Dare il via al controllo del numero dei daini mediante soppressione di parte degli esemplari, o adozione degli stessi presso altre aree naturali, o addirittura tramite un mirabolante controllo delle nascite, non risolverà il problema del sovrannumero della popolazione di ungulati all’interno del Parco Nazionale del Circeo, se questo è il reale obiettivo. Tra qualche anno, infatti, ci si ritroverà nella medesima situazione con una popolazione di daini nuovamente superiore alla capacità della quale ciò che rimane della Selva del Circeo è chiamata a sostenere.
In un contesto come quello del bosco di Sabaudia, che ormai è solo una piccola isola di verde circondata da un territorio fortemente urbanizzato, l’obiettivo di diminuire il numero di daini potrebbe prendere più le sembianze di un indulto, come quando il sovraffollamento delle carceri non viene affrontato con azioni programmatiche risolutorie ma è attutito tramite uno sfoltimento degli individui che vi soggiornano. Quindi una non soluzione del problema, a meno che lo scopo non sia un altro. Il perché è dovuto proprio all’isolamento degli animali del Parco, soprattutto dei macromammiferi, costretti in quella che è arrivata ad assomigliare sempre di più ad una riserva indiana piuttosto che a un’area protetta davvero interconnessa con l’ambiente territoriale attraverso corridoi ecologici che, al momento, sembrano essere un’ipotesi al fondo della lista degli espedienti da adottare.
CONTROLLO O ERADICAZIONE DEL DAINO?
Il problema dei daini in sovrannumero, quindi, è determinato essenzialmente da tre tipologie di disequilibrio:
- la porzione del Parco Nazionale del Circeo che ospita i daini nel bosco sabaudiano può sostenere un certo numero di ungulati oltre il quale questi diventano un problema per la salvaguardia del sottobosco e la sussistenza alimentare di altre specie;
- mancano predatori utili a ripristinare il naturale equilibrio alla catena alimentare di quei luoghi;
- si parla di origine “alloctona” del daino, il quale, in verità, non può essere definito autoctono in nessuna parte d’Italia, in quanto reintrodotto secoli fa dopo la sua totale estinzione ai tempi della grande glaciazione.
Questo ultimo punto necessita di un approfondimento maggiore perché è qui che si è andata a creare una sorta di zona grigia che non permette ai cittadini di capire quale sia il reale orientamento del Parco del Circeo.
IL DAINO E IL PARCO DEL CIRCEO
Il daino non è un cervide autoctono delle terre pontine come invece lo era il capriolo, vale a dire un cervide di una sottofamiglia diversa da quella del daino e del cervo, più minuto e meno vorace, estinto da questi luoghi per mano dell’uomo. A differenza del capriolo, il daino etologicamente viene definito pascolatore, cioè un ruminante che possiede la capacità di digerire fibre grezze, in particolare la cellulosa. La sua alimentazione è costituita prevalentemente dalle erbe dei prati, anche in fase avanzata di sviluppo, e da elementi ancora più coriacei quali la corteccia degli alberi. Proprio per questa sua adattabilità alimentare, il daino diventa sulla carta un competitor del capriolo, oltre che un mammifero il quale, in una situazione di sovrappopolazione nel parco del Circeo, può compromettere seriamente la rinnovazione forestale negli ambienti di macchia mediterranea.
Ma come ci è arrivato il daino nel Parco del Circeo? Come scrive il Dott. Alessandro Montemaggiori del Dipartimento di biologia animale e dell’uomo dell’Università La Sapienza di Roma, nella “Compilazione dello stato delle conoscenze dei vertebrati terrestri nel Parco Nazionale del Circeo”, il daino è stato introdotto nella Selva del Circeo allo stato brado accidentalmente. Decenni fa, alcuni esemplari fuggirono da una grande area recintata (il Parco Daini di circa 400 ettari) presente all’interno del bosco, recinzione che ha ospitato fino a 400 capi ai fini di fruizione turistica ed educazione ambientale. Ma, al tempo, fu fatto un errore di valutazione. In più, pare che da sempre sia in piedi l’intenzione di eradicare il dama dama (ndr: nome scientifico del daino) e di portare avanti la reintroduzione del capriolo, già avvenuta con esito negativo negli anni ‘40 – con individui (questo il termine utilizzato da Montemaggiori) provenienti dalla ex Yugoslavia – e tra gli anni ‘70 e ‘80 (con individui provenienti dalla Tenuta Presidenziale di Castelporziano).
