FORMIA, RESPINTO IL RICORSO DI ASCIONE: RESTA SORVEGLIATO SPECIALE

Giuliano Ascione, imprenditore trapiantato a Formia, si è visto respingere il ricorso dalla Corte di Cassazione: resta in sorveglianza speciale

La famiglia Ascione fu citata nella commissione regionale antimafia dall’allora Sindaco di Formia, Paola Villa. Era il 2019 e dopo quella commissione, uno dei tre fratelli di Giugliano in Campania, da anni residenti a Formia, aveva denunciato per diffamazione l’esponente politica, in quel momento primo cittaidno. Villa si riferì a loro, così come ad altre famiglie trapiantate a Formia in odore di camorra. Per quella denuncia, la Procura di Cassino chiese l’archiviazione.

Nessuno di loro ha una condanna per associazione mafiosa, ma gli imprenditori Ascione sono ormai a Formia da tempo. Giuliano, Michele e Luigi Ascione hanno passato diversi ere giudiziarie tra inchieste, arresti e confische: tutti procedimenti che però alla fine si sono risolti piuttosto bene per loro che hanno incassato, per lo più, le revoche.

Nel 2015, la Corte d’Appello di Napoli assolse per “non aver commesso il fatto” Giuliano Ascione, imputato per concorso esterno in associazione camorristica nell’ambito del processo relativo ai presunti legami tra la sua famiglia e il clan Mallardo di Giugliano.
Il collegio dispose il ritorno in libertà di Ascione e revocò la confisca per svariati milioni di euro di tutti i suoi beni, tra cui numerose concessionarie d’auto, disposta al termine del processo di primo grado. Ascione era stato condannato dal Tribunale di Napoli a 6 anni e 8 mesi di carcere, mentre gli altri dieci imputati, tra cui i due fratelli Michele e Luigi e altri parenti ritenuti dalla Dda intestatari fittizi dei suoi beni, erano stati assolti. 

Nel 2016, gli Ascione furono di nuovo investiti da un procedimento: una confisca per un valore complessivo di 49 milioni di euro, di cui circa una metà nel territorio formiano, che fu il seguito dei sequestri eseguiti anni prima. La Corte d’Appello di Roma, infatti, accolse il ricorso di Giuliano, Michele e Luigi Ascione, considerati dagli inquirenti legati al clan camorristico Mallardo, con l’accusa di averne costituto una cellula economica a Formia, revocando vieppiù la sorveglianza speciale inflitta dal Tribunale di Latina nel 2016. E per farsi difendere i fratelli chiamarono anche un pezzo da novanta dell’avvocatura nazionale, Franco Coppi.

Una sorveglianza speciale, però, che è rimasta in capo a Giuliano Ascione, nato a Giugliano di Campania nel 1954. Il campano ha presentato un’ulteriore ricorso in Cassazione contro la Corte d’Appello di Perugia che nel 2021 gli aveva applicato nuovamente la misura.

Difeso dall’avvocato Francesco Bertorotta, però, Ascione si è visto respingere il suo ricorso dalla seconda sezione penale della Cassazione con una sentenza pubblicata lo scorso 16 settembre.

Il 5 ottobre 2017, i carabinieri arrestarono per i reati di “violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno” e “violazione dell’obbligo di portare con se ed esibire ad ogni richiesta degli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza la carta di permanenza”, Ascione Michele 61enne, Ascione Luigi 59enne ed Ascione Giuliano 63enne, tutti residenti a Formia e sottoposti alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno.

Nel 2016, il Tribunale di Latina applicò a Giuliano Ascione e ai fratelli la sorveglianza speciale quali “indiziati di appartenere alle associazioni di cui all’art. 416 bis”: socialmente pericolosi. A settembre 2017, la Corte di Appello di Roma riformò parzialmente la sentenza del Tribunale di Latina, revocando la misura della sorveglianza speciale che era stata applicata agli Ascione, ravvisando solo nei confronti di Giuliano Ascione i profili di pericolosità generica e limitando la confisca ai soli cespiti acquisiti da lui tra il 2002 e il 2010, esclusi gli anni 2005, 2006 e 2008.

