OPERAZIONE ANNI 2000: ECCO I NOMI DEI 19 ARRESTATI. SCACCO AI CLAN MENDICO E ANTINOZZI

anni 2000

Operazione anni 2000: colpiti i clan Antinozzi e Mendico dall’operazione coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma

Ecco i nomi degli arrestati:

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OPERAZIONE ANNI 2000: COLPITI IL CLAN ANTINOZZI E IL CLAN MENDICO. I DUE SODALIZI SI SONO SCISSI

Antinozzi Antonio, SS. Cosma e Damiano, 14.03.1962
Antinozzi Decoroso, Formia, 8.01.1990
Buonamano Fabio, Gaeta, 26.05.1987
Bonifacio Ciro, Gaeta, 16.12.1990
Canzolino Sergio, Russia, 07.02.1986
De Martino Vincenzo, Formia, 05.07.1977
Di Franco Agostino, SS. Cosma e Damiano, 09.08.1968
Di Meo Giancarlo, Formia, 17.07.1986
Forcina Alessandro, Formia, 30.07.1992
Mendico Ettore, Minturno, 22.09.1965
Mendico Gianluigi, Minturno, 20.05.1979 (domiciliari)
Mendico Maurizio, SS. Cosma e Damiano, 03.05.1972
Mendico Pierluigi, Formia, 24.02.1991
Messore Maria Carmina, Formia, 02.97.1983
Pandolfo Adolfo, Formia, 06.02.1993
Parente Eduardo, Cile, 14.11.1983
Parente Francisco, Cile, 14.11.1983
Reale Antonio, Minturno, 12.09.1966
Sola Giuseppe, Poggiomarino 4.12.1964

L’operazione odierna non può che essere ricondotta al Processo Anni 90 che processo Ettore Mendico e i suoi sodali, con delle propaggini anche nel mondo rom latinense: fu Antonio Ciarelli, capostipite dell’omonimo clan di Latina, a denunciare ai Carabinieri Mendico per minacce ed estorsione salvo poi, a distanza di anni, nel processo, negare tutto dichiarando di non ricordare.

L’organizzazione originariamente detta “Mendico-Antinozzi” si muove da anni tra le province di Latina, Frosinone e Caserta, sebbene la loro “casa” sia i piccoli comuni del territorio aurunco come Santi Cosma e Damiano e Castelforte. I due comuni più al sud della provincia di Latina. La sentenza “Anni 90” fu ragguardevole ma i due sodalizi famigliari facenti capo a Ettore Mendico, detto Bertoldo, e Antonio Antinozzi, detto Trippetta, hanno continuato a gestire i traffici, il territorio e l’omertà pervasiva. Oggi, a distanza di anni da quella sentenza passata in giudicato nel 2012, di nuovo gli arresti con accuse che vanno dall’associazione per delinquere di stampo mafioso all’associazione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, dalla detenzione illegale di armi comuni da sparo all’estorsione, passando per rapine e incendi. Delitti aggravati dal metodo mafioso.

A capo dell’organizzazione mafiosa, ci sarebbe Antonio Antinozzi, un tempo fedelissimo di Mendico, e ora una sorta di scissionista in salsa sud pontina. Seppur condannato per l’omicidio del carrozziere Andrea Di Marco, Antoniozzi “Trippetta” non aveva mai dismesso la sua allure criminale che esercitava sul territorio, dopo aver affrontato il processo Anni ’90 che, invece di infiacchirlo, ha fatto che sì che l’uomo guadagnasse ancora di più “carisma” nel mondo della mala.

Ettore Mendico
Ettore Mendico

Nonostante la scissione dell’ex affiliato Antinozzi, anche Ettore Mendico ha continuato la strada degli affari: oggi gli viene contestata un’associazione votata al lucro del narcotraffico. Il gruppo Mendico, inoltre, stava progettando di estendere il controllo ai prodotti caseari tra Minturno, Castelforte e Santi Cosma e Damiano. Mozzarelle di bufala, come nella più usuale tradizione della camorra campana.

