SISTEMA LOLLO: ASSOLTO IL COMMERCIALISTA DI LATINA

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Sistema Lollo, si chiude l’ultimo dei processi che si teneva presso il Tribunale di Perugia: assolto il commercialista Marco Rini

Nei giorni scorsi, il Tribunale collegiale di Perugia ha assolto dal reato di concorso in corruzione il commercialista di Latina, Marco Rini, imputato insieme al deceduto Raffaele Ranucci. Rini, che era stato ritenuto dagli inquirenti come uno dei commercialisti gravitanti nel cerchio magico dell’allora giudice fallimentare di Latina, Antonio Lollo, è stato assolto a dieci anni dagli arresti che costituirono uno dei più grandi scandali giudiziari della città di Latina e oltre.

Il processo per il commercialista, difeso dall’avvocato del Foro di Latina, Alessandro Paletta, è iniziato nel 2018. Il legale difensore nel corso del dibattimento ha prodotto una mole non indifferente di documentazione per dimostrare l’estraneità ai fatti contestati. Secondo la difesa, le affermazioni di Lollo su Rini, pronunciate nel corso di un interrogatorio e dell’incidente probatorie, erano erronee se non completamente false.

Rini, infatti, a parere della difesa, non è mai stato reale oggetto di indagine, né il suo nome era finito nei primi atti d’indagine. Lo fu quando Lollo fece il suo nome agli inquirenti e il commercialista di Latina finì indagato. A riprova della estraneità di Rini, l’avvocato difensore, nel corso della sua discussione, ha evidenziato che gli incarichi che aveva nel Tribunale di Latina gli furono confermati con un decreto dell’allora Presidente Pandozi (successivamente revocati con il rinvio a giudizio). Tre erano gli episodi contestati a Rini, sebbene in nessuno dei casi risultasse curatore fallimentare. È stato lo stesso pubblico ministero di Perugia, Massimo Casucci, a chiedere l’assoluzione di Rini.

Era marzo del 2015 quando, a Latina, come titolarono tutti gli organi di stampa locali, ci fu un vero e proprio terremoto. Che non incideva sulla crosta terreste, ma decisamente sulla credibilità della giustizia e, in particolare, del Tribunale pontino.

Un “consolidato sistema corruttivo”, spiegò la Questura di Latina, che fece scattare l’operazione di polizia e conseguenti arresti (otto) nell’ambito di un’indagine coordinata dalle Procure di Latina e Perugia, poiché, quest’ultima, è competente per i reati afferenti ai magistrati di Latina. Il magistrato coinvolto, come noto, era Antonio Lollo, divenuto ormai, e immediatamente già da allora, il simbolo di un potere giudiziario malato.

Lo sdegno dei cittadini fu unanime, persino Gianluca Tuma, un pezzo grosso del mondo di sotto pontino, dichiara in un’intercettazione finita nell’indagine Don’t Touch (2015), in cui è stato condannato nel relativo processo per intestazione fittizia di benila sua indignazione per uno dei protagonisti dell’affaire Lollo, il commercialista Gatto il quale avrebbe dato cattive referenze sul suo conto a Ciavolella, il promoter infedele di Latina accusato da molti risparmiatori di aver sottratto somme ingenti di danaro che doveva essere invece investito, con cui il Tuma dice di aver costituito in passato una società.

Ebbene Gianluca Tuma, nel 2015, dopo che lo scandalo Lollo era finito su tutti i giornali (Don’t Touch, l’indagine che invece ha colpito lui è di pochi mesi dopo), dice che di Gatto non se lo sarebbe proprio immaginato ma che, in fondo, lo vedeva un “tipo strano“.

Al di là di questo giudizio che lascia il tempo che trova, sopratutto per la fonte di chi lo pronuncia, nel Lollogate di cose “strane” ne sono accadute fin troppe.

IN BREVE LA STORIA DEL LOLLOGATE

Tra le le persone arrestate, quattro finirono in carcere e quattro ai domiciliari. Si trattava, per l’appunto, del giudice della sezione fallimentare del Tribunale, Antonio Lollo, dei commercialisti Marco Viola, Vittorio Genco e Massimo Gatto. Ai domiciliari la moglie del magistrato Antonia Lusena, e sua madre, nonché cognata del giudice Lollo, Angela Sciarretta, già vice questore in servizio come dirigente nella Questura di Latina. Colpiti con i domiciliari furono anche un imprenditore, Luca Granato e, assestando altri due colpi all’autorevolezza delle Istituzioni, un sottufficiale della Guardia di Finanza in servizio in Procura, Roberto Menduti (indagato anche l’altro finanziere Franco Pellecchia, poi assolto), uno dei tanti esempi di infiltrazioni che agevolano la criminalità a Latina e pronvincia, e una cancelliera del Tribunale deceduta l’anno scorso, il cui processo dei co-imputati è ancora incardinato presso il Tribunale di Latina.

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I reati contestati furono molti: dalla corruzione in atti giudiziari, alla concussione, all’induzione indebita a dare o promettere denaro od altra utilità, alla turbativa d’asta, al falso e alla rivelazione di segreto nonché all’accesso abusivo a sistema informatico e telematico aggravato dalla circostanza di rivestire la qualità di pubblico ufficiale. Inoltre, furono applicati ingenti sequestri relativi ai profitti di reato, come denaro cash e oggetti preziosi per un valore di oltre il milione di euro.

