SCARFACE, RICCARDO AL PROCESSO: “CON ROMOLO O DICEVI SÌ O DICEVI SÌ”

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Prosciutto e Pescio Di Silvio
Prosciutto e Pescio Di Silvio

Processo Scarface, udienza veloce per il processo che vede alla sbarra diversi componenti del clan capeggiato da Giuseppe Di Silvio detto Romolo. A Latina, sono processati gli imputati che hanno scelto il rito ordinario

Udienza breve quest’oggi nella quale, ad essere esaminato dal Pm della Procura/DDA di Roma Luigia Spinelli, era presente, video collegato, il testimone e collaboratore di giustizia Agostino Riccardo.

Nella scorsa udienza, celebratasi a maggio, avrebbe dovuto essere contro-esaminato il collaboratore di giustizia, ex affiliato ai clan Travali e Di Silvio, Renato Pugliese. A fare le domande al figlio di Cha Cha Di Silvio, davanti al collegio II presieduto dal giudice Francesca Coculo, fu solo l’avvocato Benedetta Manasseri, che rappresenta la parte civile dell’Associazione “Antonino Caponnetto”. Tutto il collegio difensivo composto dagli avvocati Marcheselli, Melegari, Forte e Anzeloni ha deciso di non sottoporre a Pugliese nessun quesito, così come oggi davanti ad Agostino Riccardo.

Riccardo, interrogato dal Pm Spinelli, ha ricostruito brevemente il ruolo nel mondo criminale latinense del clan Di Silvio (ala Gionchetto) capeggiato da Giuseppe “Romolo” Di Silvio. L’ex affiliato al clan Travali e successivamente all’altro principale clan Di Silvio della città, ossia quello guidato dal boss Armando “Lallà” Di Silvio, ha racconto del peso di “Romolo”: “Con lui non si poteva discutere – ha detto il pentito in riferimento al passaggio dell’affiliato e pusher Michele Petillo dalle dipendenze di Renato Pugliese a quelle del boss “Romolo” – o dicevi sì o dicevi sì”.

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Successivamente, Riccardo ha raccontato di quando fu chiamato, in due distinte occasioni, da un gestore di un bar in zona movida e da un giovane che aveva un debito di droga. In entrambe le occasioni, le vittime erano finite sotto le grinfie del clan di “Romolo”: in particolare dei figli “Patatino” e “Prosciutto” (“era affascinato dal male”, ha spiegato Riccardo) Di Silvio e del genero Fabio Di Stefano. Riccardo fu interpellato per far cessare l’aggressività, la violenza e le minacce di morte che le due vittime subivano dai componenti del clan rivale (all’epoca Riccardo era affiliato al clan di “Lallà”).

Per quanto riguarda Ferdinando “Pescio” Di Silvio, oggi presente in aula e tra gli imputati del processo, Riccardo ha dichiarato di averlo visto al Gionchetto svariate volte, ma mai intento a smerciare droga. Ad ogni modo il clan di Romolo, ha ricordato il collaboratore, era forte non solo sullo spaccio di droga, ma anche nella disponibilità di armi. “Romolo aveva un arsenale e nascondeva le armi vicino a un canale”.

Per questo procedimento, a Roma, giudicati col rito abbreviato, sono stati già condannati in primo grado i membri del clan più in vista nei confronti dei quali è stata riconosciuta l’associazione mafiosa; in seconda battuta, la scorsa settimana, è arrivata la condanna a 20 anni di reclusione, sempre col rito abbreviato, per il boss Giuseppe Di Silvio detto “Romolo”.

A Latina, invece, nel processo odierno, sono processati le seconde file del clan del Gionchetto: Ferdinando Di Silvio detto Pescio (l’unico a cui sono contestati reati associativi), figlio di Costantino “Patatone” Di Silvio; Casemiro CioppiDaniel De NinnoGiulia De Rosa detta “Peppina”; Domenico Renzi e Marco Maddaloni.

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Come noto, l’operazione anticrimine risalente all’ottobre 2021, coordinata dal Procuratore aggiunto della DDA romana Ilaria Calò e portata a compimento dalla Squadra Mobile di Latina, fece eseguire 33 misure cautelari, nei confronti di soggetti, a vario titolo gravemente indiziati di aver commesso reati di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, sequestro di persona, spaccio di droga, furto, detenzione e porto abusivo di armi, reati aggravati dal metodo mafioso e da finalità di agevolazione mafiosa.

Diverse le parti offese che si sono costituite parti civili tra cui il Comune di Latina, l’Associazione antimafia Antonino Caponnetto, l’ex affiliato al clan Di Silvo e ora collaboratore di giustizia Emilio Pietrobono e, infine, un uomo titolare di un locale a Latina che, secondo l’accusa, fu estorto da Antonio “Patatino”, Ferdinando “Prosciutto” e Ferdinando “Pescio” Di Silvio. Il processo riprenderà a ottobre.

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