Truffa delle mascherine e dei camici (Dpi) nel Lazio. La Protezione Civile laziale, secondo la Gdf di Taranto, fu raggirata da una società al cui interno c’è una vecchia conoscenza della provincia di Latina: l’avvocato che fu identificato nella villa di Iannotta
Oggi, come riporta una nota ufficiale della Guardia di Finanza, i militari del Comando Provinciale della GdF di Taranto hanno eseguito un’ordinanza di applicazione della misura coercitiva degli arresti domiciliari, firmata dal Gip del Tribunale di Taranto Benedetto Ruberto, su proposta del Procuratore Aggiunto della Repubblica Maurizio Carbone e del Sostituto Procuratore Antonio Natale, nei confronti di sei soggetti per associazione per delinquere finalizzata alle truffe per le forniture di dispositivi di protezione individuale nei confronti della Protezione Civile del Lazio e di altre imprese. Contestati anche i reati di riciclaggio e autoriciclaggio. Le Fiamme Gialle hanno eseguito anche un sequestro per il valore di 4 milioni di euro.
Gli episodi, avvenuti l’anno scorso (a marzo 2020), nella prima fase della pandemia, sono diventati oggetto di un’inchiesta della magistratura che ha messo in evidenza gli affari di una società tarantina, la Internazionale Biolife srl, attiva nel commercio degli integratori alimentari, la quale, fiutato il business dei Dpi, ha venduto milioni di mascherine e camici, scavalcando le regole, alla Protezione civile del Lazio nonostante sospetti intrecci con la criminalità organizzata.
Erano momenti in cui il panico la faceva da padrone in Italia e, nel caso di specie, nel Lazio. Le mascherine scarseggiavano, o meglio non si sapeva neanche dove reperirle, e i rabdomanti dell’affare facile si sono mossi per tempo un po’ in tutto lo Stivale approfittando degli Enti che non erano pronti ad affrontare il virus del secolo.
A finire agli arresti domiciliari Luciano Giorgetti, Giacomo De Bellis, Antonio Formaro, Francesco Oliverio e Raffele Buovolo. Ma a spiccare è il nome dell’avvocato Pietro Rosati, che troviamo citato nell’inchiesta “Dirty Glass” che, a settembre 2020, ha fermato il sistema tra affari, organi di Stato deviati e clan dell’imprenditore sonninese Luciano Iannotta. Ma andiamo con ordine.
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Ad aprile, la consigliera regionale di Fratelli d’Italia Chiara Colosimo denunciò la situazione della Regione Lazio chiedendosi se non ci fosse stata addirittura una truffa per quanto riguardava l’ottenimento delle mascherine e dei Dpi. Secondo la consigliera, che presentò un’interrogazione, la Regione aveva revocato tre determinazioni di affidamento per il reperimento di circa 10 milioni di mascherine FFP2 e FFP3 “perché se non si è trattato di una truffa, siamo lì“. La società a cui furono affidati gli acquisiti dei dispositivi di protezione – Ecotech srl – aveva un capitale sociale di 10mila euro mentre la commessa un valore di oltre 35 milioni di euro: 11 milioni del totale furono dati in anticipo tramite determine regionali. “Dove sono finiti questi soldi? – si chiedeva la Colosimo – “ma sopratutto dove sono finite queste mascherine?“.
Colosimo sosteneva che queste mascherine non erano mai arrivate nel Lazio. Scomparse. Prova ne era il fatto che la Regione, come detto, aveva revocato gli atti non presentando, però, almeno all’epoca, alcuna denuncia nei confronti della società affidataria.
La società che avrebbe dovuto fornire le preziose mascherine era, come accennato, la Eco.Tech srl. di Frascati ma a monte della catena di comando c’era, per l’appunto, la Internazionale Biolife srl che aveva garantito le forniture alla suddetta Eco.Tech la quale, a sua volta, si era rivolta alla svizzera Exor Sa. Quest’ultima aveva individuato la Internazionale Biolife come la prescelta per procurare in pochi giorni le mascherine e i camici richiesti dalla Regione Lazio. Dpi che però arrivarono ad agosto 2020 quando, ormai, non erano più utili poiché la carenza degli stessi era ormai superata nel Lazio e in tutta Italia. Ad oggi la Regione attende ancora il rimborso di oltre 11 dei 14 milioni di euro anticipati in quella maledetta primavera.
