Corruzione in Tribunale, anche l’amica di Giorgia Castriota, Stefania Vitto, si vede sostituire la misura cautelare
L’avvocato Giulio Liscio, che difende la consulente giudiziaria Stefania Vitto, finita agli arresti domiciliari nell’ambito dello scandalo che ha colpito il Tribunale di Latina, aveva presentato ricorso al Tribunale del Riesame di Roma dopo che il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Perugia, Natalia Giubilei, aveva negato una misura meno afflittiva.
Ora il Tribunale ha accolto l’istanza della difesa e ha disposto per Vitto la misura degli obblighi di dimora per la donna.
Il Riesame ha già concesso una misura cautelare meno restrittiva agli altri due indagati: sono passati, infatti, dal carcere agli arresti domiciliari il giudice di Latina Giorgia Castriota e Silvano Ferraro, collaboratore nell’ambito di procedure di amministrazione giudiziaria, finiti in carcere nell’ambito della stessa indagine della Procura di Perugia nella quale sono stati contestati a vario titolo i reati di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio, corruzione in atti giudiziari ed induzione indebita a dare o promettere utilità.
Nell’interrogatorio di garanzia svolto a fine aprile, Stefania Vitto aveva confermato di essere amica di vecchia data del giudice Castriota e, tramite il suo avvocato, non aveva chiesto esplicitamente una misura meno afflittiva dei domiciliari, rimettendosi al parere del Gip Giubilei la quale doveva ancora pronunciarsi sulla richiesta di Castriota e Ferraro in merito alla sostituzione della misura cautelare in carcere con quella ai domiciliari.
L’avvocato Liscio aveva tentato di fornire elementi che potessero far escludere per la Vitto – coinvolta nell’indagine perché nominata da Castriota come rappresentante legale delle società sequestrate all’imprenditore di Nettuno Fabrizio Coscione – la reiterazione del reato e l’inquinamento probatorio, ossia i motivi per cui anche per lei sono scattati gli arresti, seppur ai domiciliari, a differenza dei suoi due co-indagati ristretti in carcere. Ecco perché Vitto si è dimessa dagli incarichi che aveva nelle società sequestrate, facendo cadere – questo il ragionamento alla base della sua strategia difensiva – la possibilità di inquinare prove e reiterare il reato.
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