Operazione antimafia tra Latina e Aprilia, eseguita un’altra ordinanza di custodia cautelare: il proseguo dell’inchiesta “Assedio”
Non è finita con il decreto di rinvio a giudizio per l’ex sindaco Lanfranco Principi e altri 19 imputati l’inchiesta denominata “Assedio” che ha scoperchiato, nella scorsa estate, il raggio d’azione del clan apriliano retto dal boss Patrizio Forniti detto “Il Gatto” (con residenza in Lussemburgo dove dispone di basi logistiche), l’uomo che, il 3 luglio 2024, è riuscito a sfuggire agli arresti e, insieme alla moglie, Monica Montenero, è tuttora latitante.
Nella mattina di oggi, 12 febbraio, a Latina, Aprilia, Torino, Siracusa, Salerno e Lecce, il Reparto Territoriale Carabinieri di Aprilia, insieme al Centro Operativo della DIA di Roma, con il supporto dei Comandi territorialmente competenti, hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma nei confronti di 8 persone: 6 in carcere e 2 agli arresti domiciliari. Inoltre, il Nucleo Investigativo del Comando Provinciale Carabinieri di Latina, guidato dal tenente colonnello Antonio De Lise, insieme la Squadra Mobile della Questura di Latina, guidata dal dirigente Gugliemo Battisti, hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo di due società (impegnate nel settore della ristorazione e dei profilati plastici) tra Latina e Aprilia), riconducibili agli indagati. A dare conto dell’operazione, in una conferenza stampa di fronte alla Comando Provinciale di Latina, il tenente colonnello Paolo Guida (Reparto di Aprilia) e il tenente colonnello della Dia, Ernesto Di Lorenzi.
Tra i sequestri eseguiti da Polizia e Carabinieri spicca il noto ristorante “Giovannino” che si trova a Foce Verde, lungomare di Latina. Peraltro l’interesse della cosca Forniti per attività sul litorale pontino era già emerso con gli arresti di luglio. Fu, infatti, un contrasto che si creò per il quarto chiosco sul lungomare di Latina, il cui titolare era finito nelle grinfie del clan Travali. Uno degli esponenti del clan Travali, Alessandro Zof, si era presentato con il fratello presso il chiosco del protetto di Forniti. Il titolare del quarto chiosco, impaurito, si recò da uno dei membri del sodalizio di Forniti, Marco Antolini, e chiese protezione rispetto alle minacce di Zof.
È il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina, Francesco Patrone, su richiesta dei pubblici ministeri della Direzione Distrettuale Antimafia, Luigia Spinelli e Francesco Cascini, a disporre la nuova ordinanza in carcere per il latitante Patrizio Forniti (53 anni), e i già incarcerati da luglio (nonché rinviati a giudizio) Luca De Luca (68 anni), braccio destro del primo, l’imprenditore Marco Antolini (56 anni), Luigi Morra (65 anni), il genero di Forniti, Nabil Salami (36 anni), Antonio Morra (37 anni). Ai domiciliari finiscono Giuseppe Carannante (61 anni) e Andrea Sultan Mohamed (39 anni). Risultano indagate anche tre donne: Debora Violato, Francesca De Monaco e Maria Cristina Temperini. Indagato anche Antonio Fusco detto “Zi’ Marcello” (tuttora ai domiciliari), l’uomo vicino a Gangemi e Forniti (e anche a strani personaggi asseritamente vicini a servizi segreti come Massimo Severoni), già processato e assolto nel processo “Alba Pontina”, e rinviato a giudizio nel primo filone di “Assedio”. Nell’indagine “Alba Pontino”, era stato individuato come l’uomo capace di avvertire i Di Silvio tramite il centralino della Guardia di Finanza di Latina.
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I coinvolti odierni, ad ogni modo, sono gravemente indiziati, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso e concorso nei reati di estorsione, detenzione e porto abusivo di armi, intestazione fittizia di imprese, partecipazioni o cariche sociali.
L’imprenditore apriliano Marco Antolini, insieme ad Antonio Fusco detto “Zi’ Marcello”, è accusato di aver assunto di fatto la titolarità delle quote della società che gestisce il noto ristorante “Giovannino”, che si trova a Foce Verde sul lungomare di Latina. I due, già nel 2019, avrebbero lasciato solo fittiziamente la proprietà alle due donne che gestivano il ristorante, investendo 200mila euro anche attraverso la società apriliana Plastic srls. Fusco, peraltro, all’epoca dei fatti, che risalgono al 2019, doveva eludere la misura di prevenzione subita con il procedimento penale “Alba Pontina”, in cui era accusato di favoreggiamento al Clan Di Silvio di Latina. “Zì Marcello” avrebbe acquistato dal titolare storico il locale, esprimendo la volontà di nn comparire mai. Dopodiché sarebbe figurato nella qualità di dipendente.
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Sempre Antolini e Fusco, in ragione del bisogno di eludere la misura di prevenzione di “Zi’ Marcello”, sono accusati di aver attribuito fittiziamente alle due donne indagate – Temperini e Violato – la titolarità delle quote della società Plastic srls di Aprilia. In questi passaggi ritenuti artificiosi, viene indagata anche la terza donna: Francesca De Monaco che avrebbe ceduto le sue quote a Debora Violato. La società veniva utilizzata per la gestione indiretta di “Giovannino”.
