PUROSANGUE, IL PROCESSO AL CLAN CIARELLI IN DIRITTURA D’ARRIVO

Lo stabile confiscato ai Ciarelli e sgomberato ieri dall'operazione interforze
Lo stabile confiscato ai Ciarelli in Via Andromeda 16

Clan Ciarelli, procede a passi svelti il processo che vede sul banco degli imputati tra i maggiori esponenti del sodalizio di origine rom

Il prossimo 28 giugno l’istruttoria del processo, scaturito dall’operazione denominata “Purosangue” in cui si contestano reati aggravati dal metodo mafioso ai principali componenti del clan di origine rom Ciarelli, si concluderà, dopodiché la parola passerà all’accusa e alle difese. L’indagine, come noto, è stata finalizzata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma e dalla Squadra Mobile di Latina, portando ad arrestare i vertici della famiglia a giugno 2022.

Il processo vede alla sbarra i capi, tranne Luigi Ciarelli (il numero tre del sodalizio, giudicato nell’altro processo antimafia sui clan rom denominato “Reset), di quello che tutti a Latina conoscono come il clan Ciarelli, la famiglia che aveva eletto la propria base nel quartiere Pantanaccio, alla periferia di Latina. Sul banco degli imputati, ci sono personaggi di rilevante caratura criminale come Carmine Ciarelli detto “Porchettone” e suo fratello Ferdinando Ciarelli detto “Furt”. Tra i reati più importanti, varie vicende di estorsione, violenza privata, danneggiamento, usura. Dieci in tutto gli episodi estorsivi raccolti dagli investigatori e finiti nel processo.

Oggi, 24 maggio, invece, davanti davanti al collegio del Tribunale presieduta dal giudice Gian Luca Soana, a latere i giudici Alfonso Piccialli (in prestito dal Tribunale Civile in considerazione della penuria dei giudici pontini) e Francesca Coculo, si è concluso l’esame del collaboratore di giustizia Andrea Pradissitto, non proprio uno qualunque.

Il 34enne pontino, infatti, è sposato con Valentina Ciarelli, figlia di Ferdinando Ciarelli detto “Furt” e di Maria Rosaria Di Silvio, sorella del boss Armando “Lallà” Di Silvio, capo del clan omonimo a Campo Boario. A interrogare Pradissitto, dopo che nella scorsa udienza era finito l’esame del pubblico ministero Valentina Giammaria, anche oggi in rappresentanza della DDA di Roma, è stato il collegio difensivo composto dagli avvocati Montini, Forte, Carradori, Vittori, Vasaturo, Farau, Palmiero, Nardecchia e Coronella. Non tutti gli avvocati hanno avanzato domande al pentito tanto che il contro-esame è stato piuttosto spedito. In particolare, l’avvocato Vasaturo si è soffermato sulla figura di Roberto Ciarelli, il giovane rampollo, figlio di “Furt”, e cognato di Pradissitto, già condannato a 9 anni in abbreviato nell’ambito dello stesso procedimento “Purosangue”. Pradissitto ha spiegato che suo cognato non era considerato idoneo a fare il criminale, in quanto troppo violento e capace di attirare troppe attenzioni.

Sicuramente uno dei momenti clou dell’udienza odierna è stato l’esame dell’imputato Matteo Ciaravino, da sempre sodale e amico del predetto Roberto Ciarelli. Il 35enne pontino ha negato di aver partecipato a una delle estorsioni che vengono contestati nel processo, sicuramente una delle più inquietanti poiché ha riguardato l’avvocato Fabrizio Colletti, un tempo, con la madre Paola Cavicchi, ai vertici del Latina Calcio nell’era dell’ex deputato di Fratelli d’Italia, Pasquale Maietta.

Una estorsione già sviscerata nel processo dal momento che lo stesso avvocato è stato chiamato a testimoniare in aula. Ciaravino non solo ha negato di aver estorto l’avvocato ma è emerso che, al contrario, avrebbe dato supporto morale e psicologico a Colletti nel duro periodo di carcerazione, dal momento che il legale, a differenza di personaggi come Pradissitto (reo confesso dell’estorsione), Roberto Ciarelli (già condannato per il reato) e il medesimo Ciaravino, non era di certo avvezzo alle patrie galere.

Sarebbe stato il compagno della sorella di Colletti, amico stretto di Ciaravino sin dai tempi della scuola, a chiedere a Ciaravino di “buttare un occhio” sull’avvocato. Una versione dei fatti che cozza con quella raccontata nel processo dall’avvocato che ha ammesso di aver pagato per avere tranquillità nel carcere, sebbene il coinvolgimento di Ciaravino non è stato chiarito. Anzi, a sentire il cognato di Colletti, ascoltato in aula come testimone nella giornata odierna, la versione di un Ciaravino premuroso con Colletti è confermata. Il 35enne si sarebbe comportato da “amico” con Colletti, anche se, all’epoca, si trovava nella stessa cella di Pradissitto e Roberto Ciarelli, i due estorsori dell’avvocato. Come faceva a non sapere dell’attività estorsiva? È la domanda che riversa a Ciaravino la pubblica accusa e in un certo modo anche il suo stesso legale. Il 35enne ha ribadito di non averne saputo nulla e di non aver mai potuto far del male all’avvocato, essendo legato affettivamente al suo amico da sempre.

Ciò che viene confermato, così come detto in precedente udienza dalla compagna dell’avvocato, è che Colletti mai avrebbe parlato con i famigliari più stretti dei fatti carcerari che lo avevano coinvolto. Secondo l’accusa, invece, e secondo Pradissitto, sarebbe stata la sorella di Colletti a consegnare i circa 2mila euro alla madre del pentito in cambio della protezione in carcere. E come faceva a non sapere niente il compagno della sorella di Colletti? Su questo il testimone è stato chiaro: “Se ha consegnato i soldi, lo ha fatto a mia insaputa“.

L’udienza, inoltre, ha passato in rassegna anche gli altri imputati per i quali il pubblico ministero aveva chiesto l’esame. Tutti si sono avvalsi della facoltà di rispondere, come loro diritto, compreso Antoniogiorgio Ciarelli, fresco dell’assoluzione nel processo sull’omicidio Moro e presente in aula, tranne il predetto Ciaravino e il boss Ferdinando Ciarelli detto “Furt”. Il 61enne ha risposto sull’estorsione che gli viene contestata, spiegando che non ha mai minacciato la vittima, al massimo fu una battuta infelice originata dal fatto che la stessa vittima si rifiutò di accompagnare Costantino Di Silvio detto “Patatone” a costituirsi per l’omicidio di Fabio Buonamano detto “Bistecca”. Era il 2010, da quell’anno “Furt” è ininterrottamente detenuto in carcere.

Leggi anche:
PUROSANGUE, PRADISSITTO: “MIO SUOCERO “FURT” CIARELLI DOVEVA ESSERE IL REFERENTE DEI SERVIZI SEGRETI”

Si ricomincia, anzi si finisce a fine giugno. Previsti altri tre testimoni, poi si arriverà alla conclusione di un processo che ha camminato veloce.

Articolo precedente

URBANISTICA, L’ASSESSORE REGIONALE AD APRILIA PER ILLUSTRARE LA CONVENZIONE

Articolo successivo

“LE NUOVE SFIDE DEL SETTORE RIFIUTI”, IL CONVEGNO DI ABC LATINA ALL’UNIVERSITÀ

Ultime da Giudiziaria