ACQUA, PARCO DEL CIRCEO: QUANTA NE È RIMASTA NELLA FALDA?

Abbassamento della superficie piezometrica Parco del Circeo
Abbassamento della superficie piezometrica delle acque di falda nel Parco del Circeo (periodo 1977 - 2003), in cui il colore rosso indica un decremento che va dai 15 ai 20 metri

Nel Parco Nazionale del Circeo, come in tutta la Pianura Pontina, gli emungimenti di acqua continui e scarsamente controllati hanno provocato un significativo abbassamento delle falde. L’attuale politica di gestione della risorsa idrica nell’area pontina rischia di compromettere la sopravvivenza delle falde acquifere e delle stesse attività umane insistenti sul territorio.

Nonostante le cause del sovrasfruttamento siano ben note, il problema risiede nella loro quantificazione, a causa di difficoltà di natura tecnica e, soprattutto, politica.

Tutti i complessi alluvionali e costieri – compreso l’Agro Pontino – contengono falde freatiche di acqua dolce, ossia le più superficiali, e queste non sono le più ricche ma le più diffuse e le più facilmente accessibili con comuni impianti di perforazione. Sono quindi le falde più utilizzate, più esposte all’eccessivo sfruttamento e più vulnerabili all’inquinamento, perché lo strato litologico (ndr: le rocce) che le separa dalle attività antropiche (e dall’ingressione delle acque marine: nelle zone costiere si assiste al fenomeno della salinizzazione dei suoli dove lo sfruttamento degli acquiferi è eccessivo, soprattutto nelle zone di Sabaudia, San Felice Circeo e Terracina) è altamente permeabile agli agenti organici e chimici. La falda freatica che nutre le fertili pianure dell’Agro Pontino, una falda relativamente superficiale che si colloca tra Rio Martino e defluisce ad ovest verso i laghi di Fogliano-Caprolace e Sabaudia e ad ovest verso il fiume Sisto, trae la propria rigenerazione grazie alle sole precipitazioni. Negli ultimi decenni i fenomeni piovosi sono nettamente diminuiti a fronte di una crescente intensità delle stesse precipitazioni, in un contesto che vede impermeabilizzare i terreni che perdono, inoltre, la capacità di assorbimento dell’acqua a causa del continuo ruscellamento dovuto ai sistemi irrigui tradizionali, noti per l’eccessivo dispendio idrico e per l’alto gradiente salino che lasciano sul suolo (residuo dell’acqua a seguito di forti evaporazioni) che secca e desertifica il suolo. 

Nel 2005, il Dott. Giuseppe Sappa, idrogeologo presso la Facoltà di Ingegneria Civile e Industriale dell’Università La Sapienza di Roma, insieme alla Dott.ssa Maria Teresa Coviello e al Dott. Marco Rossi, ha pubblicato lo studio “Effetti ambientali del sovrasfruttamento degli acquiferi della Pianura Pontina (Lazio)” nel quale vengono spiegati i motivi per cui “l’intensivo ed incontrollato sfruttamento dell’acquifero per far fronte ai fabbisogni idrici urbani, agricoli ed industriali sia responsabile di seri impatti ambientali e sociali, i principali dei quali sono il sostanziale abbassamento del tetto dei livelli saturi e l’ampliamento delle zone esposte a fenomeni di intrusione salina”. Questo studio è stato preceduto da una campagna di misure di livelli statici in pozzo condotto nel periodo di tempo compreso tra ottobre 2003 e febbraio 2004. Le misure hanno riguardato il livello piezometrico di circa 250 pozzi ubicati in maniera per lo più uniforme sulla superficie della Piana Pontina. Il territorio preso in esame corrisponde a i quattro comuni di Sabaudia, San Felice Circeo, Pontinia e Terracina, nell’area che va da est di Rio Martino alla sponda ovest del fiume Sisto.

Carta delle isofreatiche sperimentali sulla stima del livello piezometrico di circa 250 pozzi sperimentali utilizzati dal Dott. Sappa

Il principale fattore di stress per le risorse idriche sotterranee è rappresentato dallo sviluppo indiscriminato di attività industriali ed agricole convenzionali la cui idroesigenza è superiore alla disponibilità media naturale e che non si dotano di sistemi di irrigazione alternativi e più moderni. I fabbisogni irrigui totali, gravanti sul bacino idrogeologico che comprende l’area del Parco del Nazionale del Circeo, erano stati stimati in circa 20 milioni di mc/a e risultavano essere soddisfatti per la quasi totalità tramite prelievi da risorsa sotterranea, non essendo questa un’area servita dai canali del Consorzio di Bonifica.

