Operazione Reset: nell’inchiesta che contesta l’associazione mafiosa al Clan Travali, viene sollevata di nuovo la questione delle Forze dell’Ordine infedeli
“Non ho mai denunciato questi fatti. per due ordini di motivi: il primo è che prima dell’indagine Don’t Touch io, come tutta la città, non mi fidavo della Polizia perché era ritenuta collusa con i criminali e in particolare con il gruppo a cui apparteneva Viola (ndr: Francesco, cognato dei Travali) che, da alcuni anni e sino a Don’t Touch, era percepito come il padrone della città anche perché costoro avevano le mani in pasta dappertutto, anche con la politica. Era quest’ultima circostanza nota alla città intera, nel senso che tutti sapevano che grazie alle loro entrature politiche, a parte le attività di attacchinaggio che avevano monopolizzato nelle varie campagne elettorali, potevano avere appalti con le varie cooperative“. Così le parole piuttosto inquietanti di un noto ristoratore di Latina centro che inquadra una situazione al limite, peraltro rimarcata anche a gennaio 2020 dal Procuratore Capo di Roma Michele Prestipino (la cui carica è ora messa in discussione da alcune pronunce del Tar del Lazio su ricorso di due Procuratori). Prestipino utilizzò parole meno esplicite ma sicuramente più pesanti perché provenivano da un inquirente esperto in fatti di criminalità come lui e perché inquadrò il problema nell’eccesso di territorializzazione delle Forze dell’Ordine a Latina e provincia. Uno scenario a cui si sarebbe posto rimedio ormai da qualche anno.
Al di là delle dichiarazioni del ristoratore che, però, fu il primo a negare pubblicamente, all’epoca dei primi arresti di Don’t Touch, di aver mai subito estorsioni o ritorsioni da parte del Clan Travali, la figura che riemerge nell’operazione Reset è quella di Carlo Ninnolino, ex componente della Squadra Mobile di Latina, anche all’epoca della prima inchiesta su Travali, Cha Cha e Tuma, e ora menzionato nell’ordinanza firmata dal Gip romano Anelli in quanto, con la collaborazione di Riccardo Pasini (coinvolto anche lui nella prima inchiesta Don’t Touch), avrebbe agevolato il gruppo Travali passando informazioni dietro somme di denaro.
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Il reato sarebbe quello di “corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio”, ossia aver fornito informazioni riservate su indagini in corso svolte dalla Squadra Mobile di Latina su Angelo Travali o persone del suo entourage, nonché informazioni su confidenti della Polizia, per denaro corrispondente di volta in volta a migliaia di euro, variabili da 1500 a 10.000 euro.
Va detto, però, che sia Ninnolino, ora in forza al Commissariato di Polizia di Anzio, che Pasini, sono stati scagionati dalle accuse che erano mosse nella prima inchiesta Don’t Touch. Ninnolino, dopo una condanna in primo grado a 3 anni e 6 mesi, fu assolto definitivamente dalla Cassazione nel dicembre 2018 su ricorso presentato dalla Procura generale dopo la sentenza di assoluzione della Corte d’Appello. E lo stesso Riccardo Pasini è stato assolto con formula piena nel novembre 2019.
La loro posizione di Ninnolino, però, viene riproposta nell’ordinanza Reset in base ad alcune dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Non solo Renato Pugliese e Agostino Riccardo ma anche Maurizio Zuppardo pentitosi nell’ottobre 2019 e le confidenze iniziali di Roberto Toselli (il primo pentito che poi, però, non entrò nel programma di collaborazione dello Stato) che avrebbe assistito di persona a un passaggio di denaro tra Angelo Travali e Ninnolino presso il Miami Beach. Secondo diverse dichiarazioni rese da Pugliese e Riccardo, Ninnolino mise in guardia alcuni componenti del gruppo Travali su diverse indagini tra cui l’attentato al tabaccaio Marco Urbani e la sparatoria al locale di Latina “Già Sai”.
A quanto racconta Riccardo, in un verbale nel 2018, i soldi sarebbero stati veicolati a Carlo Ninnolino per il tramite di Riccardo Pasini: “Angelo mi diceva che ogni dieci o quindici giorni li mandava tramite Pasini i soldi per pagare le informazione ogni volta 2000, 1500, 1800 euro per un totale complessivo di circa 40.000 euro. Il periodo era quello successivo al 2014 subito dopo la sparatoria a Marco Urbani (ndr: che fu gambizzato per aver denunciato una tentata estorsione della madre dei Travali, Maria Grazia Di Silvio)”.
“C’è un locale, il Già Sai ed è gestito da un tale M., proprietario anche di una pizzeria in città vicina ad un locale bar con insegna San Felipe – ha dichiarato, invece, Pugliese nel 2017 – Un giorno, credo nel 2014 M. ha chiesto il mio aiuto dicendomi che gli avevano fatto un agguato, credo avessero sparato al suo locale. Io non ne sapevo nulla, ma qualche tempo prima Ninnolino mi aveva detto che c’era un’indagine nei miei confronti per la sparatoria fatta al Lido Già Sai di M. Ho saputo in seguito che l’attentato (credo gli spari) fosse da ricondurre a Zof per una questione di ragazze“.