È per non perdere quella commessa che la Internazionale Biolife srl, secondo inquirenti e investigatori, ha fornito documenti rilasciati da enti non rientranti tra gli organismi deputati a rilasciare la specifica attestazione e, successivamente, per superare le criticità emerse durante le procedure di sdoganamento della merce proveniente da Cina e Turchia, ha prodotto falsi certificati di conformità.
Secondo gli investigatori, i Dpi avevana una “marchiatura Ce non conforme” e il certificato presentato era stato rilasciato da un società della Repubblica Ceca inesistente.
Ma ciò che salta agli occhi è chi fa da trait d’union tra Regione e l’Internazionale Biolife Srl. A tessere le fila tra Carmelo Tulumello, direttore dell’Agenzia di protezione civile del Lazio e la società è uno dei partecipanti alla stessa: l’avvocato Pietro Rosati, accusato di riciclaggio e autoriciclaggio. Secondo la Procura tarantina, “i movimenti di denaro” che passavano sul conto di Rosati, avevano “l’esclusivo scopo di ripulire parte del profitto illecito conseguito dalla Internazionale Biolife per effetto delle condotte illecite perpetrate ai danni della Protezione Civile del Lazio e della Exor Sa, rendendo difficoltosa la tracciabilità del profitto”.
Il denaro sarebbe approdato in una società albanese denominata Frog Llc e in un’altra con sede in Bulgaria chiamata Quantum Solution. La Frog è riconducibile a un 63enne di nome Vincenzo Nuzziello e a una 43enne albanese, chiamato Mirela Ndoci, già indagati per truffa. E il titolare formale della Internazionale Biolife srl, Giacomo De Bellis, non fornì alcune documentazione per i contratti con la Frog né si sognò di sporgere denuncia.
La Guardia di Finanza ha accertato pagamenti diretti e indiretti dalla Regione Lazio alla Internazionale Biolife per circa 7 milioni di euro, il che potrebbe scagionare definitivamente la Ecotech srl (i titolari risultano ancora indagati per inadempimento in pubbliche forniture), e sicuramente la Exor Sa già comunque prosciolta da ogni accusa.
Di certo, accende un faro il fatto che a cucire la rete tra Ente regionale laziale e la società i cui partecipanti e promotori sono i sei arrestati odierni sia stato proprio Pietro Rosati, l’avvocato tramite il quale Luciano Iannotta ottenne diversi contatti con alcuni che lui stesso definì “i nostri protettori”. Che altro non sono che appartenenti all’intelligence.
Fu proprio per cementare i rapporti con i cosiddetti protettori che l’imprenditore, al centro di uno scandalo dalla eco rilevante in provincia di Latina (il processo inizierà il prossimo 1 aprile), organizzò, come documentato dalla Squadra Mobile di Latina e dalla DDA di Roma, un pranzo nella sua villa di lusso, con tanto di zoo e animali esotici, a Capocroce (Sonnino). All’incontro avrebbero partecipato lo stesso Iannotta, l’avvocato Rosati, Antonio e Gennaro Festa (i due soci napoletani, anche loro arrestati, e presentati a Iannotta dall’uomo che ha solcato varie ere della camorra Pasquale Pirolo), Michele Tecchia (anche lui indagato in “Dirty Glass2) e Antonio De Luca (non indagato), più due esponenti dei servizi segreti, al momento non identificati.
Contatti e volti noti e meno noti, intrecci forse indicibili. Rosati, nel giro di pochi mesi, risulta essere al centro o a margine di rapporti tra mondi che in teoria non dovrebbero mai dialogare. E oggi, almeno per lui, questi giri non hanno portato troppo bene.