Se ne va un pezzo da novanta della criminalità organizzata del sud-pontino. È morto, a Fondi, Carmelo Tripodo, l’appartenente all’omonima famiglia protagonista delle note vicende mafiose inquadrate in svariate indagini e numerosi processi (Damasco I e II).
La condanna definitiva per Tripodo arrivò nel 2014 quando la Corte di Cassazione confermò a carico suo, del fratello Venanzio, di Aldo Trani e Franco Peppe le pene più alte (per i due fratelli 10 anni e 8 mesi). Associazione mafiosa che certificò processualmente l’esistenza nel comune di Fondi di una consorteria locale della ’ndrangheta riferibile alla famiglia Tripodo, da oltre trent’anni stanziale nel territorio nel sud pontino, con diramazioni nella città di Aprilia come descritto in numerose relazioni e rapporti antimafia.
In relazione all’indagine denominata “Damasco”, condotta dalla fine degli anni Zero dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri del Comando Provinciale di Latina, Tripodo fu riconosciuto colpevole dei reati di associazione per delinquere di tipo mafioso e detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente.
A Fondi fu comprovata una mafia vera e propria gestita da Tripodo/Trani che trafficava droga, disponeva di armi, prestava soldi a strozzo e organizzava estorsioni ma, sopratutto, condizionava il tessuto amministrativo-politico e quello economico: il Comune di Fondi e il Mercato Ortofrutticolo di Fondi (Mof).
Le inchieste “Damasco” e “Damasco 2”, coordinante dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, portarono all’arresto di Carmelo Tripodo nel luglio del 2009, già gravato sin dal 1983 da precedenti per associazione a delinquere finalizzata al sequestro di persona a scopo di estorsione, violazioni alla normativa sugli stupefacenti e in materia di armi e usura. Tripodo fu arrestato insieme al fratello Antonino Venanzio, ad Aldo Trani, Franco Peppe e ad altre persone in esecuzione di un’ordinanza del Gip del Tribunale di Latina. Le indagini “avevano consentito di “acclarare l’esistenza di un’associazione per delinquere di stampo mafioso, operante nel basso Lazio, finalizzata ad acquisire la gestione ed il controllo di attività economiche e commerciali, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici avvalendosi del condizionamento operato dall’interno della pubblica amministrazione del Comune di Fondi”.
Quello attuato dai Tripodo fu un vero e proprio assedio al territorio, esportando le logiche di un clan nel territorio fondano (e non solo): una ‘ndrina che si radicò grazie alle imprese commerciali collegate a Venanzio e Carmelo Tripodi, figli di Domenico Tripodo, meglio noto come Don Mico, compare d’anello di Totò Riina dal 1974 (grazie all’intermdiazione dell’allora capo dei capi di Cosa Nostra Luciano Liggio), e capo famiglia ucciso durante la prima guerra di mafia in Calabria che vide la consorteria perdente con i De Stefano.
Negli anni Settanta, infatti, Don Mico si scontrò con i suoi allora sottoposti fratelli De Stefano, in merito alla spartizione degli appalti pubblici e delle opere edilizie a Reggio Calabria. Tripodo fu estromesso dalla mangiatoia pubblico-cementizia risultando soccombente alla forza che i De Stefano riuscirono a raggiungere grazie all’alleanza con altre famiglie come i Piromalli e i Mammoliti. Don Mico, dopo aver tentato di reagire all’avanzata dei De Stefano, fu ucciso il 26 agosto 1976 in cella su richiesta di Paolo De Stefano per mano della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo che aveva interessi nel traffico di droga in terra calabra. Da quel momento i De Stefano divennero la ‘ndrina predominante a Reggio Calabria, mentre i Tripodo, come capitato ad altri clan, si rifugiarono nel sud pontino dove strinsero legami anche con i Casalesi.
Tornando a Carmelo Tripodo, pochi mesi fa, il 3 gennaio 2019, il boss subì l’esecuzione, operata dal Comando provinciale della Guardia di Finanza di Roma, di un decreto di confisca emesso dal Tribunale di Latina: sigilli a immobili, autoveicoli e quote societarie, per un valore complessivo di circa 2,8 milioni di euro.