Dunque, a leggere le dichiarazioni dei due pentiti all’Antimafia, sia Ninnolino che Pasini erano in grado di fornire informazioni su indagini. Ad esempio, anche per per il coinvolgimento di Travali nell’omicidio Giuroiu laddove Ninnolino avrebbe avvertito Palletta che alcune telecamere avevano filmato la sua auto, una Smart, al momento del sequestro del rumeno avvenuto a Borgo Sabotino (anno 2014), e in seguito ucciso dai Ranieri e Ginca per poi essere lasciato all’interno di un’azienda agricola a Olmobello (Cisterna).
In questo scenario emerge anche la figura del carabiniere di Aprilia Fabio Di Lorenzo (coinvolto in Don’t Touch 1 e 2) che, a detta dei pentiti, avrebbe offerto un “prezzo” per le informazioni più “economico” rispetto a Ninnolino. Ma c’è di più perché ci sarebbero tra gli “informatori di Stato” per il clan Travali anche un poliziotto non identificato, un altro agente che vendeva le armi e una persona in Procura di Latina.
Supposizioni? Le dichiarazioni dei pentiti dicono il contrario e non possono passare inosservate, a cominciare da quelle rese per ultimo, in ordine cronologico, dal collaboratore di giustizia Maurizio Zuppardo che spiega come Ninnolino avrebbe informato Dimitri Montenero, figlio del noto criminale di Aprilia Nino Montenero (entrature con clan di camorra come i Contini, i Nuvoletta e i Gionta), che Zuppardo medesimo fosse un confidente di polizia, cosa realmente in essere all’epoca dell’inchiesta anti-droga Las Mulas. Ninnolino – siamo nel 2013-14 – assistente capo della Polizia a Latina, aveva redatto di suo pugno numerosi arresti in flagranza che poi portarono all’inchiesta Las Mulas. Per quel procedimento furono arrestati in sei, per traffico di droga dalla Colombia, tra cui Dimitri Montenero e il fratello di Zuppardo, Marco Zuppardo.
“Conosco Ninnolino da circa 15 anni – ha dichiarato Zuppardo in un verbale reso agli investigatori della Mobile a novembre 2019 – e l’ho conosciuto in quanto era un poliziotto e abitava nel mio stesso quartiere. Un giorno, ma non sono in grado di essere preciso sulle date, certamente prima che venissero eseguite le misure cautelari dell’operazione Las Mulas, andai con mio fratello ad Aprilia presso l’abitazione di Dimitri Montenero per acquistare sostanza stupefacente del tipo cocaina; in quella occasione incontrai Agostino Riccardo che stava uscendo mentre Angelo Travali era ancora all’interno dell’abitazione con Montenero. Siamo entrati quindi io e mio fratello Angelo ha chiesto di parlare da solo con Dimitri e poi se ne è andato. Quando poi siamo rimasti da soli con Dimitri lui ci disse che era stato avvertito da Angelo Travali del fatto che io collaboravo con la polizia dell’antidroga e riferivo questioni che riguardavano i Montenero. Mio fratello mi difese ma Dimitri non ci credeva e comunque disse che avrebbe a approfondito la questione. Io effettivamente nel periodo davo informazioni alla Squadra Mobile su Dimitri Montenero (con riferimento al traffico di cocaina) e quando andavo in Questura era sempre presente Ninnolino e in due occasioni abbiamo anche effettuato dei sopralluoghi insieme perché io gli mostravo dove avveniva la vendita al minuto, dove si trovava la stradina da cui Dimitri scappava, fino a dove arrivavano le telecamere di videosorveglianza, insomma fornivo informazioni utili. In cambio la mia posizione sarebbe stata considerala favorevolmente o almeno così mi dicevano. Sulla informativa della Polizia era comunque riportato il mio nome insieme a quello di mio fratello e a quello di tutti gli altri. Quanto al periodo io sono certo che la vicenda che ho narrato presso l’abitazione di Dimitri risale al periodo delle indagini che hanno poi preso il nome di Las Mulas, parecchio tempo prima rispetto all’esecuzione delle misure cautelari che sono avvenute nel 2017. Poi ho saputo che Ninnolino è stato arrestato per avere informato gli zingari sui soggetti che fornivano informazioni alla polizia. Quindi ho dedotto che Angelo Travali mi considerava un infame in quanto Ninnolino poteva avergli riferito che io davo informazioni alla polizia. Circa un mese fa io e mio fratello abbiamo incontrato Ninnolino al bar a Borgo Piave, non appena ci ha visto è scappato perché sa che mio fratello lo vuole ammazzare in quanto il rapporto con Dimitri Montenero è finito a causa della soffiata“.
“Appare di tutta evidenza – scrive il Gip del Tribunale di Roma che ha firmato l’ordinanza Reset – come le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Riccardo Agostino e Pugliese Renato siano assolutamente convergenti tra di loro in merito al ruolo di stabile informatore del gruppo Travali (in particolare di Angelo Travali e Viola Francesco) ricoperto da Carlo Ninnolino, assistente capo della Polizia di Stato all’epoca in servizio presso la Squadra Mobile di Latina, dietro corresponsione di cospicue somme di danaro“.