Secondo la Direzione Distrettuale Antimafia, i due clan, sia Antinozzi che Mendico, hanno rapporti stretti con Nicola Schiavone, un omonimo del figlio di Francesco detto Sandokan, ma comunque legato al Clan Casalesi. Per gli investigatori, il legame consente ai due clan di gestire meglio il traffico di droga, avere l’aggancio giusto. L’altro è quello fornito da Nicola Zara, oltreché, per quanto riguarda Antinozzi, il clan Parisi di Bari, collegato al Clan Bellocco di Rosarno, sul lato della gestione delle slot machine e del narcotraffico.

Per meglio delineare gli aspetti connessi alle metodologie criminali poste in essere dai clan Antinozzi e Mendico, i Carabinieri di Formia rimarcano la particolare disponibilità di armi per entrambi i sodalizi, utilizzate al fine di incutere terrore tra imprenditori e rivali nonché l’acredine esistente tra le due famiglie.   

La violenza adottata dal clan Antinozzi nel perseguire le proprie strategie criminali, si rileva particolarmente dalla disamina di alcune intercettazioni telefoniche nel corso delle quali i sodali non esitano a predisporre spedizioni armate nei confronti delle vittime designate. In questo modo le stesse erano costrette a chiedere “protezione” dietro la corresponsione di somme di denaro. “E ci andiamo con le pistole” – dice Antinozzi in una conversazione captata dagli investigatori.

Tra gli episodi che coinvolgono imprenditori vessati e minacciati anche a colpi di arma di fuoco, ce ne è uno, anzi due, che restituiscono il clima. Il 13 luglio 2015, prima due colpi di fucile contro la serranda delle onoranze funebri “La Primula” di Francesco Cifonelli, poi, nello stesso giorno, le minacce al titolare dell’impresa funebre “Dhalila”, Domenico Ciavolella, che riceve una lettera poco comprensibile dal punto di vista dell’italiano corretto ma molto efficace sul lato del codice malvitoso: “Vogliamo la tua impresa, ricordati che condannato l’è tue bimbe merda“.

E ancora: Giancarlo Di Meo, Alessandro Forcina e Sergio Canzolino sono accusati di aver provocato l’incendio di due automezzi adibiti a betoniera per calcestruzzi di proprietà della ditta Calcestruzzi Volturnia Inerti di Aniello Caturano, con sede a Minturno.
Antonio Antinozzi è accusato di minaccia e violenza consistita nell’appiccare un incendio ad un escavatore della ditta Simar di Antonio Migliorato, che stava svolgendo i lavori presso il cimitero di Santi Cosma e Damiano. Sempre Antinozzi, per il tramite di Armando Puoti (uomo molto vicino ai Casalesi, detto Zio Armandino), costringeva Gaetano Esposito, titolare di un rimessaggio di bar, a versare una somma di
mille euro. Tra le estorsioni riuscite, inoltre, va evidenziata quella compiuta ai danni della Eco.Car. la ditta che gestiva il servizio di raccolta rifiuti nel Comune di Minturno e Gaeta. Chiesti trentamila euro, Antinozzi e Agostino Di Franco, riuscirono a farsi consegnare quindicimila euro.

E poi, anche in questo territorio, spunta l’ombra delle elezioni amministrative su cui, dopo Latina e i Di Silvio, altri clan vogliono esercitare una forma di controllo con le stesse modalità dei clan zingari latinensi. A Minturno, secondo la DDA, Maria Carmina Messore, nipote del boss Ettore Mendico, avrebbe svolto gestito i manifesti durante la campagna elettorale per le amministrative 2016. Al momento di un diverbio perché un “guaglione” aveva rimosso manifesti elettorali riconducibili a uno dei candidati sindaco di allora, Massimo Signore, che non doveva rimuovere, Marica (così si fa chiamare) interviene “…è successo un bordello… sono venuti al bar a chiamarmi che certa gente aveva stracciato i manifesti…certi guaglioni…appena se ne sono andati dal bar so’ partita e sono andata a Minturno…ho acchiappato tutti quanti….zio Antonio…Antonio è il capoclan…io sono Marica Messore e non rispondete! Qualsiasi cosa deve passare per là. Punto“. Dopo lo sfogo di Marica, nessuno più ha osato strappare manifesti.

