SISTEMA LOLLO: CASSAZIONE NEGA ALL’EX MAGISTRATO I SERVIZI SOCIALI

Antonio Lollo
Antonio Lollo (foto da Il Messaggero)

Negati i servizi sociali per Antonio Lollo: agli arresti domiciliari dopo lo scandalo avvenuto nella sezione fallimentare del Tribunale di Latina

Ad agosto 2020, la Polizia di Stato di Latina aveva dato esecuzione all’ordine di esecuzione di pena detentiva, decisa dal giudice Beatrice Cristiani del Tribunale di Sorveglianza della Corte di Appello di Perugia, in regime di detenzione Domiciliare emessa dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia nei confronti dell’ ex giudice della Sezione Fallimentare del Tribunale di Latina.

Lollo, come noto, fu tratto in arresto nel 2015 dalla Squadra Mobile, a seguito di una complessa indagine che dimostrò la sua responsabilità penale quale autore di delitti contro la pubblica amministrazione, in concorso con professionisti – in primis avvocati e commercialisti – che ricoprivano incarichi in numerose procedure concorsuali, finite nel mirino degli inquirenti. Tutto a danno di aziende e creditori. L’ex magistrato patteggiò una pena per 3 anni e mezzo di reclusione.

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Da agosto dell’anno scorso, a Lollo rimanevano 2 anni e 10 mesi per corruzione in atti giudiziari con conseguimento di profitti quantificati in un milione di euro, per i quali l’ex magistrato aveva chiesto di scontarli presso i servizi sociali. Un affidamento negatogli sia dal Tribunale di Sorveglianza di Perugia e che, ora, dalla Corte di Cassazione.

La Corte Suprema ha respinto infatti il ricorso dell’ex giudice confermando quanto stabilito dal Tribunale di Perugia che aveva ravvisato “l’assenza di segnali convincenti di revisione critica del (suo) passato, a prescindere dalla confessione finalizzata ad ottenere un trattamento sanzionatorio più mite”.

C’è di più perché oltre al fatto che Lollo non aveva mai cercato di restituire spontaneamente il profitto illecito conseguito a danno di aziende e creditori, continuando ad abitare nell’immobile confiscato in seguito ad arresti e condanna, aveva inoltre “avviato un’attività lavorativa libero professionale (consulenza in favore di aziende con problemi finanziari e di redditività), ma aveva preferito non allontanarsi dal settore in cui aveva commesso i reati nella qualità di giudice delegato ai fallimenti ed aveva, anzi, sfruttato le conoscenze personali acquisite nell’epoca di consumazione dei reati. Risulta, infatti – ricorda la Cassazione citando il Tribunale di Sorveglianza – dagli accertamenti indicati nella sentenza in esecuzione che il commercialista con cui attualmente collabora, in passato, gli aveva versato una somma di denaro di ventimila euro con causale sospetta ed era stato anche intestatario dell’autovettura nella disponibilità di fatto di sua moglie“.

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