LATINA, OLTRE IL DOPPIO DELLE GALLINE CONSENTITE: SCATTA IL SEQUESTRO NEL POLLIFICIO DI B.GO BAINSIZZA

Immagine d'archivio

L’allevamento avicolo di Via Bufalotto a Borgo Bainsizza di nuovo posto sotto sequestro: i sigilli da parte della Polizia Locale

È un problema di autorizzazioni ad aver segnato il secondo sequestro nel giro di pochi anni per il centro di allevamento avicolo di Via Bufalotto a Borgo Bainsizza. I sigilli sono scattati oggi, 20 settembre, da parte della Polizia Locale che, col suo Nucleo di Polizia Ambientale, ha ravvisato gli estremi per mettere sotto sequestro tutto, compreso le oltre 80mila galline che si trovano al suo interno.

Secondo la Polizia Locale di Latina, il centro sarebbe sprovvisto di autorizzazione integrata ambientale e valutazione di impatto ambientale rilasciata dalla Regione Lazio. Carenze documentali anche sul fronte dello scarico delle acque e della conformità edilizia. Su tutto, come ha rimarcato la stessa Regione Lazio, l’assenza del provvedimento autorizzatorio unico regionale, il cosiddetto Paur.

A fine agosto, il Presidente dell’associazione “Amici del Borgo”, Giuliano Pagura aveva manifestato di nuovo lo sconcerto degli abitanti della zona: “Lo stato di vivibilità nella zona del nostro borgo é seriamente compromesso a causa dell’attività condotta in maniera impropria da parte di un allevamento avicolo, sito in Via Bufalotto. L’impianto in questione é stato già negli anni scorsi oggetto di sequestri da parte della provincia per le precarie condizioni igieniche e seguite da prescrizioni volte all’adeguamento degli impianti per la sostenibilità ambientale”.

Le mosche, in effetti, erano arrivate a livelli non immaginabili, tanto che una trappola installata 3 giorni prima, nei pressi dell’impianto, ne aveva catturate a migliaia.

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È una storia infinita quella del pollificio di Borgo Baisizza. Già nel 2014, infatti, fu chiuso per ordine dell’Ufficio igiene e profilassi e dell’Arpa che avevano constatato la mancanza di condizioni per far continuare l’attività. La causa? Odori nauseabondi che avevano portato, l’anno prima, anche il Comune di Latina a ritirare le licenze. In seguito, però, l’attività aveva ripreso a operare per l’impegno dei gestori a rispettare le norme igieniche. E di mezzo anche una sentenza del Tar che aveva annullato l’ordinanza dell’allora Sindaco di Di Giorgi.

Negli anni altre proteste anche per la presenza di insetti e, nel 2020, l’ordinanza di sospensione dell’attività firmata dal Dirigente del Servizio Attività Produttive del Comune di Latina. L’ordinanza prevedeva che il rappresentante legale sospendesse l’attività di allevamento di galline a terra per la produzione di uova destinate al consumo umano.

Il provvedimento scaturiva da tre inadempienze che l’Ente di Piazza del Popolo contestava al titolare, derivanti anche da una nota della Provincia di Latina competente per materia ambientale. Un alert della Provincia con cui si segnalava il mancato adempimento alle prescrizioni dell’Autorizzazione unica ambientale, risalente al 23 novembre 2020

In particolare, la Provincia contestava al titolare la mancata presentazione di un progetto di adeguamento che preveda l’installazione di un sistema di convogliamento dell’aria di ventilazione nei locali di stabulazione ad uno o più impianti/sistemi di trattamento per l’abbattimento delle polveri, dell’ammoniaca e delle sostanze odorigene generate dall’attività (tramite rimozione delle deiezioni animali).

Inoltre, l’ordinanza del Comune enumerava altre criticità dell’allevamento per quanto riguarda l’aggiornamento dei Piani per la valutazione della potenziale esposizione a fibre di amianto, rilevate dal Servizio Ambiente nel novembre scorso: “una nuova valutazione dello stato di conservazione delle lastre di copertura dei capannoni – scriveva il 19 novembre il Servizio Ambiente – visto che risulta già accertato il contenuto di fibre di amianto e alla certificazione di conformità edilizia ed agibilità dei manufatti in cui si svolge l’attività“.

L’ultima contestazione a carico della società agricola Tre Emme, che aveva portato alla sospensione dell’attività, era riferibile alla certificazione di conformità edilizia e agibilità dei manufatti.

A seguito delle proteste di fine agosto 2023, si è svolta, in Comune di Latina, la commissione Trasparenza, presieduta dalla consigliera di Lbc Floriana Coletta.

“Dato allarme socio ambientale che si era generato – spiega Coletta – ho ritenuto opportuno fare subito il punto con gli uffici, per verificare lo stato dell’arte e la presenza di autorizzazioni e documentazione. Quella dell’allegamento di Borgo Bainsizza è una situazione piuttosto complessa sotto diversi profili. Parliamo di tutela ambientale, animale, ma anche di edilizia e igiene pubblica. I cittadini del borgo sono tornati indietro e lamentano una situazione ormai invivibile, ecco perché era quanto mai necessario agire con celerità insieme ai consiglieri, all’assessore, ai dirigenti del Comune e alla polizia locale”. Presenti anche residenti e componenti dell’Associazione Amici del borgo, che hanno mostrato nella sede della commissione le prove concrete del loro disagio quotidiano: foto e video e anche una busta piena di mosche raccolte nel giro di pochi giorni con una trappola installata a poca distanza dall’allevamento.

Le mosche catturate dalla trappola installata nelle vicinanze dell’impianto avicolo di Via Bufalotto

Secondo quanto riferito dal dirigente del Suap Stefano Gargano, nel corso di quella Commissione, l’attività risultava totalmente abusiva in quanto non era stata attivata la Scia necessaria. I residenti, invece, avevano spiegato che l’allevamento è rientrato in funzione da maggio scorso.

L’Aua-Autorizzazione unica ambientale, inoltre, riguarda inoltre un numero di poco inferiore a 40mila capi, ma da quanto emergeva per voce del comitato dei cittadini i capi sarebbero almeno il doppio e in questo caso occorrerebbe una Valutazione di impatto ambientale.

A settembre, infatti, la Polizia Locale eseguì la prima ispezione insieme all’Asl. A distanza di pochi giorni è scattata il sequestro, soprattutto in ragione del fatto che i capi di allevamento sono il doppio del consentito.

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