“Appare diversamente distribuita anche la presenza della criminalità organizzata, che si è manifestata con più evidenza nelle aree maggiormente urbanizzate o comunque ove più intensi sono gli scambi economici e più agevole risulta, quindi, la mimetizzazione delle attività criminali. La centralità geografica del Lazio nel territorio nazionale costituisce, al contempo, un possibile snodo per il transito delle merci illegali. Lo scalo aereo “Leonardo da Vinci” e le aree portuali di Civitavecchia-Fiumicino-Gaeta, nel corso del 2018, hanno visto il transito di oltre 50 milioni di passeggeri e di quasi 14 milioni di tonnellate di merce”.
Il periodico rapporto semestrale dalla direzione investigativa antimafia al ministero degli Interni e pubblicato ieri, apre il paragrafo dedicato al Lazio, e a differenza della precedente relazione, con un focus ben preciso immediatamente gettato sugli scali portuali e in particolare sul porto commerciale di Gaeta. Che a differenza della vocazione dedicata soprattutto al transito delle persone per gli altri scali, è dunque al centro dell’attenzione dell’antimafia circa il traffico di una tale quantità di merci. Non si capisce come sia stato possibile che il sindaco di Gaeta Cosmo Mitrano e il presidente del Consorzio di sviluppo industriale Salvatore Forte abbiano, solo poche settimane fa, affermato esattamente il contrario dichiarando che non bisogna dire che il porto è in mano alla camorra altrimenti si spaventano le imprese.
“Tra le realtà economiche di particolare significatività devono poi essere evidenziati il Mercato Ortofrutticolo di Fondi (MOF-LT) e il Centro Agroalimentare di Guidonia (RM), i cui volumi commerciali sono in grado di influenzare il mercato nazionale del settore agroalimentare e in particolare degli agrumi”. Pochi chilometri e poche parole dopo e la relazione va subito a Fondi, come secondo altro snodo commerciale e investigativo cruciale nella lotta alle mafie. Il concetto è quello già altre volte ripetuto in passato, ovvero quello per cui questi sono luoghi davvero unici nella propria capacità di essere diventati “tavoli permanenti per le mafie”, ovvero dove la mafia, la camorra e la ndrangheta si siedono, discutono, fanno affari, si spartiscono i territori e non si pestano i piedi a vicenda. Ecco perchè meritano e meriterebbero più attenzione che altrove.
Un porto intercontinentale, un mercato tra i più grandi d’Europa e la vicinanza in zona di guardia alla Campania, al casertano e alla Capitale, il sudpontino è un luogo dalla “naturale” vocazione criminale unico in Italia e la Dia lo afferma chiaramente: “Per i sodalizi campani, vista la contiguità geografica, l’area è la loro naturale area di espansione per i traffici illeciti, nonché per il riciclaggio ed il reimpiego dei capitali acquisiti illegalmente nei settori dell’edilizia e del commercio. Risorse investite in particolare nel circuito agroalimentare e della ristorazione, nonché delle sale da gioco. Negli anni, nella provincia di Latina le indagini hanno fatto registrare la presenza, soprattutto sul litorale pontino, di esponenti di sodalizi campani legati alle famiglie Bardellino, Bidognetti, Giuliano, Mallardo, Licciardi (viene nuovamente ricordato come esempio emblematico in particolare della città di Formia, la confisca di beni per 22 milioni di euro all’imprenditore Vincenzo Zangrillo ritenuto sodale della fazione Bidognetti nel clan dei Casalesi).
E ci piacerebbe sapere cosa pensa della relazione della Dia il sindaco di Minturno Gerardo Stefanelli, che dopo essere stato convocato dalla commissione antimafia della Regione Lazio, non solo non c’è andato (e può succedere) ma ha mandato un consigliere comunale che ha parlato di venditori ambulanti e telecamere di sorveglianza. Salvo poi precisare che lui come cittadino non conosce evidenti fatti legati al crimine organizzato. Per la Dia, invece, Minturno è utilizzata come rifugio per i latitanti. “Diversi sono stati i soggetti criminali ricercati tratti in arresto nel corso del 2018. Nel mese di ottobre, a Minturno (LT), dove era domiciliato, è stato tratto in arresto, in esecuzione di un ordine di carcerazione, un affiliato al clan casertano Belforte. Nello stesso giorno, sempre a Minturno ed in esecuzione di analogo ordine di carcerazione, è stato tratto in arresto un affiliato al clan napoletano Lo Russo”.
E proprio nel giorno della pubblicazione della relazione della Dia, sono arrivate anche le prime quattro condanne per esponenti della famiglia D’Alterio di Fondi, della quale la relazione si occupa in modo circostanziato. Collaborazioni funzionali tra diverse matrici criminali, emerse già in relazione alle attività del MOF di Fondi, sono state confermate dalle risultanze dell’operazione “Aleppo”, condotta dai Carabinieri, che il 13 settembre 2018, a Fondi e Terracina (LT) nonché a Mondragone (CE), hanno arrestato 6 soggetti e sequestrato una società operante nel settore del trasporto su gomma delle derrate alimentari all’interno del citato mercato ortofrutticolo (con la società “La Suprema”, ndr). Nell’indagine è stata coinvolta la famiglia D’Alterio, originaria del sud-pontino, contigua a clan camorristici casertani, che aveva monopolizzato i trasporti, tra l’altro imponendo una “tassa” alle altre ditte di trasporto. Tra i reati contestati, anche le minacce ad un imprenditore per ritornare in possesso di un bene, acquistato in un’asta pubblica, che era stato confiscato ai D’Alterio”.
Eppure nonostante la caratura criminale dei condannati e le accuse per estorsione, illecita concorrenza con minaccia o violenza, impiego di denaro di provenienza illecita, trasferimento fraudolento di valori, autoriciclaggio e intestazione fittizia dei beni, commessi con l’aggravante del metodo mafioso, Luigi D’Alterio è stato condannato a 6 anni e quattro mesi, Anna D’Avia a 2 anni, Melissa D’Alterio a 3 anni e 4 mesi e Armando D’Alterio 3 anni, 6 mesi e 20 giorni (ha chiaramente influito la richiesta di rito abbreviato che ha ridotto le pene). Inoltre è stata disposta per Luigi D’Alterio anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici ed in stato di interdizione legale durante l’esecuzione della pena. Per Armando e Melissa D’Alterio l’interdizione avrà durata di 5 anni.
Chiaramente gioca un ruolo preminente anche la collaborazione, il supporto e l’opportunità del mondo della politica e delle istituzioni sul territorio. E infatti la Dia dedica la chiusura del paragrafo pontino alla relazione del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Roma all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2019, nella quale è riportato che “… il territorio del basso Lazio è stato oggetto di una espansione via via sempre più profonda e ramificata non soltanto ad opera di clan camorristici e del corrispondente insediamento dei relativi esponenti, ma anche di cosche di ‘ndrangheta, la cui presenza si è con il tempo estesa e strutturata, fino a determinare la compresenza su quel territorio di un coacervo di gruppi, la cui attività, fortemente caratterizzata dal metodo mafioso, ne ha segnato profondamente il tessuto economico-sociale ed anche politico. … Si tratta, in altri termini, di nuclei criminali che, rafforzatisi e strutturatisi nel tempo, hanno finito per dare luogo a vere e proprie associazioni mafiose autoctone”.