Eseguite tre misure cautelari nei confronti del Giudice per le indagini preliminare Giorgia Castriota e di due collaboratori. Accusati di corruzione ed induzione indebita
In data odierna, su delega della Procura di Perugia – si legge in una nota firmata dal Procuratore Capo umbro Raffaele Cantone – i militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Perugia hanno data esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di un giudice in servizio a Latina e di due professionisti romani con incarichi di collaborazione nell’ambito di procedure di amministrazione giudiziaria di beni sequestrati.
I reati contestati ai tre, a vario titolo, sono quelli di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, corruzione in atti giudiziari ed induzione indebita a dare o promettere utilità.
Le persone raggiunte da ordinanza cautelare sono il giudice dell’Ufficio Gip/Gup del Tribunale di Latina (nel capoluogo di provincia dal 2016), Giorgia Castriota, 45 anni, originaria di Cosenza, già giudice al Tribunale di Reggio Calabria, e i commercialisti romani Silvano Ferraro e Stefania Vitto, entrambi collaboratori nell’ambito di procedure di amministrazione giudiziaria. Castriota e Ferraro (commercialista e consulente) sono destinatari di ordinanza di custodia cautelare in carcere (il giudice è stato condotto a Rebibbia), la Vitto (commercialista e imprenditrice nel campo del “pet food”) di ordinanza cautelare degli arresti domiciliari.
Quanto al procedimento penale, esso trae origine dalla denuncia presentata dal rappresentante legale pro tempore di diverse società, tutte riconducibili al medesimo gruppo operante nel settore della logistica, sottoposte a sequestro nell’ambito di un procedimento incardinato per reati tributari, presso la Procura della Repubblica di Latina. Nello specifico, l’imprenditore, Fabrizio Coscione di Nettuno (che pochi giorni fa è stato destinatario, insieme ad Antonio Geracitano, di un sequestro milionario eseguito dalla Guardia di Finanza di Latina) lamentava irregolarità e condotte non trasparenti che vi sarebbero state nella gestione dei compendi aziendali sequestrati e che, secondo quanto da lui prospettato, sarebbero state poste in essere dagli amministratori giudiziari e dal coadiutore, con l’avallo del giudice per le indagini preliminari.
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Le indagini avviate dalla Procura di Perugia – coordinate dal sostituto procuratore Gennaro Iannarone e dal Procuratore Capo Raffaele Cantone – competente ai sensi dell’art. 11 codice procedura penale, atteso il coinvolgimento di un magistrato in servizio presso un ufficio giudiziario compreso nel distretto della Corte di Appello di Roma, sono state delegate ai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Perugia e sono in corso, da parecchi mesi, net massimo riserbo.
In particolare, attraverso l’esame di tabulati telefonici, servizi di osservazione, controllo e pedinamento, acquisizione di documentazione bancaria, disamina delle movimentazioni finanziarie dei soggetti coinvolti e, soprattutto, mediante l’espletamento di intercettazioni telefoniche ed ambientali – che, ancora una volta, sono risultate assolutamente determinati ai fini investigativi, per l’individuazione dei gravi indizi di colpevolezza a carico degli indagati — è stato possibile acquisire elementi gravemente indiziari dell’esistenza di una rete di rapporti amicali e di frequentazione fra i vari soggetti che, all’interno dell’amministrazione giudiziaria, hanno percepito e stanno tuttora percependo compensi particolarmente cospicui.
Secondo quanto emerso dalle investigazioni, il conferimento degli incarichi sarebbe avvenuto al di fuori di qualsiasi criterio oggettivo e soprattutto in contrasto con il disposto dell’ art. 35, comma 4-bis, del decreto legislativo n. 159/2011, il quale stabilisce il divieto di assumere il ruolo di amministratore giudiziario e coadiutore da parte di coloro che hanno, con il magistrato che conferisce l’incarico, una “assidua frequentazione”, intendendosi per tale “quella derivante da una relazione sentimentale o da un rapporto di amicizia stabilmente protrattosi net tempo e connotato da reciproca confidenza, nonche il rapporto di frequentazione tra commensali abituali“.
