Processo “Reset”: è ripreso il processo che vede alla sbarra 30 imputati, la maggior parte dei quali accusati di associazione mafiosa. Ad essere ascoltate ancora le vittime di estorsioni, alcune delle quali, tra commercianti e avvocati, preferiscono mimimizzare pur di non dover ammettere di avere avuto paura
Continua il processo sul clan mafioso retto dai fratelli Travali e Costantino “Cha Cha” Di Silvio, che più di tutti interessa la città di Latina. A ribadirlo, in una testimonianza odierna, uno dei commercianti più conosciuti del capoluogo, titolare di tre notissimi negozi di abbigliamento: “Erano persone che stavano dentro il contesto sociale della città, non erano ai margini“.
La paura e l’ipocrisia, così come nell’udienza di un mese fa (il calendario è fitto: ogni secondo venerdì del mese si celebrerà una udienza), risultano ancora evidenti nelle testimonianze delle parti offese ascoltate anche quest’oggi, 14 aprile, nell’aula di Corte d’Assise, davanti al collegio presieduto dal giudice Laura Morselli, a latere i colleghi Simona Sergio e Paolo Romano.
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Nutrito il collegio difensivo composto dagli avvocati Marino, Angelo e Oreste Palmieri, Frisetti, Montini, Gullì, Marcheselli, Cardillo Cupo, Zeppieri, Siciliano, Roccato, Vita, Vitelli, Farau, Censi, Iucci, Coronella. Due le parti civili: Comune di Latina e Associazione antimafia Antonino Caponnetto.
Sul banco degli imputati, diversi protagonisti della malavita pontina: Angelo Travali, Salvatore Travali, Angelo Morelli, Vera Travali, Alessandro Zof, Ermes Pellerani, Davide Alicastro, Fabio Benedetti, Costantino “Cha Cha” Di Silvio, Antonio Neroni, Antonio Giovannelli, Dario Gabrielli, Mirko Albertini, Silvio Mascetti, Matteo Gervasi, Francesca De Santis, Antonio Peluso (in carcere), Manuel Ranieri, Shara Travali, Valentina Travali, Giorgia Cervoni, Riccardo Pasini, Luigi Ciarelli, Corrado Giuliani, Franco “Ciccio” Della Magna, Denis Cristofori, Carlo Ninnolino, Valeriu Cornici, Alessandro Anzovino, Christian Battello e Tonino Bidone.
Dodici i testimoni, vittime delle angherie del clan Trevali/Cha Cha, che avrebbe dovuto essere ascoltati. Alla fine alcuni di loro sono stati congedati per mancanza di tempo e verranno ascoltati alla prossima udienza del 12 maggio.
Come detto, il primo a parlare è il titolare dell’omonima catena di abbigliamento, su piazza da 40 anni nel capoluogo. “Conoscevo Cha Cha da diversi anni e spesso veniva da solo. Ho conosciuto i fratelli Travali, sono stati clienti occasionali nel punto vendita che si trova nel centro storico. Venivano fino ai noti fatti giudiziari che li hanno costretti al carcere (nda: si riferisce all’operazione “Don’t Touch dell’ottobre 2015)”.
“Ho conosciuto Viola (nda: già condannato a 16 anni col rito abbreviato) perché acquistò le calzature e le riportò perché fallate e allora furono sostituite. Invece, Dario Gabrielli venne alla vigilia di natale del 2014 ma io lo conoscevo già perché gestivo un locale e lui mi faceva da fornitore. Gabrielli venne nel negozio e fece acquisti per 2500 euro. Dopo una breve conversazione, mi disse ti faccio un assegno e l’ho accettato. Tra fine dicembre e inizio gennaio ho bancato l’assegno ed era scoperto. Contattai Gabrielli e gli dissi che non era neanche intestato a lui. Ho aspettato ma niente, anche dopo diverse telefonate. Avemmo un alterco e capii di essere stato preso in giro, non presi i soldi ma non mi rivolsi a nessuno“.
“Incontrai Agostino Riccardo a un evento del centrodestra e mi disse che era lì perché si occupava di gestire l’attacchinaggio dei manifesti. Chiesi a lui di Gabrielli, sapevo che era addentro a un gruppo di persone, ed erano tutti che attaccavano i manifesti elettorali, c’erano con loro i rom stanziali di Latina. Dissi a Riccardo di farsi portavoce con Gabrielli per i soldi che mi doveva“.