Il database della captazioni autodenunciate per l’irrigazione colturale nella Provincia di Latina, al tempo dell’indagine, conteneva 37.637 schede di pozzi, tra domestici e non domestici. Altre captazioni che non risultavano indicate sono state recuperate dal Dott. Sappa con l’ausilio delle cartografie catastali comunali. In particolare, nella zona di studio risultavano autodenunciati circa 1.300 pozzi per uso non domestico per un prelievo totale dichiarato di circa 15 milioni di mc (pari al 50% della ricarica media annua). Va sottolineato che il valore denunciato costituisce un valore sottostimato in quanto i valori dichiarati sono generalmente inferiori a quelli realmente captati e, in secondo luogo, costituisce solo una parte delle reali captazioni in essere.

Carta della copertura e uso del suolo dell’Agro Pontino, in cui è evidente la preminenza di coltivazioni in aree irrigue

Durante le campagne di controllo del patrimonio idrico locale, che almeno dagli anni ‘50 ai primi anni zero si susseguivano con una cadenza all’incirca decennale, è stata individuata una seconda falda, molto più profonda, a livello delle sabbie calcaree organogene intercalate con livelli di ghiaie. Le due falde, quella più superficiale e quest’ultima appena citata, risultano separate da livelli argillosi lenticolari a bassa permeabilità, ma non si è riscontrato un livello impermeabile continuo, almeno nei pozzi esaminati dal Prof. Sappa durante indagini piezometriche. Tuttavia, l’elevata densità di perforazioni presenti attuate senza controllo e senza autorizzazioni, hanno fatto ipotizzare la comunicazione idraulica tra i due livelli e di conseguenza la possibilità di considerare un unico orizzonte acquifero significativo non confinato a livello regionale.

Alla luce di quanto esposto si è ritenuto ragionevole definire critiche, ovvero soggette ad un sovrasfruttamento preoccupante per la tutela quantitativa e qualitativa delle risorsa idrica sotterranea, le aree ove l’escursione storica negativa è risultata maggiore o uguale alla soglia di 10 metri. […] È infatti da alcuni decenni, cioè dalla redazione delle ultime versioni dei progetti speciali promossi dalla ex-Cassa del Mezzogiorno, che non sono stati condotti studi analoghi. Negli ultimi anni [primo quinquennio del 2000, n.d.r.] con il supporto istituzionale e finanziario dell’Autorità dei Bacini Regionali del Lazio è stato possibile condurre studi sistematici che hanno consentito di individuare le aree della Pianura Pontina nelle quali lo sfruttamento non pianificato e non controllato delle acque sotterranee ha determinato da un lato uno stato di consistente depauperamento delle falde e dall’altro alla degradazione qualitativa delle risorse idriche sotterranee a causa del progressivo incremento del fenomeno della intrusione marina”.

Abbassamento della superficie piezometrica Parco del Circeo
Abbassamento della superficie piezometrica delle acque di falda nel Parco del Circeo (periodo 1977 – 2003), in cui il colore rosso indica un decremento che va dai 15 ai 20 metri

Le falde alluvionali e costiere assumono un’importanza fondamentale nelle aree non servite dalle grandi reti pubbliche di distribuzione, dove costituiscono l’unica fonte di approvvigionamento idrico autonomo per usi domestici, agricoli e industriali e per acquedotti municipali di limitata estensione. Sull’uso di queste risorse, attualmente incontrollato, è basata una parte non trascurabile dell’economia regionale.

La Piana Pontina è stata caratterizzata negli ultimi decenni da un notevole incremento delle attività umane che a valle della bonifica hanno interessato in primo luogo l’agricoltura, in secondo luogo il turismo balneare e, da ultimo, ma non di minore importanza lo sviluppo di insediamenti industriali, talvolta anche di rilevante entità. Ciò ha avuto necessariamente conseguenze in termini di sfruttamento della risorsa idrica sotterranea, la cui pianificazione non è riuscita a stare al passo con il trend di crescita dell’impatto antropico sugli acquiferi della piana. 

Le conclusioni di queste ricerche, che trovano più ampie e dettagliate argomentazioni nei rapporti consegnati all’Autorità dei Bacini Regionali del Lazio, evidenziano alcune aree, neanche troppo circoscritte, nelle quali lo stato di depauperamento e/o degradazione delle risorse idriche sotterranee, causato dal sovrasfruttamento antropico, richiede interventi di sistema assolutamente impegnativi. Occorre infatti ripensare in modo profondo sia la localizzazione sia la caratterizzazione di alcune attività agricole ed industriali che risultano eccessivamente idroesigenti per le potenzialità dell’area in questione. Appare d’altro canto opportuno anche una attenta riflessione sul concetto di uso domestico della risorsa che allo stato attuale, prestandosi ad interpretazioni troppo estensive, lascia spazio ad un uso troppo spesso indiscriminato delle risorse idriche sotterranee“.

Articolo precedente

DISCARICA ABUSIVA DI ITRI: LE ORDINANZE PER LA BONIFICA CI SONO MA I RESPONSABILI VENGONO OMESSI

Articolo successivo

MIASMI SEP. SILVESTRI RISPONDE A LATINA TU. MA IL COMITATO MAZZOCCHIO: “NON CE LA FACCIAMO PIÙ”

Ultime da Focus