Inchiesta Purosangue, fissata per il prossimo l’udienza preliminare per diversi indagati coinvolti nel procedimento della DDA di Roma
È uno stralcio dell’indagine “Purosangue”, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma ed eseguita dagli agenti della Squadra Mobile di Latina, quello che è slittato oggi davanti al Gup del Tribunale di Roma. A giugno 2022, l’inchiesta, diretta dall’allora pubblico ministero della DDA, Luigia Spinelli, era sfociata in diversi arresti.
Il processo principale si è diviso in due tronconi. A Roma il rito abbreviato che vede alla sbarra quattro indagati, tra cui il rampollo violento del clan Ciarelli, Roberto Ciarelli; a Latina, davanti al collegio presieduto dal giudice Gian Luca Soana, il filone principale. Tra gli imputati le figure apicali del clan di origine rom Ciarelli: Carmine Ciarelli detto Porchettone e Ferdinando Ciarelli detto Furt. Contestati reati con l’aggravante del 416 bis.
Nel processo romano, in due sono state assolte, Maria Grazia Di Silvio e la figlia Valentina Travali, mentre Roberto Ciarelli e Francesco Iannarilli sono stati condannati con sentenza passata in giudicato, in particolare per l’estorsione consumata in carcere ai danni dell’avvocato di Latina, Fabrizio Colletti. Entrambi condannati in concorso con il collaboratore di giustizia, Andrea Pradissitto.
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A Latina, invece, le accuse hanno avuto un esito per certi versi inaspettato. Alla fine i verdetti sugli imputati hanno ridimensionato evidentemente le richieste di condanna da parte della Direzione Distrettuale Antimafia che contestava ai Ciarelli e sodali reati con l’aggravante del metodo mafioso. Il sodalizio più radicato e temuto in città per anni ottenne, nell’autunno scorso, un risultato insperato.
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Oggi, 9 aprile, invece, davanti al giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma, Roberto Ranazzi, rimanevano in piedi alcuni capi di imputazione stralciati dai due processi suddetti. Ad essere giudicati Roberto Ciarelli, Manuel Agresti, Gina Rocco, Rosaria Ciarelli, Pamela Ciarelli e due personaggi estranei al clan del Pantanaccio, invece inseriti, come figure di spicco nel sodalizio Travali/Di Silvio. Si tratta di Costantino Di Silvio detto “Cha Cha” e Francesco Viola. Il collegio difensivo è composto dagli avvocati Italo Montini, Giancarlo Vitelli, Massimo Frisetti, Gaetano Marino, Angelo e Oreste Palmieri.
“Cha Cha”, ormai da qualche settimana libero, in seguito al venir meno delle esigenze cautelari del procedimento “Reset” (in primo grado ha rimediato una condanna a 8 anni e 4 mesi per estorsione con aggravante mafiosa), è accusato insieme a Francesco Viola, cognato dei fratelli Travali, di aver estorto una nota pizzeria di Latina, ormai chiusa da tempo. L’estorsione contestata col metodo mafioso sarebbe avvenuta undici anni fa, nel 2014, quando i due avrebbero pesantemente minacciato il titolare della pizzeria vicino ai Giardinetti di Latina, ora Parco Falcone e Borsellino.
L’uomo, gestore anche di un bar, sarebbe stato minacciato di ritorsioni se non avesse consegnato la cifra tra i 20 e 25mila euro in riferimento a cambiali già saldate per alcune forniture. “Cha Cha” si sarebbe recato più volte nel locale dell’uomo minacciandolo a più riprese.
Gina Rocco, compagna di Roberto Ciarelli, e Manuel Agresti devono rispondere di un episodio già emerso nel processo a Latina: un’estorsione nei confronti di un avvocato di Latina che si ritrovò ad affittare la casa ai due, per poi subire minacce e insulti.