Al che il Pm Spinelli ha chiesto al commerciante perché mai non avesse denunciato. “Ho sbagliato a non denunciare alle forze dell’ordine e sono stato fregato. Questi personaggi andavano a braccetto con esponenti politici e frequentavano il Latina Calcio, erano all’interno del contesto sociale“. Insomma, era difficile sporgere denuncia per i cittadini come lui, poiché i membri del clan andavano a braccetto con la politica.
Non meno inquietante la testimonianza di un “abogado” di Latina, nel senso che come tanti ha preso il titolo a Madrid ed esercita la professione a Latina e Roma. Si tratta di un 40enne, benestante per sua stessa ammissione in aula, a cui il clan si era attaccato come una ventosa in modo da spillargli i soldi. Come ha risolto i suoi guai è esemplificativo di ciò che è stata per anni Latina, la seconda città del Lazio.
“Conoscevo Angelo Morelli e Costantino Di Silvo detto “Cha Cha” perché frequentavano come me il bar “Vecchia Roma”. Conoscevo anche Gianluca Tuma e conoscevo la sua ex moglie perché era segretaria di mia madre, ex direttore generale della Provincia. Conobbi Morelli e Cha Cha e gli altri tra il 2003 e il 2004. Una volta aiutai Cha Cha con i biglietti della partita e gli diedi un cellulare”.
Dopo poco, l’avvocato diede dei soldi in prestito ad Angelo Morelli. Da lì inizio l’incubo. Dopo aver chiesto i soldi indietro, gli furono restituiti, solo che gli stessi soldi furono a loro volta pretesi da tutto il gruppo. “Venivano una volta l’uno e una volta l’altro e mi chiedevano i soldi, avevano fatto passare il mio prestito come se fosse un loro prestito fatto a me“.
“Dopo il prestito a Morelli, era Viola a chiedermi i soldi in modo insistente e con frequenza e qualche volta pagavo. Nel 2014 avevo una pizzeria a Nettuno e lavoravo come avvocato, a volte i soldi che gli davo erano 1000 o 1500 euro. Se mi chiedevano qualcosa la davo per quieto vivere e perché sono persone pericolose. Una volta parlai con la moglie di Tuma, perché era un esponente pericoloso come loro e chiesi che Viola e gli altri non mi rompessero più. E da quel giorno le richieste finirono“.
A intervenire, come ricostruito in aula, fu Cha Cha su impulso di Tuma. “Non ho denunciato perché non mi minacciavano, ma me li ritrovavo ovunque: quando uscivo dalla banca o fuori dal negozio“. In una espressione, una sorta di pollo da spennare, con un senso di impunità che travalicava ogni logica. A far finire la razzia, l’intervento del capo banda più malavitoso. Una logica che molti latinensi conoscono e di cui sono stati corresponsabili, a ogni livello: dall’operaio fino all’avvocato di grido.
“Acconsentivo ai pagamenti o ai prestiti – ha continuato l’avvocato – preferivo avere buoni rapporti, non avevo paura di violenza, ma preferivo avere buoni rapporti. Sono benestante, gli davo 500 euro e mi toglievo il pensiero. Venivano sempre, erano tanti. Ho chiesto intervento di Cha Cha e lo feci per evitare che continuassero a chiedere. Da quando sono bambino sapevo chi erano”.
“L’unico che posso salvare – ha concluso l’avvocato, sollecitato dalle domande degli avvocati difensori Montini e Censi – è Angelo Morelli”.
Non è finita perché, tanto per capire come funzionava a Latina, “uno dei due Travali, Angelo, mi chiese in prestito il rolex, insisteva e io dissi di no perché me lo regalò mia madre che è morta”.
La testimonianza del noto ottico di Latina, invece, fa il paio con quella del gioiellerie andata in scena nella udienza di maggio. Anche secondo l’ottico, sarebbe costume per i latinensi chiedere e ottenere sconti nei negozi fino al 50%. Non valeva solo per i Travali o Cha, ma varrebbe per tutti. “Pagavano regolarmente con prezzi scontati, erano clienti a cui facevo prezzi scontati. Pagavano dilazionato o poche cose in sospeso, hanno pagato tutto o quasi“. Eppure, a verbale, quando fu interrogato dalla Squadra Mobile che svolgeva l’indagine, l’ottico disse che i membri del clan non pagavano e alcuni non hanno mai finito di saldare.
“Io li consideravo clienti ma tutti pagano dilazionato”. Alla fine, è venuto fuori che, pur essendo in credito, l’ottico continuava a vendere loro occhiali e sempre con lo sconto.
