MUSSOLINI E LA BONIFICA POMPATA DAL REGIME: IL NUOVO LIBRO CHE GIÀ FA DISCUTERE

IL LIBRO DI FILIPPI

La bonifica dell’Agro Pontino? Tutte balle del regime fascista e di Mussolini che, seppure con i mezzi di comunicazione di cento anni fa, seppero costruire ad arte per alimentare con una propaganda efficace il compiacimento di sé a discapito dei cittadini.

Questa è, all’osso, la tesi di un libro che, sicuramente, a Latina e nell’Agro farà discutere. Stiamo parlando dell’ultimo lavoro dello storico Francesco Filippi, dal titolo piuttosto eloquente: “Mussolini ha fatto anche cose buone – Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo”, edito da Bollati Boringhieri con la prefazione di Carlo Greppi (storico anche lui) che definisce l’opera “un manuale di autodifesa” e aggiunge: “Centinaia di migliaia di persone che esprimono il loro apprezzamento e condividono compulsivamente balle colossali, balle che il fascismo mise in circolazione nella prima metà del secolo scorso, intestandosi risultati altrui o truccando la realtà…hanno prodotto (ndr: gli storici) un incessante lavorio di demolizione del “mito” del fascismo buono. Ma, come si dice, non c’è più sordo di chi non vuol sentire”.

Francesco Filippi
Francesco Filippi

La ricostruzione di Filippi, autore peraltro di un interessante testo come “Appunti di Antimafia. Breve storia delle azioni della ‘Ndrangheta e di coloro che l’hanno contrastata”, non rinuncia alla sua tesi che indica le storie sui meriti del Ventennio come delle colossali montature, accresciute dal passaparola, dalla superficialità storiografica e dal sentito dire.
La realtà, per Filippi, è un’altra. Il fascismo non si distinse per alcune delle riforme che molti gli attribuiscono. La previdenza sociale, ad esempio, che Filippi scrive fosse stata un’impalcatura costruita già ai tempi di Crispi nell’Ottocento e poi consolidata e resa come obbligo (le pensioni per tutti i lavoratori) dal governo di Vittorio Emanuele Orlando nel 1919. Anzi, secondo Filippi, il fascismo peggiorò la situazione, appesantendo il sistema pensionistico con la costituzione dell’Infps (antesignana dell’Inps), un ente che viene rappresentato come “un tentativo propagandistico di impossessarsi di quello che nei fatti era stato il frutto di decenni di contrattazioni e lotte sindacali, di riforme attuate dai governi liberali e di iniziative delle associazioni di categoria dei lavoratori“. Senza contare, ricorda Filippi, che ad aggravare la situazione del mondo del lavoro in genere vi fu la soppressione dell’istituto dello sciopero e la possibilità che esistessero solo sindacati fascisti.

La disamina del giovane storico (del 1981) non si ferma alle pensioni, ma colpisce altri miti, che per Filippi sono evidentemente menzogneri. Così a cadere sono, tra gli altri, l’interventismo del governo mussoliniano nel caso del bisogno patrio: in verità una scarsa capacità del regime di venire incontro ai luoghi e alle popolazioni terremotate (un po’ come accade oggi); il benessere diffuso che diventa l’allargamento della forbice tra poveri e ricchi; la casa per tutti, in realtà un aggravamento palese dell’emergenza abitativa durante il Ventennio.
Eppure, quello che farà veramente strabuzzare gli occhi di molti pontini sarà il modo in cui è affrontato il mito della bonifica, da noi totem intoccabile (al netto di poche eccezioni) e reso intramontabile anche, e sopratutto nell’ultimo decennio, dalla letteratura mitopoietica (creatrice di miti) di Antonio Pennacchi che con Canale Mussolini e il Premio Strega ha imposto la storia, seppur in salsa narrativa, all’attenzione dell’Italia intera.

Per Filippi, la bonifica è anch’esso un mito farlocco sotterrato, invero, da una scomoda verità. Non è stato un simbolo della potenza fascista che è riuscita laddove tutti avevano fallito, piuttosto una gigantesca operazione di marketing politico. Per sostenere ciò, Filippi snocciola alcuni dati e numeri che, per lui, smonterebbero l’epopea.
Il fascismo, per lo storico, aveva promesso per l’Agro Pontino di restituire all’agricoltura 8 milioni di ettari di terreni riqualificati ma, dopo dieci anni di lavori più tentati che andati a segno e fiumi di denaro pubblico finiti come accade sempre con il fascismo agli amici di regime e ai collettori di consenso del fascio (come l’Opera nazionale combattenti), il governo annuncia il successo del recupero di 4 milioni di ettari. Un buon risultato, tuttavia Filippi incalza e scrive che, secondo le sue ricerche storiografiche, i lavori completi o a buon punto arrivano a poco più di 2 milioni di ettari e “di questi due milioni, un milione e mezzo erano bonifiche concluse dai governi precedenti al 1922”. Era stato portato a termine poco più del 6 per cento del lavoro, conclude Filippi suggerendo, a sostegno della sua tesi, il pensiero di Renzo De Felice, il grande storico del fascismo, che con autorevolezza parlò di risultati inferiori “alle aspettative suscitate nel Paese dal battage propagandistico messo in atto” che “finirono per non corrispondere all’entità dello sforzo economico sostenuto”. A portare a termine le bonifiche dell’Agro, dice Filippi, furono i governi del Dopoguerra, grazie ai fondi del Piano Marshall e della Cassa del Mezzogiorno.

E già questo basterebbe per avere in potenziale un dibattito infuocato a Latina e nell’Agro, in un testo che, piaccia o meno, è supportato di riferimenti, studi, verifiche e documenti come un libro di storia è obbligato ad avere per risultare credibile e rispettabile.

 

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