L’avvocato, nel corso del processo a Latina, in qualità di testimone, aveva raccontato in quale incubo era incappato, dopo aver affittato la sua casa in Via Milazzo a Manuel Agresti e alla giovane legata a Roberto Ciarelli. In realtà la casa fu occupata da quest’ultimo e dalla madre Rosaria Di Silvio.
“Presi appuntamento con Agresti e Gina Rocco – aveva spiegato l’avvocato – stabilimmo il prezzo, era ottobre 2019. Le chiavi le ho consegnate a Rocco Gina e Agresti. Successivamente, quando mi recai nell’appartamento, trovai due persone diverse nell’appartamento, allora chiamai i Carabinieri. Non ricordo i nomi, ma trovai all’inizio una donna e una bambina”.
Successivamente ci fu un intervento casuale dei poliziotti che si fermarono in via Milazzo, in quel momento c’erano Roberto Ciarelli e Rosaria (nda: il nome Di Silvio non l’ha mai pronunciato). Stavano parlando sul marciapiede e la polizia si è fermata, era una discussione. Ciarelli e la madre mi presero a parolacce. Ciarelli mi disse che ero un vecchio, che cazzo campavo a fare, che mi metteva il cazzo suo in bocca e che non dovevo rompere i coglioni“.
“Ho adito le vie legali – aveva continuato l’avvocato, marito di un ex nota esponente del centrodestra pontino – e dopo un anno ho liberato l’appartamento con l’ufficiale giudiziario che aveva chiesto l’intervento della forza pubblica di cui non vi è stato bisogno. Gina Rocco mi riconsegnò le chiavi lo stesso giorno”.
Alla fine, aveva ricordato sconsolato l’avvocato, “non ho avuto i denari della morosità e ho registrato l’asportazione di alcuni mobili dalla mia casa. Durante l’anno ho avuto solo 3 vaglia di affitto e allora, alla fine, ho trattenuto la caparra di 1000 euro perché hanno danneggiato e rubato mobili“.
Roberto Ciarelli, invece, deve rispondere di una estorsione aggravata dal metodo mafioso nei confronti di una barista e del gestore del locale nel 2021. La donna, come testimone, ha raccontato con dovizia particolari l’episodio nel processo che si è svolto a Latina. La donna, all’epoca dei fatti intercorsi, ossia il 14 febbraio 2021, lavorava come barista in uno dei locali della movida in Via Battisti a Latina. Si era al tempo delle restrizioni anti-Covid e i locali non potevano rimanere aperti dopo le 18,30. Ciarelli junior pretese da bere, dirigendosi verso il bancone del bar e ordinando un drink.
“Mi hanno insultato – aveva spiegato la donna in aula, esaminata dal Pm Valentina Giammaria – quando parli con me devi stare zitta, mi dice. Roberto Ciarelli mi si era avvicinato ed era con la bava alla bocca. Poi ho cercato di offrirgli il drink per farli andare via ma continuavano a insultarmi e mi lanciavano oggetti contro. Ho dovuto schivarli e abbassarmi per evitare che mi colpissero. Sbraitavano e quando gli ho detto che avremmo chiamato i poliziotti, mi ha detto che quelli fanno i bocchini”.
Pamela (figlia del boss Carmine Ciarelli detto “Porchettone”) e Rosaria Ciarelli, devono rispondere di usura, in quanto avrebbero ottenuto soldi da un uomo estorto a Latina da Carmine Ciarelli. Un’usura contestata col metodo mafioso per fatti che si calcolano tra il 2008 e il 2013.
Infine, Manuel Agresti deve rispondere anche del reato di minaccia perché avrebbe esploso colpi d’arma da fuoco contro un uomo che lo aveva denunciato per una tentata estorsione.
L’udienza preliminare è slittata al prossimo 9 luglio, in quanto, oggi, non si è potuta celebrare perché non era presente un pubblico ministero della Direzione Distrettuale di Roma, ma un magistrato della Procura ordinaria non competente per la materia trattata.