Processo Scheggia: riparte in Aula il dibattimento per il procedimento che vede sul banco degli imputati l’ex consigliera regionale Gina Cetrone
Dopo diversi impedimenti che hanno fatto saltare udienze e persino la morte di uno degli imputati, Samuele Di Silvio deceduto nel carcere di Agrigento dove era recluso, il processo è ripreso davanti al Collegio presieduto dalla Presidente Caterina Chiaravalloti, che vede, per l’appunto, giudicati Gina Cetrone, l’ex marito Umberto Pagliaroli, due Di Silvio – Armando detto Lallà e il figlio Gianluca – più l’attuale collaboratore di giustizia Agostino Riccardo già escusso come testimone.
I reati contestati agli imputati sono estorsione, atti di illecita concorrenza, violenza privata, più gli illeciti connessi alle elezioni amministrative di Terracina 2016, tutti aggravati dal metodo mafioso.
Nella precedente udienza del 5 aprile, il Collegio del Tribunale aveva deciso che, prima di ascoltare il testimone della difesa Pasquale Maietta, ex deputato di Fratelli d’Italia ed ex Presidente del Latina Calcio, si sarebbe dovuta completare l’escussione in Aula del Dirigente della Squadra Mobile di LatIna Giuseppe Pontecorvo. Già interrogato dal Pm Luigia Spinelli, Pontecorvo era atteso al contro-esame del collegio della difesa, in particolare dell’avvocato Lorenzo Magnarelli che assiste l’imputata principale: Gina Cetrone.
Come. noto, la Corte, presieduta dal Giudice Caterina Chiaravalloti (a latere i giudici Francesco Valentini ed Enrica Villani), ha iniziato a sciogliere le riserve sulle richiesta della difesa di ascoltare vari politici tra cui, oltreché Maietta, anche il sindaco di Sperlonga Armando Cusani e l’ex sindaco di Latina Giovanni Di Giorgi, tutti chiamati in causa dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Agostino Riccardo. Maietta verrà interrogato il prossimo 17 maggio.
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il Dirigente Pontecorvo, il cui contro-esame è slittato più volte per vari e giustificati impedimenti (anche in riferimento al collegio difensivo), aveva iniziato la sua testimoniato nell’udienza del 30 settembre 2021 quando, interrogato dal Pm Luigia Spinelli, aveva iniziato la ricostruzione delle fasi d’indagini poi concretizzatisi negli arresti a carico degli odierni imputati, avvenuti a gennaio 2020. Il Vice Questore aggiunto aveva menzionato in Aula le chat Facebook che dimostrano come Agostino Riccardo, più gli altri componenti del Clan Di Silvio, interloquivano con Umberto Pagliaroli e Gina Cetrone, sia per quanto riguardava la propaganda elettorale per le Comunali di Terracina 2016, sia per l’estorsione che gli inquirenti ritengono si sia consumata ai danni di un imprenditore di Pescara, eseguita dal sodalizio rom ma commissionata dagli imprenditori Pagliaroli e Cetrone.
La testimonianza di Pontecorvo era ripresa a dicembre 2021, intervallata anche da alcune domande poste da parte degli avvocati difensori di Cetrone e Pagliaroli, con la ricostruzione dell’indagine menzionando di nuovo le chat Facebook e i riscontri effettuati dalla Squadra Mobile di Latina: le fasi, in sostanza, che hanno portato a delineare l’episodio dell’estorsione all’imprenditore di Pescara avvenuto ad aprile 2016 e l’accordo per la propaganda elettorale di Gina Cetrone.
Oggi, dopo mesi, si è conclusa la testimonianza di Pontecorvo. L’avvocato Magnarelli, sulla base dell’informativa del giugno 2019 (su cui si fonda buona parte dell’inchiesta da cui scaturisce il processo odierno), ha iniziato a chiedergli se Gina Cetrone avesse subito un tentativo di azione ritorsiva o comunque violenta da parte di Riccardo. Il Dirigente della Squadra Mobile ha spiegato che nel maggio 2016: “Seguivamo Riccardo perché violento, facemmo un servizio anche a tutela della Cetrone, ma quello stesso giorno abbiamo escluso ogni attività ritorsiva contro Cetrone“.
Pontecorvo, contro-esaminato dall’avvocato Magnarelli, ha ricostruito le fasi che hanno portato alle contestazioni odierne: affari elettorali ed estorsione ai danni dell’imprenditore di Pescara. Un’indagine che si è basata anche su alcune fotografie utilizzare nell’informativa “Alba Pontina”, da cui discende il processo Scheggia, e le annotazioni di polizia giudiziaria a maggio 2016 e giugno 2016. Tra gli episodi ripercorsi anche quello in cui gli agenti di Polizia fermarono Gianluca D’Amico, Matteo Lombardi e Agostino Riccardo a Terracina rinvenendo materiale elettorale.
Fu in quell’occasione che Lombardi (poi deceduto) dichiarò di fare attacchinaggio per la lista Corradini e dopo di lui lo stesso confermò Gianluca D’Amico: l’accordo avrebbe previsto, secondo le loro testimonianza, 100mila euro per le affissioni elettorali. La difesa di Magnarelli ha cercato di scardinare questa ipotesi dal momento che non sono mai stati compiuti accertamenti sulla lista Corradini e sui candidati della medesima (Cetrone, in quell’elezione amministrativa del 2016 a Terracina, decise di appoggiare con la lista “Sì Cambia” l’allora candidato sindaco Corradini).
