosso”: ad essere contestati sempre i reati di estorsione e intestazione fittizia di beni. Imputati, con Tuma, anche il fratello Gino Grenga e Mantovano. Per quell’indagine, a Tuma sono state sequestrate anche cinque società.
Tornando al 2021, dopo che la Cassazione aveva rinviato tutto in Appello, la corte dei giudici di secondo grado si sono espressi con decreto del 14 marzo-26 aprile 2023. Ebbene la Corte di Appello, come giudice di rinvio in seguito ad annullamento di precedente ordinanza da parte della Sesta sezione di Cassazione, in parziale riforma del decreto del Tribunale di Latina del 6 marzo 2019, ha ridotto sì la durata della misura della sorveglianza speciale di Pubblica sicurezza applicata a Tuma Gianluca a 2 anni, confermando, però, il sequestro e la confisca dell’intero capitale sociale della Tecnoimp s.r.I., della TPS Technical Paper Service & Support s.r.l. e della Cedil S.p.a e di una imbarcazione.
Il patrimonio confiscato – secondo la Questura anche attraverso interposte persone – per un ammontare di circa 3 milioni di euro, si concretizzava nei seguenti beni: 5 immobili, di cui un appartamento e 3 locali commerciali e un laboratorio industriale, 3 autocarri e un rimorchio, 2 autovetture, 2 motocicli, nonché quote societarie e rapporti bancari di 13 società il cui settore operativo spazia dall’edilizia, alla gestione di immobili, all’impiantistica edile civile fino alla produzione di alimenti. Tra i beni confiscati si segnalano anche le quote di partecipazione alla proprietà dell’A.S. Campoboario ed il marchio verbale e figurativo dell’allora Società Sportiva Calcio U.S. Latina quando ai vertici c’era l’ex deputato di Fratelli d’Italia Pasquale Maietta.
Ad ogni modo, contro la pronuncia del 14 marzo-26 aprile 2023 della Corte d’Appello, Tuma, tramite i suoi avvocati Alessandro Diddi e Leone Zeppieri, è ricorso di nuovo in Cassazione, eccependo, innanzitutto, la eventuale erronea applicazione della misura in relazione alla condizione soggettiva dell’attualità della pericolosità.
Gli avvocato difensori hanno osservato che che la Corte di appello ha confermato il decreto applicativo della misura di prevenzione personale, ritenendo la ricorrenza dell’attualità della pericolosità qualificata del proposto sulla scorta della presenza di un procedimento penale successivo alla emissione del decreto applicativo della misura di prevenzione da parte del Tribunale di Latina. Il procedimento a cui si fa riferimento è per l’appunto quello denominato “Ottobre Rosso”. I difensori hanno evidenziato che la contestazione relativa all’ipotesi di tentata estorsione atteneva fatti denunciati come avvenuti nel gennaio 2020 e la contestazione di intestazione fittizia si sarebbe realizzata mediante cessione di quote sociali successive alla pronuncia del decreto applicativo della misura di prevenzione emesso dal tribunale di Latina in data 4 giugno 2019. Ecco perché, motivano gli avvocati, tutte le condotte contestate alla proposto erano ampiamente successive al decreto impeditivo della misura di prevenzione che costituiva il limite temporale insuperabile al quale parametrare il requisito dell’attualità della pericolosità del ricorrente.
Nel merito la Cassazione ricorda che, la scorsa primavera, la Corte di appello ha evidenziato la condanna di Tuma arrivata nel processo “Don’t Touch” per intestazione fittizia di beni. Inoltre, i giudici di secondo grado hanno esaminato gli elementi sopravvenuti dopo, “ritenendo che la prognosi negativa in ordine al futuro comportamento del proposto ed alla sua pericolosità era stata confermata da fatti sopravvenuti desunti dal carico pendente emergente dal certificato della Procura di Latina che attestava altri reati commessi nel 2020; il carico pendente è stato quindi ritenuto non solo rafforzativo della prognosi negativa effettuata dal primo giudice, ma ne ha attesta in concreto l’attualità della pericolosità sociale qualificata, così lasciando intendere che il nuovo elemento sia stato valutato per escludere un’attenuazione della pericolosità sociale del proposto; peraltro, si deve ribadire che “nel procedimento di prevenzione, in virtù dell’effetto limitatamente devolutivo del gravame, non è precluso al giudice di appello l’esame d’ufficio di elementi, sopravvenuti alla decisione di primo grado, che inducano a ritenere l’attenuazione della pericolosità del proposto ovvero un suo aggravamento”.
In base a quanto stabilito dalla Corte d’Appello, la Cassazione ha rigettato il ricorso di Tuma, condannandolo al pagamento delle spese processuali. Confisca e sorveglianza speciale sono confermate.