Le zone più ricche di biodiversità frutticola e, più in generale, agricola dell’Agro Pontino sono rimaste localizzate soprattutto nella fascia collinare e montana. In queste aree dell’entroterra, infatti, non è stato sempre possibile introdurre sistemi agricoli avanzati proprio per la conformazione del suolo, quando, invece, la bonifica delle paludi sottostanti ha invece dato avvio all’era produttiva delle fertili terre della pianura, un po’ fatte emergere dagli acquitrini e per il resto diboscate della grande Selva di Terracina, di cui oggi ne rimane traccia nella parte boschiva del Parco Nazionale del Circeo.
Sezze è un paese la cui particolare localizzazione ha grandemente influenzato la sua storia. Di fatti, è uno dei soli due siti archeologici pontini, insieme a Priverno, in cui sono stati rinvenuti resti archeobotanici di frutti. Presso la Grotta Vittorio Vecchi sono state rinvenute tracce di gusci e noccioli di Cornus mas (corniolo) e di Quercus sp. (quercia) risalenti all’era del Bronzo antico-medio. Infatti, durante l’età del bronzo (fine III mill. a.C. – inizi I mill. a.C.), in Italia centromeridionale la raccolta dei frutti spontanei sembra conoscere un’intensificazione, un crescente interesse umano verso queste piante. Il corniolo, è un frutto naturalmente presente nella flora italiana, che poteva essere consumato sia fresco che secco e probabilmente veniva utilizzato nella preparazione di bevande fermentate. Le ghiande di quercia, invece, potevano essere impiegate nell’alimentazione animale, oltre che in quella umana.
A partire dalla fine del XIX secolo, nel Lazio erano state censite come piante da frutto locale il castagno, il gelso, il fico, il melo, il pero, il ciliegio, il pesco, l’albicocco, che tuttavia non vennero coltivate in maniera estensiva almeno fino al secondo dopoguerra. Proprio il melo è un albero da frutto che in terra setina, nei secoli e forse nei millenni, è riuscito a differenziarsi fino ad assicurare non poche varietà di mela al palato di chi le coglie o all’ecosistema in cui sono integrate. Solo il caso, però, è al corrente se alcune specie siano finite per estinguersi prima che se ne abbia mai avuto contezza, quindi le seguenti varietà di melo sono da considerarsi come quegli esemplari che hanno solo avuto la sorte di non estinguersi, ancora.
Sulle colline lepine, Sezze compreso, ha avuto modo di svilupparsi un’agricoltura tradizionale, legata alla biodiversità esistente in relazione alle esigenze del nucleo abitativo e, quindi, alla coltivazione di varietà autoctone perfettamente adattate all’ambiente, resistenti o tolleranti ai patogeni locali. Negli ultimi decenni, anche in questi luoghi si è andata perdendo la memoria di questa forma di tradizione, di economia e di cultura locale rappresentata dai frutti dimenticati.
Se non fosse che l’Arsial, l’Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura nel Lazio, ha tenuto traccia dei frutti di cui si andava perdendo traccia e nella zona collinare di Sezze sono state localizzate alcune varietà tipiche di mela.
Si intendono in via di estinzione quando le superfici agrarie dedicate a questi frutti sono molto esigue, limitate a poche coltivazioni familiari o quando addirittura la pianta cresce in maniera spontanea nei rari spazi dove alla natura viene ancora concesso il privilegio di fare il suo corso.
MELA COCOINE
Rischio di erosione genetica: alto
Area di reperimento: Sezze (LT)
Epoca maturazione: medio tardiva – ottobre
Pezzatura: piccola
Forma: tronco-conica breve
Buccia: giallo-verde, sovraccolore rosa
Polpa: colore bianco crema, soda, crocante, succosa
Sapore: buono, buon equilibrio acidi/zuccheri
MELA DOLCE DI SEZZE
Rischio di erosione genetica: alto
Area di reperimento: Sezze (LT)
Epoca maturazione: medio tardiva – ottobre
Pezzatura: piccola
Forma: Sferoidale
Buccia: verde, sovraccolore rosso sfumato
Polpa: colore bianco crema, soda, crocante, succosa
Sapore: buono, buon equilibrio acidi/zuccheri
MELA NANA
Rischio di erosione genetica: alto
Area di reperimento: Sezze (LT)
Epoca maturazione: precoce – luglio
Pezzatura: piccola
Forma: Sferico-appiattita costoluta
Buccia: verde – giallo, con striature rosate
Polpa: colore bianco
Sapore: scarso
MELA SANT’AGOSTINO
Rischio di erosione genetica: alto
Area di reperimento: Sezze (LT)
Epoca di raccolta: estiva – agosto
Pezzatura: medio-grossa
Forma: appiattita, troncoconica
Buccia: verde-giallo, sovraccolore rosso brillante
Polpa: colore bianco-crema, soda, croccante, succosa
Sapore: buono, rapporto zuccheri/acidi equilibrato
“Con l’approvazione della L.R. 1 marzo 2000 n.15 “Tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario” vengono affidate ad Arsial sia l’applicazione della Legge e il coordinamento di tutte le attività ad essa collegate, sia la gestione dei due strumenti operativi attraverso i quali viene attuata la tutela: il Registro Volontario Regionale (RVR) e la Rete di Conservazione e Sicurezza (Rete). Nel Registro Volontario Regionale, previo parere delle due Commissioni Tecnico Scientifiche, una per il Settore Vegetale e una per il Settore Animale, vengono iscritte le risorse genetiche vegetali ed animali, autoctone del Lazio e a rischio di erosione genetica. Le predette risorse genetiche, vengono conservate in situ/on farm e moni-torate da ARSIAL, tramite la Rete di Conservazione e Sicurezza alla quale possono aderire tutti coloro che conservano, coltivano o allevano le risorse genetiche tutelate e cioè: agricoltori e allevatori, singoli o associati, che mantengono attivamente sul territorio le predette risorse genetiche; comuni, comunità montane, istituti di ricerca, parchi, università agrarie e associazioni d’interesse”, così scrive l’Ispra sulla propria pubblicazione “Frutti dimenticati e biodiversità recuperata”. L’Arsial, inoltre, gestisce finanziamenti europei dedicati anche al sostegno economico di coloro che posseggono piante da frutto cinquantenarie a rischio estinzione, ma per gli stanziamenti bisognerà attendere la presentazione del prossimo settennio di programmazione europea dei finanziamenti.
Investire nell’ambito dei frutti dimenticati, oltre ad essere un’occasione per proteggere la varietà del biogenoma frutticolo locale, rappresenta un’opportunità in termini di economia di nicchia, a filiera corta, a KM0 con varietà che hanno particolari resistenze alle malattie connaturate ad un preciso territorio, proprio perché sono genotipi che si sono adattati a specifici contesti ambientali e quindi si prestano in maniera spontanea anche all’agricoltura biologica.