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Il Dott. Montemaggiori scriveva così nell’anno 2000: “L’eradicazione [del daino, ndr] non dovrebbe creare alcun tipo di problema all’ecosistema dell’area, anzi contribuirebbe al tentativo di rinaturalizzazione del patrimonio faunistico del parco stesso ed eviterebbe futuri problemi di gestione della specie, considerata fortemente problematica”. In effetti, anche in questo studio, viene ribadito che, relativamente alla presenza del daino nel Parco Nazionale del Circeo, l’obiettivo principale è l’eradicazione di questa specie in favore del reinserimento del capriolo. Altresì, viene specificato che questa azione dovrebbe essere preceduta da una “campagna di informazione nei confronti della popolazione locale che spieghi, con sensibilità ma con rigore, i motivi della scelta effettuata”.
COINVOLGERE LA POPOLAZIONE LOCALE NELLA “QUESTIONE DAINI”
Il coinvolgimento della popolazione locale nella gestione del territorio è infatti molto importante, anzi fondamentale in quella che viene definita Rete Ecologica Territoriale, ossia il sistema interconnesso di habitat che gli enti territoriali sono chiamati a sviluppare per salvaguardare la biodiversità locale. Una rete ecologica presuppone la creazione e il rafforzamento di un sistema di collegamento e di interscambio tra aree ed elementi naturali isolati, andando così a contrastare la frammentazione e i suoi effetti negativi sulla biodiversità e sui vari livelli ecosistemici. La pianificazione spaziale è intrinsecamente collegata alle interazioni socio-ecologiche e, pertanto, l’attuazione di una Rete Ecologica di livello locale deve poter funzionare anche come rete eco-sociale. Un approccio del genere deve necessariamente coinvolgere città, campagna e natura, cioè un movimento orizzontale e, quindi, non solo azioni indirizzate da regole di governo (decisioni dall’alto verso il basso). Fondamentali sono le relazioni di partecipazione, in cui i risultati da raggiungere vengono determinati con il concorso delle forze sociali interessate e non, dunque, con il loro coinvolgimento ridotto a mera informazione di quanto già stabilito dagli enti territoriali.
L’OBIETTIVO DEL P.N.C.: QUAL È?
Stante il futuro ripetersi di tale circostanza, ossia un nuovo livello di sovrappopolazione del daino nella circoscritta Selva del Circeo, senza possibilità da parte degli animali di migrare o disperdersi in ambienti circostanti, ciò sta a significare che l’eventuale reiterazione dell’abbattimento dei capi considerati in esubero andrà a consolidare una filiera stabile di prodotti che potrebbero fregiarsi della denominazione di origine protetta. Probabilmente è proprio questo il punto che necessita di essere affrontato con meno reticenza. Vero è che la situazione è critica e qualsiasi atteggiamento di immobilità determinerebbe un danno alla sostenibilità della Foresta demaniale, in quanto la voracità e il numero dei daini stanno mettendo in serio pericolo la biodiversità vegetale del sottobosco e, a catena, quella di altri animali che prosperano in questo tipo di ecosistema.
Quindi, eradicare il daino e reintrodurre il capriolo o creare una filiera stabile nel tempo di prodotti DOP per tenere a bada nel tempo il numero di questi ungulati parautoctoni? Oppure diminuire una tantum la popolazione di ungulati attualmente presente nella Selva del Circeo in attesa dello sviluppo della Rete Ecologica territoriale con corridoi verdi per incentivare la migrazione e la dispersione degli stessi?
Questi sono i punti che la dirigenza del Parco Nazionale del Circeo dovrebbe necessariamente discutere insieme alla cittadinanza: confronti in cui ognuna delle parti è tenuta ad assumersi la responsabilità di proporre soluzioni che non siano solo slogan.
In questa particolare circostanza, assumere posizioni di animalismo “integralista” o opportunismo economico equivale a condannare la sopravvivenza del bosco stesso o a (ri)definirlo come mangiatoia di capi bestiame a spese della collettività.
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