Tanti i professionisti citati, sia di Latina che della provincia, tra commercialisti, architetti, avvocati, poiché destinatari degli incarichi che il giudice distribuiva; tante le aziende penalizzate da un sistema dei fallimenti malato poiché pilotato: Cedis Izzi, Desca, Fratelli Olivieri, Eredi Mandara, Villa Gianna, Cantieri Navali Rizzardi Holding srl, Evotape Packaging srl, Casale Immobiliare, Costruzioni Paoloni, Electronics Italia, Mirasole, Copredil, Desca, Poseidon, Gaeta Itticoltura, Select Pharma, Frigomarket Pacifico ecc.

Le indagini coordinate dal Procuratore Aggiunto Antonella Duchini, della Procura di Perugia, e dall’allora Procuratore Aggiunto Nunzia D’Elia, della Procura di Latina, iniziarono in ragione di una denuncia presentata presso la Procura della Repubblica di Latina, in cui si ventilavano notizie di reato inerenti a una bancarotta collegata a un procedimento di concordato preventivo.

Tommaso Niglio
Tommaso Niglio

Gli accertamenti della Squadra Mobile dell’allora ex vicequestore, Tommaso Niglio, fecero emergere quel “consolidato sistema corruttivo, grazie al quale i consulenti nominati dal giudice (nda: Lollo) nelle singole procedure concorsuali, abitualmente corrispondevano a quest’ultimo una percentuale dei compensi a loro liquidati dal giudice stesso“.
Lollo, in soldoni (un’espressione che in questo caso non è vagamente metaforica), concedeva incarichi ai consulenti liquidando parcelle più alte e facendosi restituire, a seconda dei casi, una cospicua percentuale. 

Non meno gravi il sistema di illeciti che fu predisposto per influenzare lo svolgimento delle aste disposte dal Tribunale di Latina “per la vendita di beni oggetto di liquidazione nelle procedure concorsuali” e la manomissione del sistema informatico della Procura per eludere le indagini avendo scoperto, la Squadra Mobile di Latina che conduceva materialmente le indagini, le “reiterate attività di accesso abusivo al sistema informatico del Registro Generale della Procura della Repubblica di Latina, al fine di consentire ad alcuni soggetti sottoposti ad indagine di poter evitare le attività investigative a loro carico, attraverso la conoscenza di dati coperti da segreto istruttorio“.

Antonio Lollo
Antonio Lollo (foto da Il Messaggero)

In tanti anni, da quando fu resa pubblica la notizia dell’indagine e degli arresti, è successo di tutto e di più: retroscena grotteschi e servili (regalie a Lollo trattato dalla sua schiera come un Don Rodrigo de noantri), colpi di scena pindarici (uno degli indagati, l’imprenditore Davide Ianiri, coinvolto nel concordato del Consorzio Costruttori Pontini, restituì la somma di 400 mila euro recuperandola dal Brasile dove l’aveva trasferita), rese incondizionate (Lollo collaborò immediatamente rivelando le dinamiche e ulteriori nomi, alcuni dei quali omissati dagli inquirenti), vasi di Pandora non ancora del tutto scoperchiati, altri filoni di indagini (ad esempio quello che ha coinvolto di nuovo l’architetto Fausto Filigenzi per aver retrocesso a Lollo alcune somme nell’ambito di incarichi ricevuti come stimatore e Ctu, in dieci procedure differenti tra cui i fallimenti del gruppo Cedis Izzi e del caseificio Eredi Mandara) e, sopratutto, il patteggiamento (febbraio 2018) del maggiore imputato Antonio Lollo che ha limitato i danni, evitando il carcere (se si escludono i giorni di custodia cautelare), con una condanna a 3 anni e 6 mesi per il reato più odioso in capo a un appartenente alla magistratura (da cui prontamente e strategicamente Lollo si dimise a scandalo rivelato): la corruzione in atti giudiziari.

A febbraio del 2019, era andata in scena al Tribunale di Perugia la penultima puntata del processo sui fallimenti pilotati. Il giudice del Tribunale di Perugia, Piercarlo Frabotta, aveva condannato, per corruzione e per alcuni dei reati contestati, Fausto Filigenzi a 2 e 6 mesi di reclusione, con relativa interdizione dai pubblici uffici e confisca di quasi 175mila euro; Luigi Fioretti a 2 anni di reclusione (pena sospesa), con interdizione dai pubblici uffici e la confisca di 25mila euro; il finanziere Roberto Menduti a 1 anno e 2 mesi (pena sospesa).

Assolti altri indagati come il commercialista Andrea Lauri, l’avvocato Vincenzo Manciocchi e, come detto, l’altro finanziere coinvolto Franco Pellecchia. Ai patteggiamenti, sono stati condannati i commercialisti Marco Viola, Massimo Gatto e Vittorio Genco e, poi, Antonia Lusena e Angela Sciarretta. 3 anni e 3 mesi per Viola3 anni e 8 mesi per Gatto3 anni per Genco, 1 anno e 6 mesi per Lusena e 1 anno e 4 mesi per Sciarretta. Accolte dal Tribunale perugino le domande di risarcimento della Fallimento Casale immobiliare e dell’Associazione Caponnetto di Elvio Di Cesare per circa 20mila euro.

Fuori dagli esiti, poiché avevano scelto di affrontare il processo con rito ordinario al Tribunale di Perugia, i commercialisti Raffaele Ranuccic(deceduto) e Marco Rini.

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