Chiesto il rinvio a giudizio per 107 imputati per le violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, nella provincia di Caserta
Avvenute due anni fa, nell’aprile del 2020, le violenze nel carcere “Uccella” fecero aprire una maxi inchiesta col coinvolgimento di agenti della Polizia Penitenziaria e funzionari del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria).
La richiesta di rinvio a giudizio è arrivata durante l’udienza preliminare che si è tenuta davanti al Gup Pasquale D’Angelo. Erano 120 gli indagati, solo per uno degli agenti è stato richiesto il proscioglimento, così come per altri 12 alcuni mesi fa. Due degli imputati, invece, hanno chiesto di poter accedere al rito abbreviato.
Come si legge nell’ordinanza, il giudice per le indagini preliminari aveva usato un’espressione non metaforica: “orribile mattanza”. Finirono otto persone in carcere e 18 ai domiciliari, in tutto 52 misure cautelari nei confronti di membri della Polizia Penitenziaria, tra cui il comandante del Nucleo operativo traduzioni e piantonamenti del Centro penitenziario di Napoli Secondigliano e il comandante dirigente della Polizia penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere.
Questo fu l’esito degli accertamenti della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere che ha svolto le indagini in seguito agli scontri in carcere avvenuti durante il lockdown primaverile 2020. Il 4 maggio 2020, poi, il detenuto Lamine Hakimi, anche lui coinvolto nelle violenze carcerarie, morì nella cella di isolamento. Per quei fatti sono indagati 12 persone.
Nell’ordinanza spiccavano tre episodi che videro soccombere tre detenuti tra i quali un uomo di Latina. Il tenore degli insulti e delle intimidazioni da parte delle guardie carcerarie ai detenuti andava da “beviti l’acqua del cesso” a “oggi appartieni a me”
Particolarmente efferata l’aggressione subita da Marco Ranieri, volto noto alle Forze dell’Ordine e alle cronache pontine, che venne buttato a terra e picchiato “con colpi alla testa, alla schiena, alle costole, al bacino e al volto, sferrati con il manganello e con una sedia di legno” – si leggeva nell’ordinanza del Gip – “nei pressi del cancello d’ingresso del reparto Danubio (ndr: nelle celle di isolamento) lo afferravano con forza, gli facevano sbattere più volte la testa contro il muro e gli sferravano, con il manganello, un violento colpo al volto causandogli la rottura di un dente e la perdita dei sensi“.