Gli approfonditi accertamenti svolti hanno disvelato — cosi come espressamente sottolineato dal Gip del Tribunate di Perugia, Natalia Giubilei, nell’ordinanza cautelare – “attraverso le intercettazioni telefoniche ed i riscontri documentali acquisiti un quadro granitico di gravità indiziaria” facendo intravvedere “un chiaro quadro di accordi corruttivo e di vendita della funzione, nel quale soggetti nominati [dal giudice] all’interno dell’amministrazione, già legati da rapporti personali pregressi, retrocedevano al magistrato, sotto forma di contributo mensile ed altre regalie, parte del denaro… [che lo stesso giudice]…liquidava loro per l’adempimento degli incarichi“.
Nel caso di specie, quindi, il giudice di Latina — secondo l’ipotesi accusatoria, allo stato, fatta propria dal Gip di Perugia — non solo avrebbe direttamente nominato ed agevolato il conferimento degli incarichi a persone con cui intratteneva rapporti personali consolidati, ma avrebbe percepito, sistematicamente, parte dei compensi in denaro liquidati dallo stesso Giudice nell’ambito dell’amministrazione giudiziaria o corrisposto, a titolo di compenso, dalle società sequestrate.
Nei capi di imputazione per i quali è stata emessa ordinanza cautelare sono contestate anche altre utilità (quali gioielli, orologi, viaggi e un abbonamento annuale per assistere in tribuna d’onore dello stadio Olimpico alle partite di una squadra calcio) che il giudice avrebbe percepito dai soggetti inseriti nell’amministrazione giudiziaria.
Nella misura cautelare, sono, infine, indicati plurimi atti contrari ai doveri d’ufficio che ii Giudice di Latina avrebbe tenuto nella gestione delle società raggiunte dai sequestri.
Si tratterebbe, secondo quanto allo stato accertato, di condotte quali l’omessa vigilanza o la mancata denuncia di attività illecite da parte degli ex amministratori, ma anche di condotte attive, come l’intenzione di portare le società al fallimento e nominare curatori gli stessi professionisti, con lo scopo, verosimilmente, di mantenere il controllo sulla procedura e non perdere la fonte di guadagno oltre a quello di tutelare se stessa da ingerenze esterne e da eventuali soggetti estranei, che avrebbero potuto evidenziare le criticità o la mala gestio dell’amministrazione giudiziaria.
Gli accertamenti investigativi non si limitano ai soli tre soggetti per i quali è stata richiesta ed ottenuta ordinanza cautelare, risultando, allo stato, indagati anche altri due professionisti coinvolti nelle medesime amministrazioni giudiziarie. Sono, infatti, in queste ore in corso di esecuzione, da parte direttamente di magistrati umbri e dei finanzieri del Nucleo PEF di Perugia, perquisizioni, anche negli uffici del tribunale di Latina, nonché acquisizioni di informazioni da persone informate sui fatti, al fine di riscontrare se lo schema delineato nell’amministrazione giudiziaria oggetto di indagine sia già stato utilizzato in altri casi, con i medesimi risultati e con il coinvolgimento anche di altre persone.
Un terremoto che ricorda, seppur (parrebbe) con minori proporzioni, quello che nel 2015 portò all’arresto del giudice della sezione fallimentare del Tribunale di Latina, Antonio Lollo, con il coinvolgimento di professionisti, tra commercialisti e avvocati, e anche personale amministrativo del medesimo Tribunale. Alla fine Lollo ha patteggiato una pena a 3 anni e 6 mesi e, naturalmente, non fa più parte della magistratura.
Il giudice Castriota è difesa dagli avvocati Zeppieri e Giuseppe Valentino, ex sottosegretario alla Giustizia (nel secondo governo Berlusconi, nel 2001) e deputato calabrese di Fratelli d’Italia, assurto agli onori della cronaca perché in procinto di diventare vicepresidente del Csm (nomina poi saltata in seguito alla notizia che l’avvocato era stato indagato nel processo di ‘ndrangheta Gotha e tirato in ballo da un collaboratore di giustizia nel 2021).
Castriota si è occupata recentemente di inchieste tra le più importanti: da “Dune” che ha terremotato l’amministrazione Gervasi di Sabaudia a “Free Beach” che ha fatto lo stesso con quella di Terracina, fino a quella denominata “Omnia 2” che ha posto fine all’era del sindaco di Sezze, Sergio Di Raimo. Tra le ultime anche quella che ha risolto il rebus dell’omicidio Moretto a Sabaudia con l’arresto di Ermanno D’Arienzo.
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