Dopo un ricorso perso in Cassazione, Giuliano Ascione ci riprova e ad aprile 2021 la stessa Corte Suprema annulla il decreto del Tribunale di Latina con cui rigettava l’istanza proposta rinviando gli atti alla Corte d’Appello di Perugia. Tuttavia, i giudici umbri rigettavano il ricorso di Ascione ritenendolo “per la condotta e il tenore di vita debba ritenersi” tra quei soggetti i quali “sulla base di elementi di fatto vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi dell’attività illecita”.

Proprio contro quest’ultimo pronunciamento perugino, Giuliano Ascione ha proposto ricorso sollevando motivi di violazione di legge e mancanza di logicità e persino infrazioni costituzionali da parte della Corte d’Appello del capoluogo umbro.

Tuttavia, ad aprile scorso il Procuratore Generale di Cassazione Pasquale Fimiani ha chiesto il rigetto del ricorso. Infine la Corte di Cassazione ha pronunciato la sua sentenza ritenendo il ricorso inammissibile, non potendosi ravvisare alcuna violazione di legge nel provvedimento impugnato, nemmeno sotto il profilo dell’assenza o mera apparenza di motivazione: la decisione di Perugia, per gli ermellini, è corretta perché vi sono “precisi elementi di fatto che avevano portato a riconoscere che l’Ascione, per la condotta ed il tenore di vita, doveva ritenersi vivere abitualmente, anche in parte, con i proventi dell’attività illecita“.

Netta l’argomentazione della Cassazione su Giuliano Ascione poiché risulta “un’ampia ricognizione del materiale probatorio valutato in sede penale, costituito da dichiarazioni di collaboratori di giustizia, conversazioni intercettate e indagini della Guardia di Finanza, accompagnate da plurime verifiche documentali”, la quale “ha riconosciuto il coinvolgimento dell’Ascione, tramite lo svolgimento di attività di rivendita di autoveicoli, in sistematiche condotte truffaldine nel settore dei falsi sinistri stradali e in quello, correlato, delle operazioni di finanziamento alla clientela“.

“Con la movimentazione di tre specie di titoli – si legge nella sentenza della Cassazione – che venivano poi presentati in cassa dall’Alcione, dai suoi congiunti e da società facenti capo ai predetti usufruendo dello status di clienti preferenziali, soprattutto della Banca Antonveneta di Giuliano in Campania, veniva così assicurata una notevole liquidità, propiziata dalla disponibilità di una pluralità di conti correnti, da un elevato numero di transazioni finanziarie, dall’effettuazione giornaliera di cambio di assegni intestati a terzi, e dal cambio di assegni di cassa con richiesta di assegni circolari, intestati ai presentatori allo sportello”.

“La Corte perugina – motiva la Cassazione – ha riconosciuto l’abitualità di condotte di truffa commesse dall’Ascione in un significativo arco temporale, condotte che avevano effettivamente generato profitti tali da costituire una rilevante fonte di reddito per il medesimo, ed ha ricordato a tal proposito come la Corte di Appello di Roma avesse dato conto, alla luce degli accertamenti peritali svolti, di come – ad eccezione degli anni 2005 e 2008 – fosse emersa una situazione caratterizzata da una sperequazione complessiva dei redditi nel periodo 2001/2010, da un’esiguità dei redditi dichiarati negli anni precedenti il 2000 e quindi da una inidoneità delle risorse lecite, conseguite nel decennio precedente, a giustificare gli incrementi patrimoniali effettuati nel periodo di ritenuta pericolosità sociale, come riportato nei prospetti di cui dà conto la pronuncia della Corte di appello di Roma”.

A giugno scorso quindi – ma la sentenza è stata pubblicata il 16 settembre – la Corte Suprema ha dichiarato inammissibile il ricorso di Ascione condannandolo al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di 3mila euro in favore della cassa delle ammende.

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