Formia, operazione “Bardellino”: è stato rinviato a giudizio uno dei personaggi perquisiti nel 2023, Giuseppe Favoccia. L’accusa è di detenzione di armi
Il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Cassino, Alessandra Casinelli, ha rinviato a giudizio, per detenzione illegale di arma da sparo, il settantenne Giuseppe Favoccia, considerato dagli inquirenti dell’Antimafia come sodale della famiglia Bardellino, in particolare di Ernesto Bardellino, fratello del fondatore del clan dei Casalesi, Antonio Bardellino. Un reato non proprio da prima pagina (l’imputato rischia una pena massima di 6 anni partendo da quella minima di 1 anno) ma che ha assunto una valenza particolare in quanto l’arma fu sequestrata nel corso della maxi operazione del luglio 2023 quando Polizia e Carabinieri, coordinati da ben due Direzioni Distrettuali Antimafia (Roma e Napoli, passarono al setaccio diverse case di parenti e amici della galassia dei Bardellino tra Formia, il sud pontino e il casertano.
Il processo per Favoccia, difeso dall’avvocato Michelangelo Fiorentino, inizierà a febbraio 2025 davanti al giudice monocratico del Tribunale di Cassino, Martina Malvagni.
Nella mattinata del 26 luglio 2023, infatti, in vari Comuni, tra cui Formia, Minturno e Gaeta, vi furono numerose perquisizioni nell’ambito del tentato omicidio di Gustavo Bardellino avvenuto il 15 febbraio 2022 presso l’autosalone Buonerba a Formia.
Le operazioni eseguite dai militari del Nucleo Investigativo di Latina e del Comando Compagnia carabinieri di Formia, e da personale della Squadra Mobile di Latina e dal Commissariato di Gaeta, protarono, oltreché alla scoperta dell’ormai famigerato bunker di Antonio Bardellino, anche all’arresto di Giuseppe Favoccia, 74enne di Formia, trovato all’interno della sua abitazione in possesso di una pistola alterata (semiautomatica priva di matricola) con relativo munizionamento calibro 7,65 che tentava di occultare. Una pistola comunque diversa da quella utilizzata per sparare a Gustavo Bardellino, figlio di Silvio Bardellino e nipote di “Zio Antonio”, il fondatore del clan che poi fu di Schiavone, Zagaria, Iovine e Bidognetti. L’arma che sparò a Gustavo Bardellino era una calibro 9. Per quel tentato omicidio risultano ancora indagati dalla DDA di Roma l’imprenditore Luigi Diana e l’ex marito di Katia Bignognetti, Giovanni Lubello, entrambi 48enni. Katia Bidognetti, come noto, è la figlia di Francesco Bidognetti, detto Cicciotto ‘e Mezzanotte, l’unico capo dei Casalesi, escluso Antonio Bardellino, a non essersi mai pentito o a dire di essersi pentito come Francesco Schiavone detto Sandokan.
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Sempre durante la stessa operazione, fu denunciata una donna, Antonella Bardellino, 47 anni, sorella di Gustavo (l’uomo attinto dai colpi d’arma da fuoco a febbraio 2022) ritenuta responsabile di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti per essere stata trovata in possesso di 18 grammi di marijuana, un bilancino di precisione e materiale per il confezionamento, occultati all’interno della propria abitazione.
Favoccia, ad ogni modo, non è uno qualunque. Secondo ricostruzioni accertate, sarebbe stato proprio lui, Giuseppe Favoccia, a parlare agli agenti della Squadra Mobile di Latina rispetto alla presenza di Antonio Bardellino a Formia. Per la precisione, il 4 agosto 2015, l’uomo raccontò agli agenti della Polizia di Stato di aver incontrato Antonio Bardellino “presso lo scalo aeroportuale di New York”, dove aveva accompagnato la figlia di Ernesto Bardellino. Poi, nel 2017, Favoccia, agli agenti della Mobile, avrebbe raccontato che Bardellino si era spostato tra il Paraguay e l’Uruguay, per interessi nel settore ittico. Un racconto credibile visto che Favoccia aveva fatto un viaggio nella Grande Mela proprio nel 2010. Una circostanza verificata dagli investigatori.
Un personaggio sicuramente che non passa inosservato, tanto più che anni fa, tramite una associazione europea operatori polizia (Aeop), avrebbe voluto aprire, insieme ad Ernesto Bardellino (il padre di Calisto e Angelo Bardellino, nonché ex sindaco del partito socialista di San Cipriano d’Aversa, in rapporto con l’allora leader Bettino Craxi), una sede dell’associazione così da fornire un servizio di protezione civile al Comune di Formia.
Favoccia e Bardellino furono accusati di falso e usurpazione del titolo dell’associazione: un’accusa che fu archiviata dal Tribunale di Cassino nel 2019. A denunciare la vicenda, però, fu proprio la Questura di Latina che aveva segnalato l’esistenza di una sezione della A.E.O.P, ritenuta essere nella disponibilità di personaggi formiani legati alla malavita.
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