Più articolata la posizione di un altro testimone di Cisterna, che si occupa di commercio all’ingrosso di latticini e formaggi. “Vennero due ragazzi con fotocopie delle fatture da incassare per conto di un caseificio di Fondi, io dissi loro che non li avrei pagati. Mi fecero il gesto che potevano utilizzare delle armi ridendo e scherzando. Allora gli feci vedere la mia arma e da lì’ sono andati via e non l’ho più visti”.
Il punto è che, a verbale, l’uomo riferì che in quel frangente stava tremando come una foglia e che alla vista dell’arma, Angelo Travali (uno dei due cosiddetti ragazzi), rimase freddo. “Mi dissero che sapevano che praticavo footing ogni mattina e la cosa mi impaurì, non sapevo come l’avevano saputo“.
In realtà, l’uomo non denunciò perché si era informato su chi fossero i due che vennero per il recupero crediti, una cifra di circa 30mila euro. Si trattava di Angelo Travali e Cha Cha Di Silvio e, capendo che erano persone pericolose da una ricerca su Internet, l’uomo decise di non sporgere denuncia. “Nei giorni successivi alla minaccia, per correre mi portavo con me altre persone“.
Drammatica la testimonianza di un uomo che dopo aver vinto 250mila alla lotteria si vide estorcere mano mano diverse migliaia di euro. A fare da tramite alle estorsioni, un imputato odierno, Tonino Bidone, definito dal testimone “un amico fraterno”. La discesa agli inferi nasce da una mano di poker sfortunata in cui l’uomo perse 2mila euro. “Dopo poco tempo Bidone mi disse che Viola mi voleva vendere 5 grammi di cocaina e mi disse pure che a Latina comandavano loro. Così dovetti pagare 400 euro”. Durante le partite del Latina Calcio, ai tempi Maiettopoli, “presero a chiedermi soldi, una volta fui avvicinato da Viola allo stadio e mi estorse per 2mila euro; poi ha preteso altri soldi, anche facendomi fare un falso Cid“.
“A maggio 2014 mi incontrai a Borgo San Michele con Bidone e poi andammo da Agostino Riccardo in Via Bradano a Latina dove abitavano sia Bidone che Riccardo”. In quell’occasione, arrivò Viola pretendendo altri soldi: “Piantò un coltello al centro del tavolo per minacciarci”.
In un’altra occasione, sempre Viola puntò una pistola sulla fronte di Bidone chiedendo altri soldi. Ogni occasione era utile, costringendo il testimone ad andare al banco dei pegni o prelevare soldi che sua madre stava mettendo da parte per una degna sepoltura.
Infine, ancora più esemplificativa e drammatica la testimonianza di un giovane di Latina che dopo aver vinto quasi due milioni di euro con “Turista per Sempre”, si ritrovò a dover vendere l’appartamento stretto tra le richieste estorsive del clan e il suo vizio per la cocaina. “Ho conosciuto Viola, Morelli, Salvatore Travali. Chiesi un prestito di 3500 euro a Viola nel 2012, fu Salvatore a indicarmi Viola per farmi dare i soldi”. Un prestito di soldi che serviva al giovane perché in due anni aveva dilapidato tutti i soldi vinti con il gioco “Turista per Sempre”.
“Viola, dopo un mese voleva 8500 euro. Raccolsi solo 5mila euro, me ne mancavano 3500 euro e allora il debito fu alzato da Viola a 25mila euro“. Per ripianare il debito, lo stesso Viola portò il giovane da un altro del clan, Angelo Morelli, il quale gli prestò i soldi e dopo venti giorni voleva a sua volta 25mila euro. Soffocato nella morsa dei due, il giovane fu costretto a consegnare a Viola una Mercedes e persino l’appartamento che aveva pagato 120 mila euro e su cui aveva speso oltre 300mila in lavori ristrutturazione.
Angelo Morelli, invece, costrinse la vittima ad andare con lui a Roma – “c’era anche Andre Izzo e Stefano Mantovani” – a comprargli due rolex e infine il mobilio di casa.
Distrutto dalle estorsioni, il giovane fu costretto a svendere l’appartamento per 88mila euro. Soldi di cui non vide un centesimo: fu Viola a dirgli di fare bonifici a Flavio Bortolin, Giancarlo Alessandrini e Antonio Neroni. Il resto fu fagocitato da Viola stesso poiché “mi aveva sottratto la mia carta bancomat e prelevava quando gli pareva“.
Fatti accaduti tra il 2012 e il 2015, eppure, quando li racconta, il giovane ancora si stringe le mani e digrigna i denti.