Successivamente, il Dirigente Pontecorvo è stato interrogato dall’Avvocato Oreste Palmieri che assiste Armando “Lallà” Di Silvio. La difesa ha cercato di dimostrare, tramite le sue domande, che “Lallà”, ritenuto il capo del sodalizio, non abbia avuto in realtà contatti diretti né con l’imprenditore estorto né con gli imprenditori Cetrone e Pagliaroli nel contesto della affissioni elettorali. Neppure, secondo la difesa, un tabulato telefonico della durata di 63 secondi, datato aprile 2016, che testimonia un contatto tra un’utenza in uso a Cetrone e un’utenza in uso a “Lallà”, dimostrerebbe alcunché. Non la pensano così gli investigatori poiché, proprio la stessa sera, Pagliaroli, all’epoca marito di Cetrone, inviò foto elettorali dell’allora candidata ad Agostino Riccardo stesso, senza contare che vi sono agli atti altri messaggi scambiati tra i due.
Insomma, da una parte la difesa che sostiene che in realtà Armando Di Silvio non partecipa attivamente alle presunte condotte illecite dei figli Samuele e Gianluca e dell’allora affiliato Riccardo; dall’altra, l’accusa, rappresentata oggi in aula dal Pm della DDA di Roma Corrado Fasanelli, che sostiene il contrario: ossia è vero che potranno anche non esserci contatti diretti ma ciò non scagionerebbe il boss di Campo Boario in quanto era Riccardo, all’epoca, il referente dei Di Silvio per la campagna elettorale di Terracina, quello deputato ad avere le interlocuzioni. E, per di più, proprio per non aver contatti diretti con gli “zingari” – espressamente richiesto da chi si rivolgeva a loro per i vari servizi – veniva messo un personaggio come poteva essere Riccardo. È Ferdinando Di Silvio detto Pupetto, un altro figlio di “Lallà”, a dire a Riccardo: “L’orchestra a Terracina la reggi tu“.
D’altra parte, come riferito da Gianluca D’Amico, all’epoca intimidito da Riccardo nella guerra delle affissioni elettorali a Terracina nel 2016, “era di dominio pubblico – ha riportato in Aula, Pontecorvo – che Cetrone si faceva fare la campagna elettorale dagli zingari“.
Finita la testimonianza del Capo della Squadra Mobile di Latina Pontecorvo, il Pm Fasanelli ha ribadito che l’escussione di Maietta, chiamato dalla difesa a testimoniare, non sarebbe possibile in quando l’ex deputato è indagato per il procedimento che lo vede accusato di aver disposto minacce nei confronti dell’ex consigliere comunale di Terracina Di Mario affinché non si dimettesse e non facesse cadere l’allora Giunta Procaccini nel 2015 (leggi approfondimento di seguito).
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Al netto dell’eccezione formulata dal Pm Fasanelli che segue quella formulata dalla collega Luigia Spinelli nell’udienza scorsa, si è passati all’esame dell’imputato principale, collegato dal carcere di Sassari, Armando “Lallà” Di Silvio. L’interrogatorio del Pubblico Ministero non è durato molto. Sembrava di assistere a un deja vu con il capo-famiglia di Campo Boario a ripetere la sua retorica: non c’entro niente con gli affari di Riccardo, non mi interesso di politica e sono un povero zingarello.
“Lo conosco Riccardo – ha detto Lallà rispondendo alle domande del magistrato – non ho avuto rapporti con lui, frequentava solo Samuele e Gianluca. Riccardo e Pugliese (nda: Renato, l’altro collaboratore di giustizia le cui dichiarazioni hanno avuto peso nel processo) girovagavano con loro e non so chi me li ha portati. Qualcuno me li ha mandati”.
“Non sono un bambino che me la facevo con questi – ha proseguito Lallà – Ho 56 anni e all’epoca ne avevo una cinquanta ma non me la facevo con i bambini come Riccardo. Era un tipo che giocava con i miei figli”. Su Pagliaroli e Cetrone: “Mai visti, l’ho conosciuto Pagliarolo tramite la custodia in carcere. Mai conosciuto neanche Cetrone, non sono mai stato a Terracina. Io sono un povero zingarello, con la politica non ho avuto mai niente a che fare. Campo alla giornata, il signor poliziotto che parlava, non ha detto che ero stato intercettato e che lavoravo all’autolavaggio. Io sono 30 anni che non voto, non mi interesso di politica. Non mi ricordo e non lo so se i miei figli hanno fatto campagna elettorale”.
E ancora: “Riccardo mi ha messo in mezzo a un mare di guai. Riccardo quando andava in giro si spacciava per zingaro e spendeva il nome dei Di Silvio, ma né lui né Renato Pugliese sono zingari”. Ma perché, ha chiesto a Lallà il Pm, Riccardo avrebbe utilizzato il nome dei Di Silvio?: “Usare il nome comportava che gli zingari sono cattivi, che sparano e bruciano e chiedeva soldi anche ai morti di fame. Ha levato i soldi agli avvocati col nome dei Di Silvio. Io sono un povero scemo altro che capo. Mai ricevuto denaro da Riccardo e non gli davo confidenza perché era ludopatico e drogato. Ho dato io a Riccardo qualche euro per le sigarette ma li spendeva giocando“.
Niente di nuovo dalla testimonianza di Armando Di Silvio che, come spesso è capitato in questo processo, presentava una vistosa fasciatura alla testa. Alla prossima udienza, fissata per il 17 maggio, si proseguirà con l’escussione degli imputati: Gianluca Di Silvio, Umberto Pagliaroli e Gina Cetrone. Successivamente, dovrebbe essere la volta di Pasquale Maietta.