Solo apparentemente folcloristico il motivo della scissione tra Antinozzi e Mendico, dovuta alla relazione tra Maria Rosa Falso, moglie di Giuseppe Viccaro, nipote di Antinozzi, e Antonio Mendico, figlio di Benedetto e cugino di Ettore. Dietro una relazione sentimentale, si nascondeva un codice d’onore travalicato, vilipeso, secondo i dettami dei clan, così come è evidenziato in una intercettazione tra Margherita Antinozzi e Maria Carmina Messore, nipote di Antinozzi e moglie di De Martino: “Lui non ha voluto il codice d’onore, né per il cugino che è un boss, né per…questo è lo sgarro che hanno fatto, si sono andati a prendere la moglie di un carcerato che è nipote a Zì Antonio ed è cugina a… Questa è una cosa gravissima, perché la prima volta Vincenzo l’ha detto, sai che figura che ha fatto tuo marito vicino ai compari Mendico, come li hanno discriminati, un compare nostro, una primula rossa, a casa…“.

La rivalità tra i clan Mendico ed Antinozzi si denume altresì dal contenuto di una intercettazione ambientale tra “Trippetta”, detenuto presso il carcere di Parma, il nipote Vincenzo De Martino e il figlio Decoroso Antinozzi. Nella circostanza il nipote riferisce allo zio del passaggio di affiliati del suo gruppo a quello di Mendico approfittando dell’assenza dello zio. De Martino commenta:Queste persone dicono di aver vinto loro.

Successivamente, nel corso di un’altra intercettazione tra gli stessi interlocutori, emerge la disponibilità di armi per imporre il proprio predominio anche sul clan avversario nonché verso potenziali rivali.

Solo sul versante della droga, i due gruppi rivali sembrano avere un patto di mutuo rispetto per non intralciare i rispettivi affari. Tra gli arrestati, c’è Antonio Reale, 55enne di Minturno, che, secondo l’ordinanza firmata dal gip romano, “partecipa alla vendita di sostanza stupefacente del sodalizio, si occupa del taglio e del confezionamento delle dosi di droga, assaggia i campioni di stupefacente portati ai vertici del sodalizio per esprimere una valutazione in ordine alla qualità della droga che il sodalizio si accinge ad acquistare“. Un vero e proprio assaggiatore della sostanza stupefacente, alla stregua del Sorcio il personaggio di “Romanzo Criminale”.

Tra le figura importanti per lo smercio di drogo c’è sicuramente il sancosimese Agostino Di Franco che “organizza l’associazione, in particolare si occupa del reclutamento di nuovi pusher, mantiene rapporti con soggetti che fungono da intermediari nell’acquisto di sostanza stupefacente come Nicola Schiavone, mantiene contatti con i fornitori di droga del sodalizio come Casaburi Ciro, dà ausilio ai vertici del sodalizio eliminando le tracce del reato all’atto della esecuzione di perquisizione presso i locali dell’abitazione di via Ceracoli, partecipa al taglio e al confezionamento della sostanza stupefacente, partecipa alla vendita“.

Fu, invece, Vincenzo De Martino, nipote di Trippetta, ad aver stretto alleanza, quando era detenuto nel carcere di Frosinone, con appartenenti del Clan Parisi di Bari per rafforzare la posizione del Clan Antinozzi nel mercato della droga.

Un’operazione, Anni 2000, che era stata anticipata in qualche modo dall’inchiesta “Touch&Go” che ha sgominato il gruppo degli Scotto a Scauri. Nelle carte di quell’indagine, c’erano molti dei nomi arrestati oggi e si percepiva forte che, a pochi chilometri di distanza dal lungomare minturnese, ci fossero le famiglie storiche dei campani trapiantati nell’estremo sud pontino. Ancora loro, nonostante processi e inchieste, relazioni Antimafia e dell’Osservatorio regionale (dove vengono da anni citati sia i Mendico che gli Antinozzi), a colpi di minacce, armi per intimidire e codici camorristici da rispettare. Scarcerazioni nonostante le condanne hanno fatto il resto.

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