Al di là dei provvedimenti di natura penale, la storia dei Tripodo, però, si intreccia irrimediabilmente con il mancato scioglimento del Comune di Fondi disposto nel 2009 dall’ex Prefetto di Latina, Bruno Frattasi. Un fatto più unico che raro, in cui un Governo, all’epoca guidato da Silvio Berlusconi, si oppose a un provvedimento suggerito da uomo di Stato, con tanto di relazioni corpose e inequivocabili, definite patacche dall’attuale sindaco di Sperlonga Armando Cusani e contrastate fortemente dall’attuale senatore di Forza Italia, il fondano Claudio Fazzone, il quale minacciò di querelare Frattasi.
Una notte della repubblica, pezzi dello Stato contro altri pezzi dello Stato.
La Commissione d’accesso istituita da Frattasi a Fondi ricostruì i legami tra i fratelli Tripodo e gli esponenti politici del Comune: “appaiono altamente significative le connessioni emerse chiaramente in sede di accesso tra la famiglia Tripodo e i soggetti legati per via parentale anche a figure di vertice del Comune di Fondi, nonché a titolari di attività commerciali pienamente inserite nel Mof”.
Venanzio Antonino Tripodo, fratello di Carmelo, manteneva strettissimi rapporti con Franco Peppe, titolare di uno stand al Mof, il quale, a sua volta, era cugino dell’ex sindaco di Fondi Luigi Parisella (all’epoca Forza Italia; da poche mesi ha invece annunciato una sua possibile candidatura appellandosi alle forze civiche della sua città), nonché con Aldo Trani “in rapporti diretti con soggetti di elevata caratura criminale”, beneficiando di comportamenti “benevoli” del Comune di Fondi.
Già prima che si insediasse, nel febbraio 2008, la Commissione d’accesso voluta da Frattasi, furono due i fatti essenziali che diedero vita all’apertura del vaso di Pandora fondano: l’arresto di Vincenzo Garruzzo, legato alla cosca La Rosa-Garruzzo, anche lui con attività al Mof e con un curriculum criminale rilevante (oltreché a vantarsi di avere nascosto gli autori della strage di Duisburg causata dalla faida di San Luca fra la famiglia della ‘ndrangheta dei Nirta-Strangio e la cosca dei Pelle-Vottari); la vicenda dell’allora assessore della Giunta di Fondi Riccardo Izzi (facente parte di una famiglia di imprenditori molto nota nel settore alimentare, coinvolto anche lui nei processi di Damasco, infine assolto per riciclaggio in Damasco III) che subì un doppio attentato incendiario alla sua auto e a quella dei suoi famigliari, e si decise così a raccontare le forti pressioni subite dal Comune di Fondi.
L’otto settembre 2008, la Commissione prefettizia concluse che sì, c’erano tutti i presupposti per sciogliere il Comune soggiogato dalle logiche mafiose che le cosche calabre avevano importato nella Piana.
Ma ad intervenire a gamba tesa sul provvedimento richiesto da Frattasi, furono i maggiorenti di Forza Italia con un un ricorso al Tar avverso il provvedimento del Prefetto; poi, a maggio 2008, alla luce di pesanti ammissioni di alcuni dipendenti del Comune riguardo ai rapporti dell’Ente con i Tripodo, Giovanni Carmelo Tripodo, come ricorda Graziella Di Mambro in un articolo pubblicato su Articolo 21 del 3 ottobre 2018, inviò una lettera a giornali e tv dichiarando di essere una “povera vittima perseguitata” dal sistema.
Alla fine della vicenda che ferì profondamente la credibilità delle Istituzioni, vi fu la sconfitta evidente dello Stato con il mancato scioglimento per le intervenute dimissioni del sindaco Parisella e di tutto il Consiglio a ottobre 2009.
Fondi libera dai controlli, Fondi riverginata dall’azione martellante di Fazzone e Forza Italia.
Una pagina nera della lotta alla mafia che, oggi, vede la morte di uno dei suoi protagonisti più terribili, Carmelo Giovanni Tripodo, i cui funerali si svolgeranno domani pomeriggio.