SCACCO AL CLAN MOCCIA: I LORO INTERESSI ANCHE A LATINA

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Colpo al clan Moccia di Afragola (Napoli): la cosca di camorra colpita dall’indagine della DDA non risparmia la provincia di Latina

I carabinieri del Ros hanno eseguito, come noto, oggi 20 aprile, misure cautelari, emesse il 9 aprile scorso dal Gip di Napoli Maria Luisa Miranda, nei confronti di 57 indagati (36 in carcere, 16 ai domiciliari e per 5 divieto temporaneo di esercitare attività d’impresa), cui vengono contestati a vario titolo i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, autoriciclaggio, fittizia intestazione di beni, corruzione, porto e detenzione illegale di armi da fuoco, ricettazione, favoreggiamento, aggravati dalla finalità di agevolare il clan Moccia.

Contestualmente, la Guardia di Finanza del Gico di Napoli ha eseguito altre 2 misure del divieto temporaneo di esercitare attività d’impresa e un decreto di sequestro preventivo d’urgenza di beni mobili, immobili e di quote societarie per un valore di circa 150 milioni di euro. 

L’indagine dei Ros di Napoli riguarda la struttura mafiosa che fa a capo i fratelli Angelo, Luigi e Antonio Moccia, insieme al cognato Filippo Iazzetta, che, anche da reclusi e dopo il trasferimento di Angelo e Luigi a Roma, hanno continuato a esercitare un controllo capillare nei territori di Afragola e nei comuni limitrofi.

L’organizzazione ha un’ala militare ma anche una imprenditoriale che è molto attiva nel recupero degli oli esausti di origine animale o vegetale di tipo alimentare, nel recupero di scarti di macellazione ma anche nei grandi appalti ferroviari compresa l’alta velocità.

La Guardia di Finanza di Napoli, poi, ha eseguito un decreto di sequestro preventivo di urgenza per i beni immobili e quote societarie e le due misure di divieto temporaneo dell’esercitare l’attività d’impresa. I Moccia, infatti, nel tempo hanno accumulato ingenti capitali. Beni per 150 milioni di euro, tra Ferrari e imbarcazioni, immobili e quote societarie. I reati contestati – tutti nella forma aggravata in quanto commessi per agevolare il clan – vanno dall’associazione mafiosa all’estorsione, dalla corruzione al favoreggiamento.

Coinvolti anche due politici pugliesi: un ex vice presidente del Consiglio a Bari e un consigliere comunale ed ex assessore all’ambiente a Lecce: Pasquale Finocchio e Andrea Guido.

Tuttavia, ciò che emerge dalla corposa inchiesta è il modo con cui il clan porta avanti gli affari. Per i carabinieri del Ros, il clan Moccia, infatti, si era introdotto nel business degli smaltimenti dei rifiuti grazie alle relazioni messe in piedi in Puglia con la Sacra Corona Unita. È in questo contesto che si innesterebbe il coinvolgimento dei due politici cui viene contestato il traffico di influenze. Grazie a un imprenditore attivo nella raccolta degli oli esausti, Francesco Di Sarno, già attivo in Campania, Piemonte, Lazio e Veneto, riuscitosi ad inserirsi sul mercato pugliese con l’acquisizione di una società con sede a Bari (nelle province di Bari, Brindisi e Lecce) il clan sarebbe anche arrivato a concludere numerose convenzioni con amministrazioni comunali, per la raccolta di quei rifiuti.

Per gli appalti di RFI (la rete ferroviaria), i Moccia si avvalevano – secondo la Procura – di un gruppo di imprenditori, ritenuti legati al clan, le cui imprese possedevano regolari titoli e certificazioni antimafia. Ai domiciliari, in questo contesto, sono finiti due funzionari dell’unità territoriale di Napoli Est – Salvatore Maisto e Stefano Deodato – con l’accusa di corruzione. Avrebbero intascato 29mila euro. Tra gli appalti dell’Alta Velocità finiti nelle mani delle imprese legate alla camorra ci sarebbe anche quello per la manutenzione nella stazione di Afragola.

I capi di questo clan ormai capace di mettere radici tra Napoli e Roma e di toccare diversi livelli criminali, secondo gli inquirenti, sono stati capaci di reimpiegare e auto-riciclare i loro soldi, tramite personaggi apparentemente lontani dalla cosca. Ad esempio è ciò che avviene con la Industrie Proteine Laziali (I.L.P.), con sede in Via Vincenzo Monti 35 a Latina, laddove, a quanto ricostruiscono gli inquirenti, Angelo, Gennaro e Antonio Moccia, attribuivano fittiziamente la propria titolarità di quote parziali e di poteri co-gestori nella società I.L.P. basata praticamente al centro del capoluogo pontino, e con sede secondaria a Patrica in provincia di Frosinone: una società che si occupa della raccolta e trasformazione di sottoprodotti di origine animali in grassi e farine. Ad aiutarli, con il “contributo consapevole e volontario”, i consoci Francesco Di Sarno e Pietro Chirico che avrebbero agevolato il Clan al fine di reimpiegare i soldi e eludere le disposizioni di legge in materie di prevenzione patrimoniale.

La Ipl, in seguito, tramite dei passaggi societari, fu inglobata da una nuova società: la Sviluppo Rendering srl sempre amministrata da Chirico e con sede legale a Latina in Via Monti 35, così come la Effe Immobiliare srl.

Non mancano nella corposa inchiesta di Napoli, anche episodi di contrasto avvenuti in Puglia con il gruppo Martena, noto a Latina per essere i gestori della Ilsap di Borgo San Michele. Anche qui gli inquirenti intendono dimostrare la caratura di Antonio Moccia per dirimere attraverso il suo imprenditore di rifiuti Di Sarno diatribe sul lato di interessi economici in conflitto con i Martena.

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