Proseguono serrate le indagini sull’omicidio insoluto di Paolo Celani avvenuto nel capoluogo di provincia 13 anni fa
Proseguono senza sosta le indagini della Squadra Mobile. Gli investigatori, diretti dal vicequestore Mattia Falso, hanno già ascoltato persone informate sui fatti e contano di chiudere al più presto il cerchio su un caso inquietante che giace senza responsabili dal oltre 10 anni.
Il nome di Celani è rimbombato in un’aula della Corte d’Assise del Tribunale di Latina lo scorso aprile nel corso di un’udienza del processo sull’omicidio di Massimiliano Moro, avvenuta il 25 gennaio 2010. Paolo Celani fu ferito nella notte dell’11 gennaio 2010 e morì presso l’ospedale Santa Maria Goretti il 28 giugno 2010, a causa dell’attentato subito in Via Petrarca, a Latina, a due passi dal Tribunale. Celani sarebbe morto in seguito a una delle operazioni chirurgiche dovute a quell’attentato.
Già 13 anni fa fu indagato per l’episodio Marco Ranieri, trovato in possesso di un arsenale di armi riposto in una cantina riconducibile a un altro abitante del condominio. C’era di tutto, da fucili a canne mozze a pistole, oltreché a tante munizioni. Ranieri, peraltro, fu anche destinatario dopo gli spari a Celani, di diversi attentati: un’auto bruciata, una bomba rudimentale piazza vicino la sua abitazione e alcune scritte minacciose. Per quanto riguarda le armi, invece, è noto che anche i figli, Manuel e Mirko, condannati per l’omicidio Giuroiu, sono conosciuti negli ambienti criminali come in grado di avere reperibilità di armi. Questo è almeno ciò che emerge anche dal processo che si sta svolgendo tuttora e che vede imputati, per concorso in omicidio, i fratelli Angelo e Salvatore Travali al cui clan i due fratelli, secondo la DDA, sarebbero stati legati.
L’inchiesta sugli spari a Celani, ad ogni modo, fu archiviata dalla Procura di Latina in ragione di uno scarso quadro indiziario. All’epoca, Ranieri, che abitava vicino alla casa in cui è stato attinto Celani, fu anche arrestato, anche se venne rilasciato in assenza di piste solide da battere.
A gennaio 2010, ad ogni modo, Celani fu attinto da tre proiettili calibro 45 a notte fonda. La Polizia non identificò mai gli attentatori, né tantomeno i mandanti. Poi, a giugno 2010, già sofferente per alcuni problemi di salute, l’allora 46enne fu ricoverato nel nosocomio pontino fino al peggioramento delle sue condizioni e alla morte. Nel mezzo, a maggio 2010, Celani e Ferdinando Ciarelli detto “Furt” (appartenente all’omonimo clan) furono arrestati dalla Squadra Mobile di Latina per usura e estorsione.
Secondo le indagini dell’epoca condotte dalla Polizia di Stato, i colpi contro Celani furono esplosi mentre lui si trovava a casa. Celani fu svegliato nella notte da rumori provenienti dall’esterno e, dopo essersi affacciato dalla finestra della camera da letto, fu ferito da alcuni colpi d’arma da fuoco che lo raggiunsero all’addome e a un braccio. La notte degli spari, la Polizia ritrovò anche una Fiat Uno rubata, data alle fiamme e lasciata a Borgo Faiti: secondo le indagini dell’epoca, l’auto sarebbe stata utilizzata per compiere l’attentato a Celani in Via Petrarca.
L’omicidio, benché non sia mai stato risolto, è stato inserito nel contesto della cosiddetta guerra criminale pontina. Vicino al clan Ciarelli, Celani avrebbe pagato con la vita nell’ambito di quella che ormai tutti ricordano come la mattanza di Latina tra gruppi rom (Ciarelli e Di Silvio) e malavita latinense (Moro, Nardone, Maricca) contrapposti tra di loro. Tuttavia, c’è da fare un distinguo: l’attentato a Celani avviene 14 giorni prima di quello ai danni di Carmine Ciarelli detto Porchettone avvenuto la mattina del 25 gennaio davanti al bar Sicuranza del Pantanaccio (la roccaforte di Porchettone), da cui, come noto, scaturì la reazione dei clan rom e l’alleanza vendicatrice tra il clan Ciarelli e i due rami del clan Di Silvio (Campo Boario e Gionchetto).
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E proprio il contesto di quella guerra, per cui sono stati uccisi Fabio Buonamano detto Bistecca (condannati con sentenza passata in giudicato Costantino Di Silvio detto “Patatone” e Giuseppe Di Silvio detto “Romolo”) e Massimiliano Moro, oltreché al consumarsi di diverse gambizzazioni, ferimenti e dell’usura violenta di personaggi messi sotto strozzo, è stato ripercorso in aula dal collaboratore di giustizia, Andrea Pradissitto.
Il 33enne di Latina, ex affiliato al clan Ciarelli poiché marito di Valentina Ciarelli, figlia del boss Ferdinando Ciarelli detto “Furt”, ha parlato di Paolo Celani. Il collaboratore di giustizia ha spiegato che, dopo il matrimonio, preceduto da fuitina con l’attuale moglie, fu accettato dal clan Ciarelli, in particolare, ovviamente, dal suocero “Furt”, descritto da Pradissitto stesso come il vero leader del sodalizio rom del Pantanaccio. “Di lì a breve – ha detto in Aula Pradissitto, interrogato dal Pm della Procura/Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, Luigia Spinelli – decisi di far parte del suo mondo e mi fece incontrare con Paolo Celani, padre di Valentina Travali, che era persona vicino a Furt e spacciava con la sua protezione. Cominciai l’attività con Celani nello spaccio, mio suocero mi diede la casa a Santa Maria Goretti, poi il giro di spaccio si è allargato e vendevo all’ingrosso”.
Un passaggio che conferma di come Celani fosse un uomo fidato del clan Ciarelli. In quei mesi caldi del 2010, quando si sparò e si uccise, il clan del Pantanaccio aveva subito, quindi, non solo l’attentato contro Carmine Ciarelli, ma anche il ferimento di un affiliato di peso come il medesimo Celani.
Senza contare che Paolo Celani aveva avuto da Maria Grazia Di Silvio, la figlia Valentina Travali. È in uno dei verbali resi alla DDA di Roma che Pradissitto aveva parlato di Celani, padre biologico di Valentina Travali, anche lei nota a cronache e forze dell’ordine e tuttora sotto processo per mafia nel procedimento denominato “Reset”. Il 13 ottobre 2021, nel periodo dei sei mesi previsti dalla legge nel quale Pradissitto ha parlato agli inquirenti dopo la scelta di collaborare con lo Stato, il 33enne spiega che “quando sono uscito in semilibertà o per permessi io e Valentina ci sentivamo sempre su Facebook o Messenger. Io mi informavo su come stessero i fratelli, ma non parlavamo di attività criminali. Poi lei è la vera figlia di Paolo Celani e lei sa che io volevo vendicare la morte del padre anche se poi non è stato possibile, quindi i rapporti tra noi sono sempre stati buoni”.
L’inchiesta pare proprio muoversi da ulteriori dichiarazioni di Pradissitto che gli investigatori stanno cercando di riscontare ascoltando persone che possono sapere i fatti dell’epoca. Nelle prossime settimane continueranno gli interrogatori per un caso oggettivamente misterioso.