Nelle nuove indagini si fa chiarezza anche intorno ai due atti intimidatori subiti dalla Nuova Tesei Bus srl di Urbano Tesei, indagato nel primo filone di “Assedio”: una società che, come noto, ha gestito per anni il servizio trasporti pubblici, anche per la scuola, ad Aprilia. L’azienda fu vittima di due attentati: uno, a gennaio del 2020, quando fu trovata una bomba a mano sul cancello d’ingresso; l’altro, a giugno 2020, quando furono lasciati due proiettili nel parcheggio della ditta apriliana. Un episodio, quest’ultimo, che non ebbe eco mediatica tanto che Luigi e Antonio Morra, padre e figlio, legati al clan Forniti, se ne sorprendono: “La mattina sono passate le guardie, niente!”.
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Immediata, dopo il primo attentato, fu la ricerca di protezione nel clan da parte di Umberto Tesei – su suggerimento dell’apparente consigliere, l’imprenditore Luigino Benvenuti, in realtà in accordo con il gruppo Forniti – che fu rassicurato. Lo si era appreso nel primo filone d’indagine. Ben presto la cosca Forniti aveva trovato il responsabile (“un deficiente che aveva fatto di testa sua”) e spiegato a Tesei che lui era uomo ben voluto, da loro e dai politici Terra e Principi. L’imprenditore, per riconoscenza, porta una somma a Luca De Luca il quale la mette in conto per il sostentamento in carcere a favore di Patrizio Forniti.
Ora, nelle nuove accuse della Direzione Distrettuale Antimafia, sono invece coloro che avrebbero dovuto proteggere Tesei i veri responsabili degli attentati intimidatori in Via Nettunense, sede dell’azienda: si tratta del boss Patrizio Forniti e Luca De Luca, Luigi e Antonio Morra, infine Marco Antolini. Gli attentati sarebbero stati messi in pratica proprio per costringere Urbano Tesei a chiedere protezione (come infatti avvenne) e costringerlo così a consegnare ulteriori somme di denaro al clan e in particolare a Luca De Luca, considerato negli ambienti una sorta di “prefetto” della malavita pontina. In un passaggio dell’ordinanza, viene riportata la valutazione della DDA quando “De Luca impartiva un’altra lezione di “mafia”, riferendo ai suoi interlocutori d aver liquidato bruscamente Tesei: “Gli ho detto “Levati dal cazzo…in modo da fargli capire che l’aiuto ricevuto non era scontato”.
Il gruppo Forniti è accusato di avere portato in luogo pubblico, davanti alla sede dell’azienda di Urbani, una bomba risalente alla seconda guerra mondiale: il modello inglese “Mills N-36M”. Forniti è anche accusato di aver estorto uno spacciatore che aveva osato approvvigionarsi di droga da un altro fornitore: per punizione avrebbe dovuto dismettere la piazza di spaccio nel quartiere Toscanini, in via Inghilterra e pagare una “multa” da 5mila euro.
Particolarmente violento, invece, un altro contesto per cui Forniti, insieme a Luigi Morra, Andrea Sulthan Mohamed (imparentato per parte di moglie con Forniti) e Nabil Salami, è accusato di estorsione mafiosa. Siamo ad Aprilia, mese di luglio 2021. A rimetterci un giovane che si rifiuta di continuare a custodire una autovettura Range Rover oggetto di furto per conto di Salami (più volte coinvolto in procedimenti penali di riciclaggio d’auto di lusso) e Mohamed, e chiede il pagamento di una somma maggiore rispetto a quella che gli era stata data.
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È così che Forniti, Mohamed e Salami si presentano armati a casa del giovane “contestatore”. Patrizio Forniti, peraltro, armato di pistola con silenziatore marca Girsan, e Andrea Sulthan Mohamed armato di fucile a canne mozze presso la sua abitazione. Dopo averlo colpito al volto, i tre lo inseguono per i campi, per poi costringerlo a custodire per loro conto l’autovettura.
Successivamente Forniti e Luigi Morra convocheranno il giovane presso I’abitazione di Forniti, aggredendolo verbalmente. È Morra che continua a minacciarlo anche fuori dalla casa di Forniti: “A rega’ – gli dice – nun te poi permette più il lusso de fa manca ‘na cazzatella eh!…perché dopo nun ce stanno amici che reggono…guarda che stasera te toccava ‘a zuppa pesante pesante pesante pesante pesante eh!“. Tradotto: è inutile armarsi contro il gruppo Forniti per sfuggire alla spedizione punitiva.
Nel corso dell’operazione odierna è stato trovato anche un bunker realizzato sotto l’abitazione dell’apriliano Forniti, definito in una intercettazione dall’ex sindaco Lanfranco Principi come il “capo dei capi”. Un uomo capace di intessere relazioni e avere rapporti paritari con le famiglie di ‘ndrangheta e che non esita a prendere posizione al cospetto di rappresentati di famiglie legate alla camorra.
Da ultimo, sia Antolini che Carannante sono accusati di aver messo in pratica, nel 2019, un prestito usurario nei confronti di un commerciante di autoveicoli di Aprilia, tra minacce e comportamenti violenti. Gli interessi per un prestito di 30mila euro arrivano, secondo gli inquirenti, a un tasso del 30%: praticamente 9mila euro al mese. “Se entro il mese di febbraio – dice Giuseppe Carannante al titolare dell’azienda, di cui era stato dipendente – non mi saldi Marco (nda: Antolini), ti vengo a sparare io per Marco”.